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Statale 106 Jonica: anno nuovo ma solito bollettino da guerra. Quanto valgono le vite degli abitanti della costa jonica?

Si conclude il primo mese del 2020, ma la sicurezza della Statale 106 Jonica RC-TA sembra non interessare a chi di competenza: lo dimostrano i numerosi incidenti in tutte le province che vengono attraversate.
Meno di 24 ore di differenza, meno di 40 chilometri di distanza: altre due vite spezzate nel mese di gennaio sul tratto del basso Jonio reggino della “statale della morte”. Un pedone di 50 anni falciato mentre attraversava la strada, un ragazzino di 15 anni ucciso da uno scontro tra un’auto e uno scooter.
Un bollettino che sembra essere senza fine, nell’indifferenza eterna di chi dovrebbe garantire sicurezza, quella vera, sull’unica arteria che unisce i piccoli paesini nati dall’evacuazione dei centri interni alluvionati, ormai oltre mezzo secolo fa, e colpiti oggi dalla piaga di emigrazione e spopolamento.

Eppure c’è ancora chi ci vive in questo territorio e troppo spesso subisce una quotidiana guerra contro la sicurezza stradale, vedendo morire persone care e amici. Le cittadine e i cittadini che risiedono nei paesi della costa jonica hanno costantemente protestato contro la tutela della vita lungo la Statale: associazioni, singoli e raggruppamenti o comitati spontanei.

Sono state avanzate anche proposte: l’ultima proprio la scorsa estate, con una raccolta firme di iniziativa civica e spontanea, che ha coinvolto centinaia di abitanti nella piccola frazione di Galati di Brancaleone, un puntino sulle mappe geografiche che ha visto troppi morti nel corso degli anni, su quel maledetto asfalto.
Un’iniziativa, che avevamo già diffuso mesi fa, che se replicata avrebbe migliaia di adesioni in tutta la provincia.
Sappiamo, dai promotori, che gli Enti responsabili non hanno mai risposto alle lettere raccomandate inviate a nome della popolazione del luogo: forse non meritano attenzione? Quanto valgono tutte queste vite spezzate?!
Le vite di Alessandro, Salvatore, Antonio, Knut; le vite di chi è sopravvissuto ma con conseguenze irreparabili; le vite di chi si è trovato suo malgrado carnefice su una strada senza le più elementari norme di sicurezza.

Autovelox nei centri abitati e fuori, semafori, attraversamenti pedonali rialzati, illuminazione adeguata, manutenzione e segnaletica: si può fare, tra i tanti eterni cantieri, basterebbe volerlo. Queste le richieste, quasi ovvie, quasi scontate, delle nostre popolazioni: dall’altra parte, in risposta, il silenzio.
Trasporto pubblico, collegamenti adeguati, diritto a vivere ed abitare le proprie case, aggiungiamo noi.
Quanto lavoro e vivibilità porterebbero i servizi sul territorio? Quanta dignità acquisterebbe una popolazione che sa di non essere ignorata? Quanto rispetto meriterebbero delle istituzioni attente alla vita delle persone, a cui è loro dovere rispondere e prestare la propria opera?
Sicuramente tutto quello che serve per contrastare nei fatti la piaga dell’emigrazione, su cui tutti fanno vuota propaganda per eterne campagne elettorali.

Pretendiamo, come popolo di questi territori, risposte e interventi adeguati. Siamo stanchi e stanche di piangere fratelli, sorelle, figli e amici: non è un destino ineluttabile il nostro, ma un diritto alla vita.