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Primo Maggio e Coronavirus, lettera aperta alle donne delle istituzioni per una nuova stagione del lavoro

Carissime,
anche quest’anno ci apprestiamo a festeggiare un primo maggio che ci ricorda, in particolar modo nella nostra terra, sempre più un lavoro che non c’è o, nelle più fortunate ipotesi, ci ricorda un lavoro che non vanta, ahinoi, nessun diritto.
A mettere nero su bianco una situazione già drammatica di suo, ci pensa adesso il coronavirus. La pandemia che sta coinvolgendo il mondo intero, dal punto di vista economico, miete più vittime in quei territori in cui i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici erano già precari. E così, se la Calabria regge fortunatamente il contraccolpo dal punto di vista sanitario (grazie alla responsabilità dei cittadini), poco ha potuto fare per sostenere il danno economico.
La Calabria è la regione italiana con il più alto indice di disoccupazione femminile, e le poche donne che lavorano risultano essere quelle impiegate nel settore pubblico. Ma c’è un mondo sommerso, quello del lavoro nero che coinvolge tutti i settori, che vede invece le donne in cima alla lista.
Donne, lavoratrici senza diritti, costrette ad accettare un lavoro mal retribuito che le priva persino della propria dignità. Le stesse donne che adesso, chiuse in casa senza alcun sostegno economico, affiancano gli insegnanti nel portare avanti la didattica a distanza, badano ai figli più piccoli e si occupano come sempre di mandare avanti il lavoro domestico.
Donne, lavoratrici, che adesso rischiano di perdere quel lavoro proprio perché già privo di ogni diritto. Lavoratrici per le quali non è prevista alcuna forma di ammortizzatore sociale, che non possono autocertificare l’uscita per andare al lavoro, madri che non hanno il diritto, perché non possono dimostrarne i requisiti, di chiedere il bonus baby sitter. E le baby sitter stesse, donne anche loro, già lavoratrici in nero come le colf e le badanti. Poter poi usufruire del congedo parentale è davvero una chimera.
Con la decisione di non riaprire le scuole, le mamme saranno costrette a rinunciare persino al lavoro nero.
Senza dimenticare le tirocinanti, vittime di un precariato legalizzato, e le casse integrate in deroga che ancora non hanno visto un centesimo di euro.
Il pensiero poi va indiscutibilmente alle vittime di violenza domestica, il cui destino si collega al lavoro che non c’è e quindi a quella autonomia economica che permetterebbe loro di denunciare più facilmente il partner violento. Donne che in Calabria soffrono anche della disattenzione di una politica miope che troppo spesso si dimentica di stare vicina a chi queste donne le sostiene, le aiuta e le mette a riparo dall’uomo violento.
E così, questo primo maggio dovrebbe offrirci il tempo di una riflessione. E’ davvero il Covid-19 la causa di questa crisi economica? O è forse un virus ancora più subdolo, quello di cui dovremmo preoccuparci, un virus che si alimenta e cresce nella mancanza di politiche adeguate a far emergere il lavoro sommerso, nella mancanza di politiche del welfare quindi di soluzioni pratiche dirette a migliorare le condizioni di vita dei cittadini garantendo pari opportunità a tutti?
L’impegno quindi è quello di tenere i riflettori accesi sulla condizione della donna e spingere l’acceleratore affinché si avvii in maniera tempestiva una strategia tesa a creare nuovi posti di lavoro, magari facendo emergere il sommerso.

Caterina Vaiti Nausica Sbarra Anna Comi
Segreteria Regionale CGIL CALABRIA CPO CISL CALABRIA CPO UIL CALABRIA