“L’uomo con gli stivali”. Un tuffo nell’Ottocento con intrighi politici, amore e patriottismo
In un salotto di metà Ottocento tre anziane amiche si ritrovano, come d’abitudine, per il tè. Tra una chiacchiera e l’altra, richiameranno alla mente un episodio avvenuto durante la loro adolescenza ma tenuto volontariamente nascosto. L’età avanzata che induce alla nostalgia della gioventù le trascina in quel ricordo, accorgendosi che l’interpretazione che diedero a quel tempo era dovuta all’immaturità, mentre un’analisi matura porterà a galla la dura realtà con i controversi sentimenti che l’accompagnano. E’ l’intrigante romanzo di Ela Micoevich, dal titolo “L’uomo con gli stivali”, pubblicato nella collana “I Diamanti della Narrativa”, da cui verranno fuori intrighi politici che, inevitabilmente, si accompagneranno a tradimenti, ma anche sentimenti profondi come l’amore, l’amicizia, il rispetto, la gratitudine, il patriottismo.
«Il titolo – spiega l’autrice Manuela Di Mauro, che vive a Catania, città natale, ma in procinto di trasferirsi a Ravenna – nasce dal tema principale attorno al quale si sviluppa il romanzo: un dubbio legato alla fattura di stivali non consona alla divisa militare del protagonista. L’idea nasce da un sogno ricorrente che si manifestava con episodi differenti ma con i medesimi protagonisti. Sono un’appassionata di storia da cui nasce un’inevitabile attenzione per le divise, quando mi risvegliavo mi restava impressa un’incongruenza riferita appunto agli stivali, un pensiero diventato un tormentone, quindi per liberarmene ho trovato risolutivo creare una storia per una plausibile spiegazione».
Manuela Di Mauro sceglie come pseudonimo Micoevich, il cognome di sua madre – esule istriana che durante l’esodo ha perso notizie di tutti i parenti – con la speranza che ci sia qualcuno ancora in vita che venga attirato dal nome e possa contattarla. Ma l’autrice, con la passione per la pittura a olio e il decoro su porcellana (terzo fuoco), oltre che per la scrittura, è molto legata anche al cognome, Di Mauro, con il quale avrebbe voluto rendere omaggio al suo bisnonno, Pietro Di Mauro – cugino del noto scrittore Giovanni Verga – i cui libri fanno parte della donazione Ursino Recupero alla biblioteca dei Benedettini di Catania.
Data l’ambientazione storica, la guerra d’indipendenza spagnola, l’aspetto stilistico è caratterizzato da una ricercatezza di linguaggio tipica dei romanzi di fine Ottocento, in cui si riscontra una propensione ai gesti teatrali ed artefatti. «Ho ritenuto necessario questo espediente – spiega l’autrice – affinché il lettore potesse compenetrarsi totalmente in un’epoca estranea alla realtà. Ma se il romanzo è ambientato in un periodo storico reale, ciò che non è reale è il complotto che ho ideato e i personaggi che ne fanno parte e che si trovano a Llìvia, un’enclave ancora esistente che ho scelto perché rappresenta un campo neutro che bene si adatta alla mia storia. Tuttavia, vi è un intreccio con personaggi reali, cioè i generali di Napoleone, e le caratteristiche storiche del periodo come le vicissitudini dei Gesuiti e delle Cortes. Insomma, quel piccolo nucleo raccolto a Llìvia è di fantasia ma inserito in un contesto assolutamente reale per luoghi, eventi e protagonisti».
A partire da uno spunto, gli stivali, l’autrice ha sviluppato la trama, svolgendo un accurato lavoro di ricerca, ispirata da un’analisi dell’animo umano e dai molteplici sentimenti che animano l’esistenza, dove è il lato oscuro quello da tirar fuori. I personaggi prendono vita e, pagina dopo pagina, il lettore viene immerso in una situazione resa credibile, nonostante sia un’epoca passata. «Questo racconto nasce da una mia necessità di dar sfogo alla fantasia, tuttavia, man mano, si è formata la volontà di mettere in risalto la condizione della donna inserita in quel contesto sociale. Dovendo descrivere personalità diverse, e il diverso modo d’approcciarsi ai sentimenti, ne ho colto un comune senso d’adattamento mortificante per il genere femminile. Vorrei trasmettere un momento di riflessione che porti ad un paragone con i nostri tempi».
Federica Grisolia
(Vincenzo La Camera – Agenzia di Comunicazione)