Omogeneità territoriale, Mazza (CMG): “La via maestra alla creazione di ambiti ottimali”
Il dibattito sulla istituzione di una nuova Provincia continua a tenere banco alle latitudini di nord-est della Calabria. Si dice tutto e il contrario di tutto. Nondimeno, a fianco sterili opinioni, talvolta nascoste finanche negli slogans, non si riesce a scorgere uno straccio di visione né la capacità di tracciare un reale disegno di sviluppo per il territorio. Contestualmente, latita la modalità con cui si dovrebbe calare nelle dispozioni normative oggi presenti, l’idea-proposta di una nuova autonomia territoriale, ma tant’è. Chiaramente, questo mia osservazione non vuole essere un imperio a legittimare chi possa o meno esprimere un parere sulla vicenda. Soltanto, la necessità che parimenti l’affiliazione a una linea di pensiero si fornisca una motivazione su come e per quale fine si intenda realizzarla.
Uno sguardo ai processi storici di omogeneità territoriale nella costituzione degli ambiti d’area vasta
La storia, non proprio recentissima, ci insegna che i piccoli contesti e gli ambiti non amalgamati per omogeneità territoriale e per comuni interessi economici hanno dimostrato, nel corso del tempo, tutti i loro limiti. Chiariamo subito che il temine “piccolo” non è da considerarsi come dispregiativo di un ambiente territoriale. Certamente, una succinta dimensione geopolitica, circoscritta da ambiti di dimensioni maggiormente rilevanti, è destinata ad essere eclissata. Le esperienze di Vibo e Crotone, d’altronde, lo dimostrano ampiamente. Il primo contesto raccolto nella morsa di una Città Metropolitana a sud e di una Provincia madre a nord-est, entrambe sovradimensionate rispetto l’ambito Vibonese, non ne hanno mai consentito la piena espressione. Contrariamente, se già in fase costitutiva della nuova Provincia di Vibo ci fosse stato l’acume di guardare all’affine area della Piana di Gioia, con ogni probabilità, il paradigma politico del Taurense e delle Serre sarebbe stato diverso. In quel caso, purtroppo, la celerità con cui l’allora Sen. Murmura concretizzò e licenziò la vicenda Vibo portò l’uomo di Stato a non ponderare, dal punto di vista dei contrappesi politici, i limiti di un territorio molto più simile ad un fazzoletto di terra che a una dimensione ottimale.
Parimenti, dicasi per l’area del Marchesato. Chiusa, quest’ultima, nella stretta mortale dell’Istmo a ovest e di una Provincia, fra le sei più grandi d’Italia, a nord. Vero è che, tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, l’influenza politica cosentina a Roma fu determinante per la nascita della Provincia di Crotone. Quanto, al tempo, non fu percepito — e la memoria storica dell’amico e già Amministratore dell’Ente pitagorico, Mimmo Critelli, può confermarlo — è che l’interesse della Politica bruzia a favorire l’autonomia del Crotonese non fu finalizzato a consentire una reale emencipazione di quel contesto. Piuttosto, fu il pretesto per infliggere un colpo mortale alla nemica di sempre: Catanzaro. D’altronde, quale occasione migliore per dimostrare una supremazia dell’ex Calabria Citra, rispetto alla ex Provincia di Catanzaro mutilata, in un solo colpo, della sua area a sud-est e di quella a nord-ovest. Qualche mente non offuscata e ancora libera da preconcetti, invero, ricorderà che dalla metà degli anni ’90 e per i primi anni del ’00, la città di Cosenza fu imbrattata da manifesti che inneggiavano alla costituzione di un ambiente denominato “Cosenza Regione”. Tale tentativo d’autonomia, poi finito nel limbo della vaghezza, oggi ha ritrovato nuova linfa, seppur in una dimensione amministrativa diversa. Non è un mistero, infatti, che nell’evoluzione del processo di sintesi amministrativa imbastito nel vallo del Crati ci sia il più sfidante obiettivo della costituzione di una Città Metropolitana.
Ad ogni modo, il processo di scorporo perimetrale del Crotonese e del Vibonese avvenne in un periodo in cui la Regione contava circa 2.1Ml d’ab. Già allora, a taluni, parve incomprensibile destruttrare il vecchio sistema, oltretutto in maniera non organica. Oggi, con una popolazione complessiva di circa 1.8Ml e un’emorragia demografica che aumenta vertiginosamente, pensare di propone una sesta provincia in Calabria, e non già l’ottimizzazione dell’esistente, appare tragicomico. È chiaro, dunque, che simili idee potrebbero attecchire soltanto in un teatro inscenante satira. Diversamente, ci sarebbe da preoccuparsi, seriamente, per la salute mentale dei proponenti insensati ed antistorici disegni come la Sibaritide-Pollino.
Guardando, poi, oltre il semplicistico contesto regionale, stessa sorte delle due giovani Province calabresi sarebbe toccata all’attuale ambito di Forlì-Cesena. Molti ricorderanno, infatti, che in attivazione per scorporo della Provincia di Rimini dall’allora Provincia di Forlì, anche il Cesenate anelava la propria autonomia. Fu la perspicacia dell’allora Classe Dirigente di Cesena che comprese le affinità esistenti tra il Cesenate (210mila ab) e il Forlìvese (185mila ab). Pertanto, piuttosto che dilaniare ulteriormente la Provincia di Forlì, che aveva già perso il Riminese (330mila ab), si studiò il sistema del doppio Capoluogo con Forlì, trattandosi anche di aree ad interesse comune. Oggi tutti quei contesti provinciali compresi tra la Romagna e l’Appennino marchigiano (tra l’altro alcuni Comuni marchigiani sono passati in Emilia-Romagna, migrando dalla provincia di PU a quella di RI) sono formati da ambiti quasi sovrapponibili. Quando detto, vale sia per l’ampiezza delle aree, sia per il dimensionamento demografico degli Enti di secondo livello e, soprattutto, per la omogeneità nell’aver saputo amalgamare contesti rivieraschi con ambienti pedecollinari direttamente afferenti ai primi.
Fa eccezione, ma conferma quanto sostenuto qualche capoverso sopra, Fermo. Quando venne staccata dalla ex Provincia madre di Ascoli Piceno non furono tenuti in debita considerazione gli ambienti dimensionali e demografici degli ambiti. Tantomeno, si guardò ai contesti prossimi alle due riperimetrate aree. Oggi, infatti, tanto la Provincia di Ascoli (200mila ab) quanto quella di Fermo (160mila ab) non dispongono più di autonomie politiche, ma dipendono dalle direttive dei ben più dimesionati contesti contermini.
Ancora, l’omogeneità territoriale e l’equo rapporto demografico sono alla base del sentimento di emancipazione amministrativa nato a Spoleto alcuni anni fa. Nella Città umbra, infatti, il bisogno di autonomia politica non si è palesato con la semplice volontà di staccarsi dal centralismo perugino. È in atto, piuttosto, un progetto plurale e condiviso di sintesi territoriale tra la sottodimensionata Provincia di Terni e l’area Spoletino-Valnerina. Quanto riferito, al fine di creare un contesto territoriale imbastito su un doppio Capoluogo (Terni e Spoleto) che consentirebbe un riequilibrio sistemico e strutturale di tutta l’Umbria.
Si potrebbero fare esempi a iosa, sparsi lungo tutto il territorio nazionale, di contesti geografici alla ricerca della propria dimensione ottimale. Tuttavia, nessuno si avvicinerebbe, neppure lontanamente, al sentimento semplicistico e puerile che, in riva allo Jonio, vorrebbe un nuovo contesto provinciale (Sibaritide-Pollino) fatto da ambiti con economie ed interessi diversi e con tradizioni e costumi diametralmente opposti.
A sud di Sibari esiste un chiaro problema di natura culturale
Resta da constatare, comunque, che se le proposte e le affiliazioni giornalmente riprodotte sulla stampa vedono sempre più Personalità sostenere una proposta (Sibaritide-Pollino) che ancor prima che inattuabile è scriteriatamente illogica, in riva allo Jonio siamo di fronte ad un problema di tipo culturale. Potrei finanche adoprarmi e capire determinati ragionamenti a nord di Sibari. In quel quadrante, oltretutto, una forzata centralità di Castrovillari fu imposta dalla revisione storica attuata in era napoleonica. Del resto, ancor prima della creazione dell’attuale foro del Pollino — quello artatamente disegnato sulle menzogne di un alto Funzionario di Stato — quelle Popolazioni, contro ogni logica di natura geografica, avevano in Castrovillari il proprio riferimento. Ma quando attestati di stima all’idea di una Provincia tra l’ambiente di costa e la linea valliva interna arrivano dal territorio compreso tra le valli del Trionto e del Neto — una fra le più grandi aree interne d’Italia e naturalmente adagiata tra le città di Crotone e Corigliano-Rossano — la cosa comincia a diventare preoccupante. E non già per la proposta in sé, quanto per il più completo disconoscimento del quadrante distrettuale in cui si vive.
Mi chiedo, a questo punto, se anche la mancata presenza di percorsi universitari nelle Città joniche abbia influito su un così stagnante livello culturale. Pensare che Amministratori del basso Jonio cosentino possano immaginare affinità e legami tra il Pollino interno (che da sempre è legato a Cosenza per questioni d’opportunità) e la Sibaritide, mi lascia perplesso. Parimenti a come ritengo incomprensibile che Sindaci del Cirotano non trovino argomentazioni per inserirsi nel dibattito su nuove forme d’autonomia. Forse, quest’ultimi, immaginano l’esistenza di moderne Colonne d’Ercole tra Cariati e Torretta…. Non trovo altra spiegazione, d’altronde, che non vada nel mondo dell’implausibile.
Mi rendo sempre più conto, invero, di quanto attuali siano le parole del compianto Sindaco Senatore che, riferendosi alla sua Crotone, disse: “Una Città senza Università resterà sempre un Paese”. Non credo, in tutta franchezza, che l’allusione dell’Amministratore si riferisse semplicemente al discorso demografico. Immagino, altresì, che le difficoltà di carattere culturale e le chiusure mentali, che hanno inibito la Sibaritide e il Crotonese a vedere oltre le proprie aree di comfort, abbiano annebbiato le capacità di discernimento. Non riesco a ricercare altra ragione all’omologazione di pensiero su quanto di più geopoliticamente insensato si tenti di esplicare nella rabberciata proposta Sibaritide-Pollino.
Resta da considerare, purtoppo, un’altra amara constatazione che connota gli ambienti jonici. Sembra quasi che una inspiegabile patologia colpisca buona parte delle figure che nel passaggio da attivisti della Politica a Classe Dirigente si allineano, quasi come se fossero sotto effetto ipnotico, ai diktat che solo poco tempo prima avevano tentato di combattere. Un’omologazione allo status quo e ai sistemi consolidati che di colpo annebbia le menti al punto da resettare, anche, la benché minima capacità di critica.
Senza dimenticare l’eccesso di delega che caratterizza, attecchendo indistintamente società civile e ordini professionali, le aree che un tempo furono il cuore pulsante della Magna Graecia.
La mancata infrastrutturazione dell’asse Sibari-Crotone alla base dei ritardi e della prona riverenza ai rispettivi equibri centralisti
Si provi ad immaginare cosa avrebbe potuto significare un’autostrada e una linea ferrata efficiente tra la Sibaritide e il Crotonese?
Avrebbe permesso, ad esempio, a un aeroporto di avere flussi costanti nel giro di 40 minuti. Avrebbe significato la reale uscita dal pantano dell’isolamento per il Marchesato e la Sila Graeca, collegandole al Mondo. Avrebbe consentito di non avvertire come distante un territorio che, nella realtà, distante non è. Un contesto, quello compreso tra Sibari e Crotone, che è stato volutamente e colpevolmente tenuto ai margini del Mondo conosciuto allorchè, arrivati a Sibari, si decise di deviare i flussi, ferroviari e stradali, verso Cosenza e il Tirreno. Un’occulta regia centralista, con la complicità del locale gregariato, ha generato l’ecatombe dei flussi tra Crotone e Corigliano-Rossano. Del resto, anche le prossime operazioni di investimento lungo la statale 106, continuano a prediligere l’avvicinamento di KR a CZ e di Corigliano-Rossano a Sibari. Questa condizione drammatica — infrastrutturalmente parlando — si consuma nella più completa ignavia di tutti quegli Amministratori compresi tra il Cirotano e la Sila Greca. Probabilmente, Costoro, non realizzano che, anche a inteventi terminati sulla statale, le loro Comunità contineranno rimanere distanti dai loro centri-servizi di riferimento.
Sicuramente un asse ferro-stradale, moderno ed efficiente, avrebbe permesso una maggior spendibilità turistica dei luoghi, perché meglio raggiungibili. Insomma, avrebbe consentito una emancipazione mentale ancor prima che strutturale di un sistema sociale, oggi, schiavo e succube di geometrie politiche deviate.
Crotone avrebbe continuato ad essere il naturale capolinea del traffico ferroviario del levante calabrese; l’utenza delle Comunità comprese tra la Città pitagorica e quella sibarita, invece, avrebbe rappresentato il naturale affluente di flussi per il mantenimento dei servizi a mercato.
I processi economici comuni e le amalgame di scopo
Sarebbe opportuno chiedere a chi si dimena nello sponsorizzare la réclame del momento (Sibaritide-Pollino), quali siano e se esistano reali omogeneità politico-territoriali tra il Pollino e la Sibaritide. Vieppiù, bisognerebbe invitare ad astenersi da risposte contenenti postulati o assiomi validi solo nella mente di chi ancora si ostina a motivare l’improponibile. Tra l’altro, nei tre d.d.l. arrivati in Camera dei Deputati, nell’ultima decade del vecchio millennio e nei primi anni del nuovo, la proposta Sibaritide-Pollino non previde mai, nel perimetro della disegnata Provincia, l’area del Pollino vallivo. Al contrario, Castrovillari, legittimamente, ancor prima dell’idea di una provincia nella Sibaritide, sgomitava per avere una sua Provincia. Solo successivamente alcuni dei Comuni (area alto Jonio), aderenti in un primo momento all’idea di Castrovillari provincia, suffragarono l’idea di Sibari. L’unica coincidenza di pensiero, ma non trasferita in proposta di legge, fu il tentativo a metà degli anni ’00 di una Provincia Castrovillari-Sibari. Tuttavia, quest’ultimo disegno naufragò miseramente per indisponibilità alla condivisione del ruolo di Capoluogo da parte della Città del Pollino.
Mi interrogo, ancora, su come si possa pensare che le economie di una Città come Castrovillari, per un quarto della sua popolazione legate all’indotto pubblico, possano coincidere con quelle di Corigliano-Rossano che nello stesso settore ha un rapporto di 1/20. Un’economia, quella jonica, ancora imbastita su un tessuto agricolo non evoluto e in mano a poche oligarchie. Con un settore turistico, comune a quello Crotonese, che potrebbe rappresentare, nella creazione di una destinazione unica, valore aggiunto se inquadrato nel più ampio contesto del golfo di Taranto.
Agli Amministratori di quelle Comunità che si estendono dalla linea di costa sino alle propaggini dell’entroterra vorrei chiedere se gli introiti di cassa dei loro Comuni siano generati dall’area di riviera o dal contesto pedemontano? La scontata risposta a questo semplice quesito chiarirebbe, anche ai meno avveduti, quanto necessario sia inquadrare i processi di elevazione amministrativa amalgamando quelle Comunità condividenti omogeneità economiche e territoriali.
Uno sguardo al futuro con visione e prospettiva
Ebbene, suggerirei di smetterla con balorde progettualità che hanno come unico obiettivo quello di non scalfire lo status quo né modificare le cristallizzate geometrie politiche imperanti, fondate sul dominio incontrastato dei tre Capoluoghi storici della Regione. Il concept Jonia-MagnaGraecia, che contempla l’unione fra la Sibaritide e il Crotonese con un doppio Capoluogo, accorpa rivendicazioni comuni ai due territori e sintetizza medesimi bisogni. Ancora, esalta coincidenti potenzialità economiche mettendo a sistema una visione comune tra i tre asset di sviluppo del territorio: turismo, agricoltura e rigenerazione dei siti industriali dismessi. Eleva il potere contrattuale di tutto l’Arco Jonico, riequilibrando i rapporti di pari dignità territoriale con tutti gli altri ambiti della Regione. Infine, fonda sulla base della omogeneità territoriale e della ottimale dimensione demografica l’identificata riperimetrazione provinciale jonica. Perché sarebbe da sciocchi, in verità, ripetere gli errori del passato nella costituzione degli ambiti d’area vasta.
Ergo, al bando le ciance!
Iniziamo a immaginare, ma concretamente, un Arco Jonico che la Calabria, il Mezzogiorno, l’italia e l’Europa non si aspettano. Abbiamo un foglio bianco davanti a noi. Sta alle nostre capacità scrivere una pagina di storia che possa significare un reale e ragionevole tasso di interesse per quelle Popolazioni dimenticate dalla politica degli ultimi 50 anni. Basterà soltanto non ripetere gli errori già pagati a caro prezzo nel recente passato.