Prematura scomparsa di Don Sergio Spezzano, poeta arbëresh
È venuto a mancare prematuramente il poeta arbëresh don Sergio Spezzano, figura luminosa e carismatica dell’Arbëria. Don Sergio è deceduto nella sua Abbazia di Chiaravalle a Milano dove da anni era entrato a far parte del convento con il nome di Padre Elia Folco, lasciando un vuoto profondo nei cuori di coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di essere ispirati dalla sua umanità e intelligenza.
Qualche settimana fa la sua ultima uscita pubblica, nella sala dell’Abbazia, a Milano, con la presentazione del suo ultimo libro di poesie “Stagioni di Luce” assieme allo scrittore arbëresh Vincenzo Demasi e in compagnia di tanti amici.
Don Sergio ha celebrato sempre la cultura arbëreshe, i suoi luoghi d’origine attraverso la sua poesia intensa, colta ma dalle parole semplici.
Sergio Spezzano nasce a Pallagorio nel 1963 da una famiglia di artigiani. A 14 anni parte per Roma con la famiglia e frequenta il liceo classico.
Seguono gli studi di giurisprudenza, e poi di filosofia e teologia al Seminario Romano Maggiore.
Dopo gli studi a Roma inizia il suo percorso sacerdotale che lo porterà nella sua Pallagorio negli anni ‘90. Poi sarà sacerdote a Belcastro in provincia di Catanzaro, per trasferirsi a Roma.
Nel 2008 entra a far parte dell’ordine cistercense e nel 2012 infine raggiunge Milano; l’Abbazia di Chiaravalle era diventata la sua casa.
Don Sergio soffriva da anni di gravi problemi di salute, che però aveva affrontato, e affrontava, sempre con grande forza e assoluta speranza.
Nel 2016 sopraggiunge anche la cecità che non gli impedisce di proseguire la propria attività poetica.
Tra le sue opere:
Nuovi Sentieri, D’amore e di dolore, La terra consolata, Croci del Sud, e l’ultimo, Stagioni di Luce.
La sua presenza radiosa e la sua simpatia leggera hanno donato gioia a tutti coloro che hanno incrociato il suo cammino.
Le parole della sua ultima poesia, inviata la sera prima della sua morte al gruppo di poeti e amanti della poesia che frequentava su whatsapp, suonano come un ultimo annuncio:
“Alla mia morte (cuore Arbresh)”,
Io vorrei che non ci fosse silenzio
Alla mia morte, ma suono di flauti
Che sovrasta le grida delle donne
Con un tono acuto e struggente.
L’acqua e il sale delle lacrime,
Raccolti in piccoli recipienti,
Siano poi versate nel mare Ionio,
Mare della nostra separazione.
Seppellitemi in una foresta,
Sotto una quercia dalla cui cima
Si veda in dissolvenza col cielo
La patria lontana, cui appartengo.
E poi io sarò uno con la terra,
E le mie ossa terra nella terra,
E il mio cuore, il mio cuore Arbresh,
Pian piano si scioglierà nella terra.
io non so se il cielo piange o ride
Di me e di questi miei desideri.
Ma so che veglia perché gli uomini
Siano uno in una sola patria.
Parole rimangono come un testamento della sua anima gentile e del suo legame profondo con la terra e la patria lontana, con il desiderio che il suono dei flauti e il mare Ionio raccolga le nostre lacrime, mentre la sua anima si unisce alla terra che tanto amava.
Don Sergio Spezzano vivrà nelle pagine dei suoi libri, lasciando un’eredità di saggezza e compassione.
Ciao Don Sergio, cuore arbëresh. Il tuo spirito rimarrà sempre vivo. ❤️🇦🇱