“Indottrinamento mafioso dei minori nelle famiglie mafiose e responsabilità dei genitori”. Importante convegno dei Lions
l convegno tenutosi a Gioia Tauro, considerata da alcuni la “capitale storica della ‘ndrangeta”, ha confermato l’impegno sociale del Lions Club “Polistena Brutium”, nell’anno presieduto dall’avvocato Antonino Napoli, in quanto l’argomento del convegno “Indottrinamento mafioso dei minori nelle famiglie mafiose e responsabilità dei genitori” rientra in quello più vasto di lotta alla criminalità organizzata.
L’incontro, organizzato dai Lions con il patrocinio del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palmi, accreditato come evento formativo per gli avvocati, ha visto la presenza di numerosi avvocati, psicologi, magistrati, giornalisti e cittadini interessati all’argomento.
L’avvocato Francesco Napoli, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palmi e Presidente dell’Unione Ordini Forensi della Calabria, nel suo intervento ha evidenziato che la figura dell’avvocato rappresenta un presidio di legalità poiché, ha ricordato, la funzione dell’avvocatura è essenziale in una società democratica quanto quella del magistrato, giudice o pubblico ministero. L’assenza dell’avvocato nel processo sarebbe il sicuro segno di un imbarbarimento, dal quale uscirebbe delegittimato lo stesso potere giudiziario. Ha, altresì, riconosciuto l’attività meritoria del Tribunale dei Minorenni di Reggio Calabria che da anni ormai svolge la funzione sociale di porre al centro di ogni decisione esclusivamente il superiore interesse del minore ed il suo sano sviluppo pscico-fisico per renderlo un cittadino dedito al rispetto della legalità.
Moderatore del dibattito è stato l’avvocato Antonino Napoli, presidente del Club, il quale ha sollecitato le riflessioni dei relatori sul fatto che la ‘ndrangheta, più di altre organizzazioni criminali, essendo costituita su basi familiari, si eredita e che essa è un fenomeno sociale e culturale. Pertanto, non può e non dev’essere combattuta solo con le manette, con la pretesa punitiva dello Stato nei Tribunali ma soprattutto a monte, con un sistema di legalità, efficienza e trasparenza, con una presenza credibile dello Stato, nell’economia, nel lavoro, nella scuola, con la prospettazione di un mondo diverso ed alternativo a quello basato sulle regole della criminalità organizzata. Il moderatore ha invitato i relatori ad esprimersi anche sulle critiche ai provvedimenti di allontanamento dalle famiglie di origine ricordando che perfino il presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone sul punto ha affermato: “Resto molto perplesso rispetto a questo tipo di alternativa e credo che questi esperimenti siano la prova del fallimento dello Stato, delle istituzioni” poiché lo scopo condivisibile viene perseguito con un metodo sbagliato; non fosse altro perché lo Stato e le sue articolazioni esporrebbero il loro volto autoritario, con la “violenta” apprensione dei minori così ampliando ulteriormente la platea di cittadini che avvertono lo Stato “nemico” e non “accanto” a ciascuno di noi. Ha sottolineato che questi provvedimenti sono temporanei e cessano al compimento del 18° anno di età. Ha, infine, evidenziato che i provvedimenti di allontanamento devono sempre rappresentare l’estrema ratio quando è evidente il fallimento delle agenzie educative e delle strutture sociali territoriali.
Don Pino De Masi, referente di Libera e Vicario Episcopale per i problemi per la famiglia, ha ricordato la sua esperienza nella lotta alla ‘ndrangheta. Soffermandosi su fatti vissuti come la faida di Cittanova ed evidenziando i differenti risultati che in concreto si possono ottenere con questo tipo di provvedimenti del Tribunale dei Minorenni sulla base del diverso grado di maturità e di condizionamento del minore.
Il magistrato Sebastiano Finocchiaro, giudice presso il Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria, ha descritto la genesi e tipologia dei provvedimenti emessi dal Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria in materia di minori appartenenti a contesti mafiosi. In particolare, dopo aver evidenziato l’insufficienza di una risposta in termini meramente repressivi al problema, come drammaticamente e plasticamente evidenziato dal coinvolgimento nel circuito penale, ripetuto nel tempo, di giovani rampolli appartenenti sempre alle medesime famiglie di ndrangheta in una sorta di perpetuatio ereditaria del vincolo sodale, il relatore ha posto l’accento sull’intuizione sorta circa un quinquennio fa allorquando il Tribunale per i Minorenni reggino ha ritenuto opportuno sperimentare una strada alternativa per assicurare piena ed effettiva tutela ai minori di famiglie mafiose ricorrendo all’adozione di provvedimenti direttamente incidenti, in senso ablativo o limitativo, sulla responsabilità dei genitori. Dopo un excursus sulla cornice giuridica dei predetti provvedimenti civilistici, previo rimando alle norme interne ed internazionali applicabili anche attraverso la dispiegata interpretazione estensiva, si è voluto rimarcare l’assenza di qualsiasi intento punitivo/sanzionatorio in un’ottica puerocentrica del fenomeno, come suggerito dalla recente riforma introducente il nuovo concetto di responsabilità genitoriale in luogo della pregressa nozione di potestà. Se cioè da un lato il minore ha diritto a vivere e crescere nella propria famiglia di origine tuttavia, si è ricordato come, non trattasi di un diritto assoluto ed intangibile in quanto esso trova un controbilanciamento nell’altrettanto fondante interesse dello stesso a ricevere un’educazione responsabile che gli garantisca un adeguato habitat formativo che lo aiuti ad orientarsi nel tempo verso i condivisi valori di legalità, solidarietà, uguaglianza, rispetto delle libertà. Nei casi perciò di riscontrato esercizio distorto della responsabilità genitoriale e della reiterata violazione dei doveri ad essa correlati, per il costante indottrinamento mafioso comportante persino la stessa induzione allo svolgimento di attività delinquenziali, si renderà necessario, onde garantire alla prole minore di provare sistemi di vita alternativi rispetto a quelli deteriori sino ad allora introitati, il suo temporaneo allontanamento dal contesto familiare, spesso segnato dall’inadeguatezza anche delle altre figure familiari di riferimento, ed il collocamento in strutture di accoglienza idonee alla bisogna, con personale specializzato volto ad assicurarle l’assistenza e il sostegno psicologico necessario a far compiere un giorno in piena autonomia e consapevolezza la scelta tra i futuri modelli comportamentali, come recepito nel protocollo d’intesa, dal titolo evocativo “Liberi di scegliere”, stipulato proprio a Reggio Calabria l’1.7.17.
La dott.ssa Melara, psicologa e psicoterapeuta, ha approfondito gli aspetti relativi alla appartenenza e al “pensare mafioso”, ai modi in cui esso si perpetua all’interno delle famiglie, facendo riferimento, in particolare, a situazioni cliniche di lavoro con adolescenti di mafia e mettendo in luce la specificità del lavoro con questi ragazzi, per i quali il tema “identitario”, è particolarmente carico di significati ereditati e necessita di un processo di ri-definizione che può avvenire solo in presenza di adeguato sostegno.
Michele Filippelli, Professore Aggregato di Diritto Privato, è curatore del testo dal titolo “Indottrinamento mafioso e responsabilità genitoriale. L’orientamento giurisprudenziale del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria. Analisi e Prospettive”. Il relatore, rilevando nella società civile fraintendimenti e strumentalizzazioni dei provvedimenti de potestate percepiti da alcuni come mezzi di sottrazione minorile, ha posto l’attenzione sulla necessità di intraprendere un chiaro approccio alla funzione dell’orientamento giurisprudenziale intrapreso dai giudici minorili di Reggio Calabria, individuando correttamente le ragioni dell’attrattiva del nuovo schema di ragionamento. Si tratta di provvedimenti di tutela diretta del minore quando sia ravvisabile un grave pregiudizio, la cui emissione è indipendente da eventuali vicende giudiziarie familiari e che certamente, ma solo come effetto, avrà ripercussioni sull’organizzazione della ‘ndrangheta che rileva una rigida struttura di tipo unitaria basata sul vincolo di sangue della famiglia naturale.