POLITICHE SANITARIE. NOI ABBIAMO UN PROGETTO E CALLIPO UN METODO PER ATTUARLO

Stiamo assistendo, in questi ultimi mesi, a una serie di iniziative di sindaci della nostra regione che, giustamente preoccupati per l’aggravarsi della carenza di prestazioni erogate dal Servizio Sanitario Regionale, chiedono con forza che i Presidi Ospedalieri, dove vivono le Comunità che loro amministrano, diano immediate ed efficaci risposte ai bisogni di salute.
La protesta dei sindaci si inserisce in un contesto che vede la nostra regione sempre più marginale:
• il nostro PIL nel 2018 è diminuito dello 0,3%;
• la popolazione continua a diminuire; siamo 1 milione e 965 mila residenti;
• il tasso di fecondità è pari a 1,29 figli/famiglia, a differenza della media nazionale che è di 1,34;
• l’aspettativa di vita in buona salute è di 52 anni, mentre nella provincia di Bolzano è di 69 anni;
• abbiamo la più alta percentuale (23,8%) di abitanti con almeno due patologie croniche;
• la dotazione di posti letto ordinari ospedalieri, pari a 2,5 posti/1000 abitanti, è la più bassa in assoluto, inferiore a quella della Campania (2,7) e lontanissima dai livelli di Emilia-Romagna (3,9) o Molise (3,8);
• l’assistenza residenziale e semiresidenziale che svolge un ruolo importante, sia nel favorire il processo di de-ospedalizzazione sia nel garantire una risposta adeguata alla domanda sanitaria proveniente da persone non autosufficienti o con gravi problemi di salute, registra un dato statistico di 1,2 posti/1000 abitanti al Sud contro una media nazionale di 3,9 posti letto, e una media di 6 posti letto al Nord;
• la disponibilità più elevata di medici si riscontra negli istituti di cura localizzati nel Centro Italia, sia rispetto ai posti letto che al numero di abitanti (2,3 medici/1000 abitanti a fronte di 1,6 medici in Calabria).

I dati 2018 provenienti dal Tavolo Adduce, presso il Ministero della Salute, sono ancora più preoccupanti perchè, a distanza di più di 10 anni dal commissariamento della Sanità Calabrese, la mobilità passiva ha raggiunto i 354 milioni di euro. Ancora più strabiliante è che 60 milioni di euro di mobilità siano per prestazioni “a bassa complessità”, ovvero costi per cure extraregionali che potrebbero essere facilmente essere operate in Calabria; basti pensare agli 870 nell’ultimo anno per parti fisiologici fuori regione.
L’inefficienza del nostro Servizio Sanitario si sintetizza in un deficit complessivo di 992 milioni di euro, escludendo la misteriosa ASP di Reggio (bilancio oscuro). Nel solo 2018 si è prodotto un disavanzo di 213 milioni di euro che si sono tradotti in ulteriore carico fiscale sulle spalle dei calabresi, attraverso IRAP e IRPEF per complessivi 106 milioni di euro.
La situazione si presenta disastrosa e può essere affrontata solo attraverso la predisposizione di un aggiornato “Piano Regionale per la salute “. L’ultimo è stato approvato nel lontanissimo 2004.
Anche in mancanza di un Osservatorio Epidemiologico all’altezza delle necessità del territorio, la cui assenza è assolutamente ingiustificabile, è evidente una situazione di crisi senza precedenti, in cui si registra:
• un incremento delle patologie croniche che assorbono oltre il 70% della spesa sanitaria e determinano la necessità di nuovi modelli assistenziali quali l’Assistenza domiciliare a lungo termine;
• la disponibilità di un arsenale di farmaci che ha ridotto il tasso di mortalità generato da molte patologie ed ha nel contempo ha aumentato la cronicizzazione;
• la disponibilità di moderne tecnologie che consentono l’assistenza da stazione remota;
• il sensibile cambiamento degli stili di vita quale determinante dello stato di salute del cittadino .
Il proposito di affiancare la Calabria con professionalità provenienti dalla Regione Veneto per risolvere i problemi chirurgici degli Ospedali calabresi, o utilizzare la Regione Campania per la gestione le gare per le forniture, oltre che umiliante, non potrà dare effetti concreti fino a quando non si valorizzerà la Medicina Territoriale, gli Ospedali continueranno ad essere oberati da ricoveri inappropriati e da lunghe liste d’attesa e non si adegueranno sul piano quantitativo gli organici della SUA calabrese .
Chiunque, dopo le elezioni ormai prossime, avrà il compito di governare la Calabria dovrà porsi il problema di migliorare i servizi sanitari offerti alla comunità regionale. E non sarà una sfida semplice perché lo stato di salute dei cittadini e la possibilità di accedere alle cure mediche dipendono da diversi fattori che non sono di natura esclusivamente finanziaria. Entrano in gioco fattori quali lo stile di vita, la morfologia del territorio, le abitudini alimentari, la salubrità delle acque e dell’aria, la mobilità territoriale, il sistema formativo ed informativo ed altri ancora. Tutti fattori che si aggiungono a quelli legati al modello organizzativo e gestionale ospedaliero e territoriale.
Mentre sul modello organizzativo e gestionale è pensabile, oltre che necessario, poter intervenire in tempi medio-brevi cambiando il modo di programmare ed attuare le politiche sanitarie e, pertanto, cambiando la mentalità della rappresentanza politica nelle assemblee elettive regionali e nazionali (ovvero puntando su persone oneste e di elevato spessore tecnico), sugli altri fattori i tempi necessari per affermare nuovi modelli culturali e realizzare le infrastrutturazioni di nodo e di rete necessarie sono molto più lunghi (costruzione di nuovi ospedali, ristrutturazione di presidi territoriali, viabilità di accesso alle aree interne in condizioni disastrose, siti inquinati da bonificare, ecc.) e ciò si riflette inevitabilmente in diseguaglianze a scala locale.
Occorre in ogni caso creare le basi affinché il modello di Servizio Sanitario Nazionale (SSN) introdotto in Italia fin dal 1978, basato sul principio di universalità e di uguaglianza, trovi attuazione anche per i calabresi i quali, a parità di bisogni, dispongono oggi di prestazioni assai inferiori rispetto a quelle offerte ad un cittadino del Nord Italia o di altre regioni del Sud come la Puglia. Il divario di prestazioni si è ancor più accentuato dopo la riforma del Titolo V° della Costituzione allorquando gli Enti periferici dello stato, comprese le Regioni, hanno acquistato autonomia finanziaria in ordine ai sevizi essenziali da erogare ai cittadini. E il divario non risulta peraltro assolutamente compensato dalla previsione del fondo perequativo a favore dei territori con minore capacità fiscale per abitante. E si corre il rischio di un ulteriore aggravamento della situazione, con il paventato FEDERALISMO differenziato proposto dalla Lega, che si tradurrebbe in:
• risorse totalmente raccolte dalle Regioni;
• soppressione dei trasferimenti erariali (soprattutto abolizione dell’integrazione Fondo Sanitario Nazionale);
• risorse complessive regionali legate allo sviluppo del reddito e dei consumi;
• concorso/assegnazione in base a capacità fiscale;
• importanza attribuita alla spesa storica (peso decrescente fino ad esaurimento nel 2023).
Ove questo sciagurato disegno venisse a compimento, per molti, e soprattutto per i calabresi, il SSN secondo i dettami della Costituzione non sarà mai più realizzabile.

Occorre dunque agire ed in fretta per qualificare i diversi livelli di assistenza (Medicina preventiva; Medicina territoriale; Medicina ospedaliera; Medicina di Emergenza-Urgenza) attraverso azioni mirate che possono contribuire a modificare in positivo un insieme di indicatori significativi; occorre in particolare puntare a:
• colmare la carenza di personale ospedaliero;
• ridurre le liste d’attesa per l’accesso alle analisi mediche e alla diagnostica;
• promuovere la politica degli screening;
• razionalizzare la spesa farmaceutica;
• rinnovare l’attenzione per le cure primarie;
• rafforzare l’assistenza domiciliare integrata;
• rafforzare i servizi residenziali non ospedalieri nelle RSA;
• attivare una nuova regolamentazione del rapporto pubblico/privato;
• sostenere la collaborazione interattiva con i centri di ricerca universitari.
Più in generale, occorre attivare un processo virtuoso in grado di restituire fiducia ai cittadini calabresi per attenuare il fenomeno della “mobilità sanitaria fuori regione”, con l’obiettivo dichiarato di eliminarlo. La mancanza di fiducia si traduce, tra l’altro, in una minore propensione a curarsi tra le fasce di popolazione più debole, accelerando il processo di impoverimento sociale e sanitario dei territori. In un sistema in perenne transizione rispetto alla necessità di garantire Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), l’obiettivo prioritario deve essere quello di ridurre la domanda di ospedalizzazione prevenendo l’insorgenza delle malattie prima che diventino acute.
Spesso, inoltre, viene trascurato un altro fattore di grande importanza utile a dare maggiore efficienza alla complessa macchina del sistema sanitario, ovvero il ruolo degli addetti ai settori tecnico-amministrativi; essi rivestono una grande responsabilità nella gestione delle risorse, nei meccanismi di valutazione e controllo, nella selezione e gestione delle moderne tecnologie, nella informatizzazione del sistema, nella programmazione e realizzazione degli interventi strutturali ed infrastrutturali. Dalla qualificazione dell’apparato tecnico-amministrativo dipende una fondamentale azione di supporto per mettere in condizione gli operatori della sanità di esprimere pienamente le loro professionalità; occorre mettere in piedi una sana ed equilibrata struttura di governo tecnico (direzioni amministrative, uffici con sezioni di ingegneria clinica, uffici preposti alla programmazione finanziaria e alle politiche di investimento, di gestione e valorizzazione del patrimonio aziendale e, non ultimo, di controllo di gestione delle aziende territoriali ed ospedaliere).
Si tratta, in definitiva di ripensare le politiche sanitarie regionali, partendo dal dato di fatto che le aziende ospedaliere, così come organizzate, non sono in condizione di assorbire la domanda di sanità loro rivolta se la stessa domanda non viene contenuta attraverso l’integrazione con un aggiornato ed efficiente sistema di medicina preventiva territoriale.

La competenza è dunque uno dei presupposti richiesti per poter risanare e rilanciare il SS regionale. Quella competenza impiegata nella elaborazione partecipata delle nostre “pillole di programma”; (www.10idee.it) o quella del movimento culturale “Comunità competente” costituita da 28 associazioni calabresi che hanno approvato e sostengono le proprie “linee guida per una riforma della sanità in Calabria” presentate nel mese di luglio 2019 ai Commissari ministeriali per la gestione del Piano di rientro della sanità calabrese.

Francesco Costantino, Maria Pinneri, Domenico Gattuso
(Movimento 10 Idee per la Calabria)