Modello San Lorenzo

L’ ingresso dell’homo sapiens nella tragica era dell’Antropocene, caratterizzata dalla condizione sempre più inospitale del pianeta, conseguente all’impronta ecologica sempre più marcata delle attività umane, è purtroppo una circostanza non solo quasi ignorata dal senso comune ma anche generalmente sottovalutata da chi ha responsabilità amministrative, da chi governa stati e territori. È come se l’allarme della comunità scientifica, che anima l’Accordo di Parigi e l’Agenda strategica delle Nazioni Unite al 2030, fosse un’opinione come un’altra, trascurabile di fronte alle imperiose necessità dell’economia. Quella stessa economia che ha determinato il precipizio climatico e ambientale di cui la pandemia in corso è solo una delle tante manifestazioni.
Nonostante tutto, abbiamo avuto in questi ultimi anni, in Italia, tanti esempi di produzione legislativa opportuna e adeguata ai tempi ( anche se manca un intervento normativo per bloccare il macabro consumo di suolo che procede al ritmo di 3 metri quadrati al secondo), e se fosse stata applicata da chi ha avuto responsabilità amministrative saremmo già da tempo dentro quella transizione ecologica di cui si parla tanto. Se ne parla, tuttavia, per lo più evitando di considerarla un urgente cambiamento epocale e relegandola a una mano di vernice verde da spruzzare sui cantieri che scompostamente, uno dopo l’altro, a prescindere dalla loro utilità sociale, devono essere sbloccati.
Gli unici cantieri che aprirebbero, oggi, govern6nanti che avessero la testa sulle spalle sarebbero quelli dedicati al restauro ambientale, funzionali ad un piano concepito per fronteggiare, con una rete capillare di micro-opere, il dissesto idrogeologico, e al recupero di efficienza energetica mediante operazioni di risanamento sulla spazzatura edilizia così comune nell’ Italia del dopoguerra. Interventi idonei, cioè, a riparare i danni che l’economia dello spreco, delle grandi opere e della crescita a tutti i costi ha regalato alla collettività.
È in questo drammatico quadro che, da parlamentare, ho fiancheggiato alcune battaglie territoriali condotte in nome del buon senso e della normativa vincolistica vigente, come quella per evitare l’impermeabilizzazione dell’ennesimo tratto di costa a San Lorenzo, in provincia di Reggio Calabria. Si tratta di un caso emblematico di fedeltà a prassi e visioni ormai superate e anzi rese insostenibili dalla storia, eppure così tenaci e ramificate da trovare sostegno in vasti settori istituzionali.
La realizzazione di un progetto obsoleto, presentato quattro anni fa e subito contestato da associazioni ambientaliste e intellettuali che avevano provato a negoziarne un altro, in linea con il Codice dei beni culturali e del paesaggio, è stata avallata da chi avrebbe avuto il compito di controllare la coerenza tra l’opera programmata e le finalità dei Patti per il Sud, che erogavano finanziamenti per lo sviluppo sostenibile e la coesione territoriale, e avrebbe dovuto anche rilevare la sua natura eversiva, il disprezzo delle leggi vigenti su cui si fondava.
Come osservavo in precedenza, però, i reati contro l’ambiente e il paesaggio non sono socialmente percepiti proprio perché, se è scattata l’emergenza Covid, non ha ancora trovato posto nell’immaginario collettivo l’emergenza in cui ci ha cacciato la crisi ecologica globale. È come se un tizio sofferente per il mal di testa ingurgitasse farmaci per alleviare il sintomo e, nello stesso tempo, evitasse di affrontare la sinusite che lo genera.
E così a San Lorenzo, in un’area protetta perché bene di prioritario interesse nazionale ex Codice del paesaggio, inserita nella Rete Natura 2000 come Zona speciale di conservazione, si è perseguito un disegno distruttivo, in conflitto anche con le linee guida dell’ISPRA sul fenomeno dell’erosione costiera, inaugurando, nell’ottobre del 2019, un primo cantiere abusivo che ha sprecato tante risorse dei cittadini fino alla sospensione, nel febbraio del 2020. Una faccenda su cui sarà necessario un accurato controllo della Corte dei Conti. Dopo una serie di contorsioni e forzature burocratiche, a gennaio del 2021 è partito un secondo cantiere, distruttivo quanto il primo nonostante una sopraggiunta Valutazione di incidenza regionale che imponeva la salvaguardia della vegetazione esistente e una serie di altre cautele.
Il tutto mentre è in corso un procedimento giudiziario promosso da Italia Nostra, la cui fase istruttoria si è conclusa con il riconoscimento della fondatezza di ognuna delle ragioni addotte dal ricorrente. L’esito del ricorso straordinario al Capo dello Stato potrebbe, dunque, considerare ancora una volta illeciti progetto e cantiere, e una cura minima delle risorse pubbliche avrebbe imposto di attendere la conclusione del procedimento. Invece no: abbiamo assistito a una corsa per finire prima, con il rischio di un buco nel bilancio del Comune, perché, se sopraggiungesse l’accoglimento dell’istanza di Italia Nostra, non ci sarebbero fondi per coprire le spese di quanto si è fatto fino a questo momento.
A San Lorenzo ci sarebbe stato spazio, prendendo in considerazione (com’era doveroso) una specifica relazione dell’ISPRA, per un intervento non eccedente la larghezza di otto metri, che non avrebbe inciso negativamente sulla dinamica costiera e avrebbe dato soddisfazione alle reali esigenze di fruizione umana di quell’area protetta. Negli ultimi decenni il rosario di scempi sgranato sulle coste, calabresi e non, ha causato erosione e conseguenti spese immani per riparare manufatti e approntare opere difensive che hanno ulteriormente sfregiato gli ambienti litoranei. Per questo, nei giorni scorsi, ho presentato una interrogazione (Atto senato n. 3-02282, pubblicato il 24 febbraio; link: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/Sindisp/0/1208470/index.html) , che, con la nota presente, vuole essere anche uno strumento di riflessione, per i cittadini, sulle cause del debito pubblico che affligge il nostro ex Bel Paese.

Margherita Corrado