Riceviamo e pubblichiamo. Piana di Gioia Tauro: ancora apartheid, case vuote e braccianti accampati e senza documenti
Nella Piana di Gioia Tauro si è nel pieno della stagione di raccolta degli agrumi, e manco a dirlo la situazione abitativa dei lavoratori immigrati delle campagne non è cambiata: container e tendopoli ormai fatiscenti, come pure gli insediamenti informali che sorgono in luoghi abbandonati, rimangono gli unici posti disponibili sia per gli stagionali che per gran parte degli stanziali. Dei fondi del PNRR, che sarebbero dovuti servire per rendere agibili e finalmente aprire le case del Villaggio della solidarietà e di Contrada Serricella (pronte da anni e mai usate), non si sa niente. Il comune di San Ferdinando ne ha sicuramente speso una buona parte per rinnovare il sistema elettrico della tendopoli: adesso ogni tenda ha una presa per la corrente, ma si resta pur sempre in tenda. Per non parlare del campo container di Taurianova (o “Borgo Sociale”, come l’hanno chiamato) pronto dal 2022 ma tuttora inaccessibile a chi vive nei casolari abbandonati proprio a fianco, anche perché per accedervi vengono richiesti permesso di soggiorno e contratto di lavoro, come in tanti altri campi di stato in Italia. Requisiti assurdi da chiedere a persone che vivono e lavorano in queste condizioni proprio perché spesso privi di documenti.
A questa sempre più drammatica e paradossale situazione si aggiungono gli ostacoli che l’amministrazione locale pone continuamente di fronte alle persone immigrate: in molti segnalano ad esempio di aver ricevuto dai comuni di Rosarno e San Ferdinando una carta d’identità della durata di tre anni soltanto, cartacea. La carta d’identità triennale però, per legge, va rilasciata solo ai richiedenti asilo, cioè a chi ha fatto richiesta di protezione internazionale ma ancora non ha ricevuto una risposta. I titolari di protezione internazionale, invece, così come i titolari di ogni altro tipo di permesso di soggiorno, devono ricevere la carta d’identità della durata di dieci anni, elettronica. La vecchia carta d’identità cartacea di per sé comporta non pochi problemi, perchè non viene più riconosciuta in molti uffici, e non dà accesso ai servizi digitali dell’amministrazione pubblica: in molti lamentano di non poter neanche recarsi alle poste con questa carta d’identità, che il sistema non riconosce come valido. Difficoltà che sono conseguenze di leggi razziste, fatte per limitare il più possibile l’accesso ai servizi alle persone immigrate. Questa discriminazione operata da alcuni comuni della piana di Gioia Tauro poi, che non rilasciano la carta d’identità decennale elettronica anche a chi invece dovrebbe averla per legge, è un palese abuso, che costringe le persone a rivolgersi ad altri comuni della provincia più lontani, o in mancanza di mezzi e di conoscenze, a restare senza carta d’identità. Senza contare che gli stessi comuni spesso si rifiutano di rilasciare il certificato di residenza persino a chi vive nelle tende e nei container “ufficiali”, così come accade in altri campi di stato in Italia. Il comune di Rosarno, ad esempio, nega l’iscrizione anagrafica a chi vive nel campo container di contrada Testa dell’Acqua in virtù del loro prossimo trasferimento nelle case del Villaggio della solidarietà: trasferimento di cui però i diretti interessati non sanno niente, e che viene rimandato da anni.
Contro queste assurdità le persone nella piana di Gioia Tauro hanno più volte protestato, dimostrando ancora una volta quanto la condizione di irregolarità giuridica delle persone che vivono in queste aree sia alla radice del sistema di sfruttamento del lavoro. Eppure anche se la mancanza di manodopera in settori chiave dell’economia, tra cui l’agricoltura, è ormai cronica, sulla regolarizzazione delle persone immigrate che ci lavorano e senza le quali questi settori non riuscirebbero a funzionare non si dice più nulla. Anzi, i decreti legge degli ultimi anni hanno ridotto drasticamente le possibilità di ottenere un permesso di soggiorno per chi arriva nel nostro paese o per chi già ci vive da anni senza documenti, e le magre cifre dei decreti flussi non solo non si avvicinano nemmeno a quelle richieste dai datori di lavoro, ma sembrano fatti apposta per non funzionare e creare altra irregolarità. Intanto, nei campi di stato per le persone immigrate e nei centri per il rimpatrio stracolmi si susseguono le proteste e le rivolte contro le torture e le deportazioni. Solo due giorni fa un ragazzo è morto nel CPR di Ponte Galeria, a Roma: un morto di più sulla coscienza di un governo cieco e razzista che continua a gestire l’immigrazione con la repressione.
Dai campi della Calabria all’Italia intera le richieste restano invariate: documenti per tutti, un corretto utilizzo dei fondi europei e statali che risponda alle esigenze dei diretti interessati; case e non container o tende, contratti giusti, libertà.