Riceviamo e pubblichiamo. I no alla fusione a freddo non sono tutti uguali!

Poche settimane fa la trasmissione di Rai 1 Cose nostre ha mandato in onda una puntata sugli omicidi che hanno funestato la valle dell’Esaro, ed in particolare il piccolo borgo di S. Lorenzo del Vallo, dal 2011 al 2016, sullo sfondo di quelle vicende c’era Rende ed i suoi nuovi quartieri sorti intorno all’UNICAL.

Rende negli ultimi decenni ha fatto da sfondo a molti degli episodi legati alla criminalità organizzata: cattura di boss latitanti, ritrovamenti di arsenali di armi, spaccio di stupefacenti.

La città d’oltrecampagnano è il comune con il PIL più alto in Calabria ma, com’è noto, questo indicatore economico descrive tutto tranne i veri valori che fanno una comunità, quelli che rendono la vita degna di essere vissuta. Il PIL, ad esempio, ingloba pure l’economia “illegale” (anche se lo fa solo per una minima parte) che deriva dai traffici e dal riciclaggio dei soldi della ndrangheta.

È chiaro, quindi, che quando si innesca in un territorio il “circuito del cemento”, non ci si può illudere di non alimentare gli appetiti di chi ha necessità di riciclare e pulire i soldi che derivano dal traffico delle armi e, soprattutto, della droga.

Oggi ci si può schierare a “difesa dell’autonomia della propria comunità” contro la fusione a freddo di più comuni ma ci si deve anche interrogare sulle politiche e sulle condotte di chi ha gestito questo territorio negli scorsi decenni.

Quando avveniva il “sacco urbanistico” delle colline di Arcavacata e della piana di Quattromiglia e si attiravano i “capitali illeciti” delle varie “ndrine”, non solo del cosentino ma dell’intera regione Calabria, non si aveva contezza di quello che si stava innescando?

Il fiume di cemento che, seguendo il corso del Crati, scendeva collateralmente dal centro storico di Cosenza, percorreva la piana inondando Gergeri, via Panebianco, Viale Cosmai, Roges, Commenda, Quattromiglia per risalire con l’onda di piena verso le colline di Andreotta e di Arcavacata, davvero ci si poteva illudere che non sarebbe servito a ripulire e lavare il denaro sporco?

Quando oggi ci si erge a difensori dell’autonomia della comunità di Rende, di Cosenza e di Castrolibero, ci si interroga anche sul ruolo avuto in prima persona nella distruzione di questo territorio?

Il “centrosinistra” ed il “centrodestra” che hanno gestito queste comunità, dove erano e cosa facevano mentre i complessi residenziali sulle colline di Arcavacata ed i nuovi insediamenti di Quattromiglia diventavano le più grandi lavatrici dei denari della ndrangheta?

Non possono passare in secondo piano alcuni dati sconcertanti: i commissari prefettizi frequentano il comune di Rende in seguito a dimissioni di sindaci o scioglimenti di giunte comunali con fasi alterne da più di dieci anni, qualche politico di Castrolibero è ancora invischiato in inchieste per mafia ed a Cosenza, sebbene le classi politiche dominanti siano state salvate forse per mano divina, ancora oggi pesa il sospetto di gravi infiltrazioni le quali noi stessi, senza risposta alcuna, abbiamo avuto modo di denunciare pubblicamente.

È chiaro a chiunque che l’approccio alla fusione dei comuni di Cosenza, Rende e Castrolibero non può essere quello della difesa del campanile. Come comunisti crediamo che la questione delle identità storiche e culturali sia molto più complessa e da approcciarsi con uno strumentario molto più variegato di quanto invece si è fatto e si continua a fare nel dibattito delle ultime settimane (per la gran parte a dire il vero, fatta qualche illuminata eccezione, di livello poco edificante). Non crediamo affatto che sia questa la materia centrale della controversia.

Crediamo invece fermamente che la fusione a freddo, voluta e propugnata da un centro destra arrogante e rozzo, derivi dalla necessità di chiudere spazi di democrazia, di accentrare il potere, ridurre i centri decisionali così da poter perpetuare quel modello di sviluppo dell’area urbana cosentina basato sullo sfruttamento intensivo del territorio attraverso il circuito del cemento.

Il soffocamento degli spazi democratici, come dimostra la recente proposta del DDL Sicurezza, è il modello portato avanti dal governo Meloni-Salvini-Tajani e, di conseguenza, pienamente interpretato dal centro destra degli Occhiuto e dal centrosinistra falsamente alternativo. Lo stesso referendum consultivo, indetto sulla base di una legge recentemente modificata e trasformata dal centrodestra, con il supporto del centrosinistra (in cambio della garanzia della fine della consiliatura Caruso a Cosenza!) in senso anti-democratico, oltre ad avere probabili profili di incostituzionalità, è portatore di una idea tesa a ridurre gli spazi della partecipazione ed a favorire l’uso della delega in appalto a minoranze non rappresentative della volontà della cittadinanza.

I cittadini dei tre comuni si vedranno espropriati sempre più degli spazi democratici di confronto e, soprattutto, si vedranno ridurre il potere di controllo sui servizi primari quali sanità, servizi idrici, istruzione, trasporti, ambiente.

La fusione dovrebbe avvenire semmai proprio attraverso la messa in comune della gestione dei servizi primari realizzata con il coinvolgimento e la partecipazione diretta dei cittadini. In passato c’erano stati tentativi di fornire servizi di livello urbano nel settore della mobilità, dei rifiuti ma la difesa dei campanili del rapace ceto politico e gli “appetiti” dei privati che sostenevano – e ancora sostengono! – i carrozzoni clientelari li fecero miseramente fallire.

Consorziare la gestione dei servizi e riportarla direttamente sotto il controllo pubblico, potrebbe essere il punto da cui partire non tanto per praticare una fusione a freddo sul mero piano amministrativo quanto per ottenere una aggregazione pensata innanzitutto per aumentare la qualità della vita dei cittadini.

Bisogna riconoscere che l’area urbana cosentina orientata verso la valle del Crati è una realtà nella vita dei cittadini e delle cittadine dei comuni di Cosenza, Rende Castrolibero ma anche di Montalto, Luzzi, San Fili e diversi altri indipendentemente dagli inquadramenti politici o amministrativi. Proprio per questo motivo essa dovrebbe essere progettata secondo criteri di “area vasta” tali da garantire la vivibilità della città attraverso la pianificazione e l’integrazione di una mobilità eco ed equo-sostenibile, un ambiente risanato e curato attraverso il blocco dello sperpero di territorio e della cementificazione.

Non crediamo dunque nella narrazione che vuole qualche comune (Rende ed in parte Castrolibero) che ha pianificato virtuosamente e qualche altro (Cosenza) che ha sperperato. Il risultato delle politiche urbanistiche nell’area urbana cosentina, infatti, ha prodotto quartieri dormitorio, aria insalubre, mobilità su gomma insostenibile, privatizzazione di beni pubblici e degrado del patrimonio edilizio storico.

Leggiamo dunque nelle posizioni di chi difende i campanili per partito preso la prova del fallimento di queste stesse politiche urbanistiche, di questo modello di sviluppo che ha solo alimentato “economia illegale”: il monte fitti in nero indotto dall’UNICAL rappresenta solo la punta dell’iceberg che nasconde il riciclaggio sotterraneo dei danari sporchi della criminalità organizzata.

Opporsi alla fusione a freddo propugnata dal centro destra significa anche gridare degli imprescindibili NO alle politiche urbanistiche di un centrosinistra riformista che ne è stato e ne è artefice e complice.

Solo sulla base di una partecipazione democratica dei cittadini alle politiche di sviluppo urbano dell’area cosentina si potranno affrontare discussioni pro o contro la fusione, pro o contro l’aggregazione dei servizi e delle comunità. Crediamo che tali processi debbano passare, innanzitutto, attraverso percorsi partecipativi che prevedano la gestione comunitaria dei servizi primari, riportandola sotto il controllo pubblico e sottraendola ai “prenditori locali” che, avendo come scopo delle loro attività il profitto, finiscono con il far riprodurre un sistema politico clientelare e con l’alimentare la piovra ndranghetista.

Domenico Passarelli Rita Dodaro Co-segretari circolo “Gullo-Mazzotta” area urbana Cosenza PRC-SE, Gianmaria Milicchio Segretario provinciale Partito della Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, Delio di Blasi Comitato politico federale PRC-SE Cosenza.