Reggio, incontro dell’Associazione Anassilaos sul piano Marshall
Si è parlato in questi mesi da parte di esponenti politici, di giornalisti e opinionisti di Piano Marshall.
Da più parti, soprattutto in relazione alla grave crisi innescata dall’epidemia di corona virus, che sembra aver riportato l’Europa e il mondo agli anni che seguirono la conclusione della 2^ Guerra Mondiale, è stato invocato un nuovo piano Marshall.
A spiegare cosa è stato, nella realtà, il Piano Marshall l’Associazione Culturale Anassilaos, congiuntamente con lo Spazio Open, ha promosso ancora un incontro in remoto, disponibile sul sito facebook di Anassilaos e su You Tube a partire da oggi.
A ricostruire le premesse storiche e politiche nonché le finalità strategiche di questo progetto di ricostruzione dell’ Europa devastata dalla Guerra sarà il Prof. Antonino Romeo che ben a ragione colloca tale iniziativa statunitense nel clima di quella contrapposizione ideologica (guerra fredda) che, all’indomani della vittoria sul nazismo, divideva ormai gli alleati di quella che era stata una innaturale alleanza tra nazioni ideologicamente molto diverse: Usa, Gran Bretagna e Francia liberal democrazie, l’URSS una dittatura marxista.
Il progetto fu messo in moto e poi dagli Stati Uniti. Il 5 giugno 1947, sotto la presidenza di Harry Truman, succeduto a Roosevelt nel 1945, all’Università di Harvard, l’allora segretario di Stato statunitense Generale George Marshall tenne un discorso, breve ma di vasta portata economica e storica, in cui annunciò il varo di quel piano di sostegno a favore delle disastrate economie europee che da lui prese il nome. Il progetto, sul piano formale, si rivolgeva anche alle economie dei paesi dell’Est posti sotto il controllo dell’Unione Sovietica e della stessa URSS ma era evidente che nel clima di contrapposizione ideologica che di volta in volta sembrava potesse sfociare in un nuovo conflitto armato (vedi il blocco di Berlino) tra ex alleati, il Piano fu rivolto ai paesi occidentali e alla Germania Ovest (sotto occupazione statunitense, inglese e francese) perché i paesi dell’Est, su imposizione russa, rifiutarono di aderirvi. La stessa URSS spinse sui partiti comunisti fratelli in Italia e in Francia affinché si opponessero all’adesione.
Nell’aprile del 1948 il presidente Truman istituì l’Economic Cooperation Administration (ECA), incaricato di definire le politiche di aiuto, e l’European Recovery Program (ERP), al quale spettava compito specifico di gestire gli aiuti per ciascun paese. Il piano avviato nella primavera del 1948 si concluse di fatto nel 1951. L’idea di proseguire oltre tale data fu presto accantonata per l’insorgere della guerra di Corea e il cambio di amministrazione negli Usa nel 1953. Gli ideatori del Piano ritenevano che il sostegno dato non dovesse essere utilizzato per affrontare contingenze immediate (acquisto di derrate alimentari, combustibile ed altro) quanto piuttosto a creare in ciascun paese nuove strutture industriali capaci di rilanciare l’economia ma è del tutto evidente che contingenze politiche (vedi in Italia lo scontro tra la DC e il PSI-PCI) indussero molti paesi beneficiari, compresa l’Italia, ad utilizzare tali fondi per venire incontro ai bisogni primari della popolazione.
Se da taluni oggi ancora si discute sul contributo reale che il Piano diede al risorgere dell’Europa, è indubbio che tale operazione che, occorre dirlo, favorì, anche l’economia statunitense che registrava un surplus di produzione che prese la via dell’Europa, contribuì a risollevare un continente nel quale sia i le nazioni vincitrici che quelle vinte uscirono stremate dal conflitto.
Caterina Sorbara