Politica e comunicazione QUALE ETICA?

E’ necessario domandarsi quale etica debba essere ritenuta idonea nelle esternazioni di coloro i quali rivestono ruoli istituzionali.
Questa necessita’ sorge davanti alla evidente linea di faglia che si manifesta in maniera gravissima ogni qualvolta un rappresentante delle istituzioni – poco importa se eletto dai cittadini o unto dal Signore – estrinsechi in maniera border line, poco opportuna o, peggio ancora, con doppi sensi degni del peggior cabarettismo concetti che poggiano su espressioni significanti di pessimo gusto che non giovano all’affermazione del principio deontologico della correttezza politica nella comunicazione istituzionale. Legittimo evidenziare la propria personale opinione sull’ accezione o la usuale qualificazione popolare di determinate condizioni personali o sociali legate al costume sessuale e al colore della pelle.
Chi riveste ruoli istituzionali non puo’ scindere i propri canoni comunicativi riportandoli o rapportandoli alla liberta’ espressiva dell’uomo della strada.
Il linguaggio DEVE sempre rimanere nei canoni della correttezza istituzionale e mai scadere in trivialita’ da bettola volte a sdoganare l’utilizzo di aggettivazioni che spesso sono espressione della storicizzazione della non accettazione di una diversita’ che la pubblicizzazione o l’opportunistico l’outing fatto in forme plateali non contribuira’a lenire nello stillicidio dei giorni di vite caratterizzate dalla smodata necessita’ di imporre una diversita’ sulla quale, peraltro, e per fortuna, nessuno oggi pone l’indice – se viene vissuta con dignita’e valori morali forti ma che talvolta strappa sorrisi malinconici davanti a manifestazioni plateali e talvolta surreali di violente manifestazioni di forme di autoaparthaid volte a scimmiottatare la ” normalita’ delle famiglie eterosessuali” di cui nei gaypride vi sono tantissimi esempi. Non ci scandalizziamo se il termine negro sia usato come retaggio italianizzato del dialetto ” nigru” niru” o “niuru” Basti pensare quanta poesia e quanto amore traspaia nel ricorrente “niuru” o ” nivuru’ nelle pagine de “Le rughe del sorriso” di Carmine Abate. Allo stesso modo la stessa parola “negro” in altri contesti o nelle esternazioni della pancia leghista assume un significato dispregiativo e razzista: da condannare.
Allo stesso modo altri termini hanno significanti diversi.
Ma che tutto questo anziche’ essere oggetto di lezioni in ambiente accademico sia divenuto l’escamotage di un politico per far parlare di sé non e’ condivisibile. In Italia – e in Calabria- vi sono problemi ben più gravi che discettare sull’uso del termine “frocio” come sinonimo alternativo a gay o se il dialettale “ricchione” sia political correct.
Possiamo ben capire che attualmente in questa fase convulsa e di crisi del sistema democratico possano essere chiamati a far parte di Assemblee istituzionali, di istituzioni o di organi di governo soggetti dalla dubbia cultura, dalla altrettanto dubbia sensibilità o dai trascorsi poco edificanti, con la conseguenza immediata di non saper discernere – costoro- l’inopportunita’ del metro linguistico della loro provenienza culturale ne’di saper separare tale metro linguistico da quello che essi dovrebbero utilizzare quale organo di una istituzione o di governo di un Ente .
Ma se un esponente del cerchio magico della Santelli impegna il proprio tempo su queste cose meglio che lasci il posto a chi ha più tempo e più voglia di affrontare e ( forse) risolvere i tanti problemi di una Calabria che ormai da anni non discrimina i diversi a causa del loro abito sessuale , dell’etnia e della razza e molto spesso ha dimostrato di saper accogliere senza prevenzione coloro che hanno la pelle di un colore diverso