Ottanta anni fa, il 10 giugno del 1940, l’Italia entrava nella Seconda Guerra Mondiale.
A tale anniversario l’Associazione Culturale Anassilaos, congiuntamente con lo Spazio Open, dedica una conversazione del Prof. Antonino Romeo, disponibile da oggi sul sito Facebook dell’Associazione e su You Tube.
Con una scelta che avrebbe segnato il destino del Paese e la sorte del Fascismo e del suo fondatore, Benito Mussolini annunciava da Palazzo Venezia l’entrata in guerra dell’Italia contro le potenze “demoplutocratiche” di Francia e Gran Bretagna. Era una scelta improvvida ma inevitabile le cui premesse sono da ricercare nella politica di stretta alleanza dell’Italia fascista con la Germania di Adolf Hitler, alleanza cementata dalla firma del Patto d’Acciaio (in tedesco Stahlpakt) firmato il 22 maggio 1939 dai rispettivi ministri degli Esteri Galeazzo Ciano e Joachim von Ribbentrop e valevole per dieci anni. Con tale accordo, in sostanza, l’Italia dava all’alleato una libertà di iniziativa le cui conseguenze si sarebbero viste allorché il 1° settembre 1939, con l’attacco alla Polonia, il regime nazista scatenava la Seconda Guerra Mondiale, quella guerra che secondo le assicurazioni tedesche fornite all’alleato italiano sarebbe dovuta cominciare almeno tre anni dopo, nel 1942-1943. L’Italia proclamò, in quella circostanza, la cosiddetta “non belligeranza”, una espressione, rileva il relatore, che evitava la parola “neutralità”, che non poteva rientrare nelle corde del Duce, ma che in sostanza dichiarava al mondo che l’Italia non sarebbe scesa al fianco dell’alleato tedesco, almeno per momento. Era una situazione spiacevole per Mussolini che si trovava nell’impossibilità di combattere, come avrebbe desiderato, a causa anche e soprattutto della impreparazione delle forze armate italiane esauste a causa della recente guerra d’Etiopia e dell’intervento in Spagna a fianco del Generale Franco. Quello che più infastidiva il Duce era anche il sentimento pacifista degli Italiani che, come egli stesso poteva rilevare dai rapporti della Polizia, era di spiriti antitedeschi e favorevole alla Polonia. A ciò si aggiunge la posizione degli industriali che ritenevano la “non belligeranza” utile all’economia italiana e ai loro affari nonché il ruolo della Chiesa che, con il nuovo pontefice Pio XII, si adoperava a tenere l’Italia fuori dal conflitto. A far precipitare la situazione, dopo la conquista della Polonia e i mesi della cosiddetta “strana guerra” o “Sitzkrieg” (guerra seduta) nel corso dei quali ci si adoperò per giungere alla pace, fu la ripresa delle ostilità da parte tedesca con l’occupazione della Danimarca e Norvegia (iniziata il 9 aprile) e l’avvio della Campagna di Francia (10 maggio 1940) con l’aggressione ai neutrali Belgio, Olanda, Lussemburgo e l’invasione della Francia. Alla vigilia dell’intervento italiano la Francia, una delle grandi potenze mondiali, era stata battuta in pochi giorni.
La guerra europea sembrava dunque avviarsi a conclusione con la vittoria tedesca, una vittoria alla quale l’Italia non aveva dato alcun contributo concreto. Da qui la decisione, improvvida ma inevitabile, di entrare in guerra al più presto, nonostante le condizioni non ottimali delle forze armate italiane, per poter svolgere un ruolo nelle ormai prossime, o che tali si ritenevano, trattative per la pace. “Ho bisogno solo di alcune migliaia di morti per sedermi alla tavola della pace come belligerante“ si dice abbia detto per stroncare ogni dubbio. Già nella Battaglia delle Alpi Occidentali (1-25 giugno 1940), nonostante il coraggio dei soldati italiani, tale impreparazione si rivelò nella difficoltà di fronteggiare le truppe francesi.
Successivamente, a partire dall’attacco alla Grecia del 28 ottobre del 1940, tale realtà divenne palese al punto che soltanto con il sostanziale intervento tedesco sia nei Balcani che in Africa, l’Italia fascista, nonostante il coraggio e lo spirito di sacrificio dei suoi soldati, riuscì a conseguire un qualche, sia pur provvisorio, risultato.
Caterina Sorbara