Peda’ su Lcv Tua Autoworks a Gioia Tauro “la vita dei cittadini non può dipendere dal capriccio dei privati”
Dal tavolo romano riunito per discutere del futuro della Calabria, presuntivamente luminoso in virtù del prossimo arrivo degli americani pronti a sfornare macchine, è venuta fuori invece una doccia gelata che colpisce nello spirito una cittadinanza già di per sé disillusa e ripiegata. Dopo avere per mesi strombazzato come imminente e sicura l’apertura di una futuristica industria made in U.S.A., così sicura da meritare il finanziamento preventivo e “sulla fiducia” di corsi di formazione buoni per trasformare alchemicamente i portuali gioiesi in metalmeccanici degni della tradizione di Detroit, scopriamo oggi di essere finiti su “Scherzi a Parte”. Esprimiamo una fortissima indignazione e amarezza per il modo in vero cinico e irresponsabile con il quale aziende private e pubbliche istituzioni stanno giocando con la vita e il futuro di centinaia di lavoratori e rispettive famiglie. Siamo indignati ma non possiamo dire di essere stupiti. Fin dall’inizio- e i fatti si sono puntualmente presi la briga di darci ragione- avevamo espresso fondate riserve su un modo di procedere che appariva ai nostri occhi improntato alla superficialità e alla sciatteria. Non a caso il comune di Gioia Tauro, in splendida solitudine, non aveva firmato quel famoso protocollo d’intesa che ripensato oggi assume i contorni della beffa. Avevamo spiegato fin dall’inizio che l’idea di usare il presunto arrivo di una azienda straniera per lenire e in parte mascherare la politica del “taglio indiscriminato” attuata con pervicacia da MCT non era proponibile. Lo avevamo detto e lo avevamo scritto, attirando su di noi le facili ironie dei soliti accademici buoni per tutte le stagioni che non osano mai disturbare il manovratore. Sapere che avevamo ragione non rappresenta per noi una consolazione, dal momento che si ripresenta adesso in termini ancora più gravi una crisi occupazionale che può generare una spirale di tensioni di cui nessuno sente la mancanza. Questi fallimenti, oltre che della conclamata inadeguatezza e subalternità culturale della classe dirigente politica sono figli di un modello economico di stampo neoliberista oramai superato e messo in discussione dappertutto. La vita dei cittadini non può dipendere dal capriccio del “privato”, che oggi viene e domani senza un motivo se ne va lasciando tutti in braghe di tela. Lo Stato, e quindi la politica, torni a rivendicare il diritto di esercitare quale “primato” che, nel secondo dopoguerra, ha concesso all’Italia di divenire in pochi anni una delle principali potenze economiche del pianeta. Se i privati riescono a conciliare il legittimo perseguimento del profitto con la realizzazione dell’interesse generale ben vengano. Altrimenti si torni ad un sistema economico misto, in voga fino agli anni ’90,recuperando cioè un concetto di Stato imprenditore alla prova dei fatti archiviato troppo in fretta.
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Giuseppe Pedà