Le mani sul ghetto. Business, speculazione e lotte attorno alla pista e al CARA di Borgo Mezzanone
Nel narrare le vicende legate al CARA (centro di accoglienza per richiedenti asilo) e al ghetto di Borgo Mezzanone, non ci sia annoia mai. C’è sempre ad aspettarti una storia di corruzione, speculazione, indagine per caporalato che coinvolge pezzi grossi delle istituzioni. L’ultima notizia in ordine cronologico è la scoperta di due tangenti, da 10 e 20mila euro, che sarebbero state consegnate dagli imprenditori foggiani Leccese e Mottola all’ex responsabile della sezione regionale della protezione civile Mario Antonio Lerario. Le tangenti in questione riguarderebbero, secondo la Procura, appalti per la costruzione del campo per l’emergenza Covid e relativi al CARA di Borgo Mezzanone. Nello specifico, in provincia di Foggia, l’azienda Edit Sella (di cui Leccese è a capo) era stata incaricata, tra le altre cose, della realizzazione di impianti elettrici, di illuminazione e idrici nel Cara e della realizzazione “di una foresteria di 53 moduli abitativi per i cittadini extracomunitari positivi al Covid”, oltre che della realizzazione di insediamenti per migranti lavoratori stagionali. Le indagini riguarderebbero almeno altri cinque episodi di presunta corruzione con altrettanti imprenditori coinvolti. Insomma, l’ennesima storia di speculazione milionaria sulla pelle di chi vive e Lavora in campagna (https://www.foggiatoday.it/cronaca/arresti-foggia-appalti-cara-borgo-mezzanone-tangenti-lerario.html).
Nonostante quello di Borgo Mezzanone sia una dei ghetti più mediatizzati e famosi d’Italia, probabilmente pochi/e sono a conoscenza del lauto giro d’affari, degli appalti torbidi e dei progetti di investimento che da anni ruotano attorno al ghetto stesso e al CARA adiacente all’ex pista dell’aeroporto militare. Una lunga storia di razzismo istituzionale, sperpero di denari pubblici, condizioni di vita insopportabili e grossi guadagni per pochi, ma anche di resistenza e rivolte.
Può essere utile ripercorrere le vicende che si sono susseguite rispetto alla gestione, ai progetti e ai fondi stanziati sul CARA e sul ghetto per capire meglio il presente e cosa aspettarsi dal futuro. O meglio, come prepararsi ad affrontarlo.
A partire dal 1999 l’ex pista dell’aeroporto militare viene riconvertita, dal Ministero dell’Interno, a luogo di accoglienza per i profughi in arrivo dal Kosovo, mentre la base funge da appoggio logistico ai bombardamenti “umanitari” della NATO. I container che oggi sono ancora lì risalgono a quegli anni. Adiacenti alla pista, tra il 2002 e il 2005, vengono realizzati una struttura in muratura e moduli prefabbricati che sarebbero dovuti diventare un CPT (Centro di Permanenza Temporanea, i predecessori degli attuali Centri di Permanenza per i Rimpatri, di cui avevano sostanzialmente le stesse funzioni). Il CPT non è mai entrato in funzione e quegli edifici sono poi stati dedicati ai richiedenti asilo, dando vita ufficialmente ad un CARA nel 2005. Con questo passaggio, è lo stesso ministero che estromette dal progetto e dichiara abusivi i container montati pochi anni prima, rendendoli un ghetto “informale”. A fronte di questa situazione, nel 2008 gli abitanti dei container organizzano una grande protesta spontanea contro il tentativo di smantellamento degli stessi, alla quale le istituzioni rispondono con la costruzione di nuovi prefabbricati: un esito destinato a ripetersi molte volte negli anni, negli insediamenti di persone immigrate da nord a sud.
Inizialmente la gestione dei “servizi” nel CARA per i richiedenti asilo che arrivano è affidata a Croce Rossa Italiana (CRI); nel 2009 la prefettura di Foggia emette un nuovo bando pubblico per la gestione dei servizi all’interno del campo della durata di 3 anni. Il consorzio Connecting People, al tempo gestore di vari altri CPT e CARA in tutta Italia, si aggiudica la garamentre il comitato provinciale della Croce Rossa Italiana di Foggia risulta secondo in graduatoria. In quel periodo, commissario della CRI e vice prefetto di Foggia è Michele di Bari, salito recentemente agli onori delle cronache per le dimissioni dall’incarico di capo dipartimento per l’immigrazione del Ministero dell’Interno, a causa del coinvolgimento di sua moglie in un’importante indagine contro il caporalato (https://www.facebook.com/comitatolavoratoridellecampagne/posts/4954189874647098).
Era sotto gli occhi di tutti, già allora, che ci fosse un grosso conflitto di interessi che impediva l’aggiudicazione della gara alla CRI.
Dopo la presentazione di un ricorso da parte della stessa CRI, rigettato dal T.A.R. Puglia, il Consorzio Connecting People subentra nel 2010 nella gestione del centro di Borgo Mezzanone. Nasce però un lungo contenzioso amministrativo, alla fine del quale il Consiglio di Stato nel dicembre 2011 dichiara l’inefficacia del contratto stipulato tra la prefettura di Foggia ed il consorzio Connecting People; la prefettura di Foggia provvede al subentro, nel contratto del Comitato provinciale, della Croce rossa italiana, previa verifica dell’insussistenza di ogni eventuale impedimento alla stipula. Nel 2012 viene presentata anche un’interrogazione parlamentare, che sottolinea come la CRI sia in teoria impossibilitata a partecipare a bandi di gara essendo essa stessa stazione appaltante per altri servizi, ma non ottiene seguito (https://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/stenografici/sed575/bt13.htm). In quegli anni, si ha anche notizia di appalti da parte della CRI a ditte di ristorazione con bandi truccati e costruiti ad hoc (https://www.statoquotidiano.it/24/05/2012/pasti-al-cara-ditta-appalto-anticoncorrenziale-si-favorisce-unico-soggetto/80063/).
In tutto questo, a fare le spese delle gare al massimo ribasso e delle speculazioni per la gestione del campo sono le persone che si trovano a vivere in quella struttura, in condizioni pessime e costrette ad aspettare anni per il rilascio del permesso, bloccati in un limbo che permette di svolgere un’unica attività: fornire manodopera in nero a bassissimo costo per il distretto agro industriale circostante. Come capita nei centri d’accoglienza di tutta Italia, l’esistenza stessa di questi luoghi e l’irregolarità forzata delle persone sono assolutamente legate e funzionali allo sfruttamento sul lavoro.
Nel frattempo iniziano a fiorire, e aumenteranno progressivamente, fantomatici progetti di riqualificazione dell’area, che riguardano l’ex pista ed il CARA. Nel 2013 i giornali danno notizia di un progetto sostenuto da Lotras S.r.l. e ideato dagli studenti dell’ITC Toniolo di Manfredonia, con l’obiettivo di recuperare infrastrutture in disuso e contribuire allo sviluppo logistico dell’area, in cui si propone tra le altre cose di trasferire il CARA in uno degli immobili confiscati alla criminalità organizzata e ripristinare così la pista per il transito di aerei cargo. Progetto che non ha mai visto la luce (https://www.statoquotidiano.it/23/04/2013/manfredonia-progetto-polo-logistico-intermodale-itc-toniolo/137812/).
Nel 2014 la gestione del CARA passa a SISIFO, consorzio che comprende 22 cooperative, strettamente legato alle lobbies coinvolte poi nell’inchiesta “Mafia Capitale”. La gara è vinta al massimo ribasso, i concorrenti fanno ricorso, ma il Tar Puglia non lo accetta e conferma l’appalto (https://immediato.net/2014/12/15/camping-gran-ghetto-cosi-e-nato-unaltro-villaggio-abusivo-a-rignano-2-2/?cn-reloaded=1).
Intanto cresce il malcontento e la rabbia degli abitanti del CARA, che decidono di far sentire la loro voce insieme ad altre centinaia di abitanti dei ghetti della zona. Nel febbraio 2015 una grande manifestazione si riversa nelle strade di Foggia, fino alla Prefettura, per denunciare a gran voce i lunghissimi tempi d’attesa per il rilascio del permesso di soggiorno( https://campagneinlotta.org/comunicato-di-solidarieta-con-i-richiedenti-asilo-nella-provincia-di-foggia/). Prima di allora già tante proteste spontanee avevano portato gli abitanti a bloccare il traffico e rivoltarsi, e da quel momento seguiranno tanti altri momenti di lotta, fino ad oggi.
Nel 2016 l’appalto per la gestione passa a Senis Hospes, strettamente legata alla Cascina, gruppo che in Italia per anni ha monopolizzato gli appalti dell’accoglienza, legato a Carminati e Buzzi e tra gli enti maggiormente coinvolti nell’inchiesta “Mafia Capitale”. Ma è un anno di grandi rivolte e resistenza: ad agosto centinaia di persone dai ghetti della zona bloccano per ore l’entrata della Princes, la fabbrica di trasformazione del pomodoro più grande d’Europa; ad ottobre dello stesso anno una grossa rivolta scuote le mura del CARA, facendo prepotentemente uscire la voce di chi viveva lì dentro e da tempo denunciava sovraffollamento, assenza di tutele minime, irregolarità giuridica forzata (https://www.facebook.com/comitatolavoratoridellecampagne/posts/1202160553183401). Infine, a novembre una grande manifestazione si riversa per le strade di Roma fino al Viminale, al grido di “No confini, No sfruttamento”. Le rivendicazioni chiare dei lavoratori delle campagne, uniti a immigrati e immigrate da ogni parte d’Italia, arrivano fino ai palazzi del potere.
Il 2017 segna un cambio di passo nella gestione degli insediamenti di lavoratori immigrati adiacenti ai distretti agroindustriali. Ad agosto diventa legge il decreto «Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno»: con questo decreto, da un lato si istituiscono le Zone Economiche Speciali (ZES) e dall’altro si nominano tre commissari straordinari, per tre zone produttive altamente popolate da lavoratori immigrati, sui cui sorgono ghetti. La combinazione delle due misure intendeva essere un intervento «urgente per affrontare […] situazioni di particolare degrado nelle aree dei Comuni di Manfredonia in Provincia di Foggia [ovvero, il ghetto di Borgo Mezzanone], San Ferdinando in Provincia di Reggio Calabria e Castel Volturno in Provincia di Caserta” . Le ZES, sbandierate come motore di sviluppo e benessere, costituiranno in realtà il cavallo di Troia per la legalizzazione dello sfruttamento delle migliaia di persone che vivono nei numerosi ghetti e per l’ulteriore devastazione dei territori. Il progetto dovrebbe favorire una maggiore integrazione, tra gli altri, del settore agroalimentare nelle catene globali, facilitando gli investimenti per la produzione di macchinari agricoli, ma anche l’esportazione dei prodotti agroalimentari a livello internazionale. Questo intervento legislativo non fa che esplicitare ancora di più la connessione e l’interdipendenza tra il controllo della mobilità, l’ipersfruttamento del lavoro, la gestione logistica delle merci agroalimentari e gli investimenti su progetti di riconversione e bonifica delle aree dove vivono i lavoratori immigrati del comparto agroalimentare.
Intanto, nel luglio 2017, il Viminale revoca la convenzione alla Senis Hospes per la gestione del CARA, in seguito alle numerose proteste e ad un’inchiesta giornalistica che aveva sollevato la questione. Nonostante questo, sempre nel 2017, un’imponente operazione di polizia, completa di elicotteri, provvede all’arresto di decine di persone all’interno del CARA, accusate di aver preso parte alla rivolta dell’autunno precedente e processate per il reato di “devastazione e saccheggio”.
Nel 2018, la Prefettura emana allora un nuovo bando di gara, in cui non c’è una gestione unica, ma i servizi vengono suddivisi. Questo dà modo di intervenire al bando agli stessi personaggi della precedente cooperativa, attraverso un nuovo nome: Medis Hospes (https://www.repubblica.it/cronaca/2015/09/26/news/gli_affari_della_coop_di_mafia_capitale_appalti_sui_migranti_anche_dopo_l_inchiesta-123699419/).
Nel 2019 è la volta della cooperativa Badia Grande alla gestione del CARA. Questo è anche l’anno della firma del contratto Istituzionale di Sviluppo per la Capitanata: un accordo che prevede lo stanziamento di 280 milioni di euro “per lo sviluppo della regione”. La manovra, decisa dal governo subito dopo le stragi dei braccianti lungo le strade della Capitanata nell’estate 2018, prevede anche lo stanziamento di 3 milioni di euro per la “bonifica” (!) dell’area dell’ex pista adiacente al CARA di Borgo Mezzanone.
A partire da febbraio infatti si susseguiranno sgomberi violenti sulla pista: gli abitanti resisteranno strenuamente agli attacchi della polizia e alla distruzione delle baracche. A maggio gli abitanti della pista e del CARA, con altri lavoratori dal resto della provincia, organizzano uno dei più grandi scioperi degli ultimi anni, e centinaia di persone si riversano nelle strade di Foggia fin sotto i palazzi delle associazioni padronali e della Prefettura. Ancora, a settembre gli stessi occupano l’ingresso della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale (dentro al CARA) e l’incrocio principale di Borgo Mezzanone, bloccando il passaggio di moltissimi camion che trasportavano pomodori verso le industrie di trasformazione; a dicembre bloccano per ore la zona industriale di Foggia nei pressi dell’autostrada, mentre contemporaneamente a Goia Tauro, altri lavoratori bloccavano il porto. Le rivendicazioni restano le stesse, da anni: documenti per tutti subito, case anziché campi di lavoro e tendopoli, contratti regolari.
Poi arriva la pandemia, ed anche in questo caso non ci si lascia sfuggire l’occasione di speculare sul ghetto più discusso d’Italia. Dopo aver accusato le persone di essere untori e vettori di contagio e dopo averle lasciate nel frattempo al loro destino senza alcuna possibilità di tutela e prevenzione, la Regione Puglia pensa bene, nel marzo 2021, di costruire un campo container per isolare chi risulta positivo, ovviamente militarizzando l’area con la presenza dell’esercito, e garantendo una scarsissima assistenza sanitaria. Il campo Covid, costruito dalla Protezione Civile e gestito dalla ASL insieme alle Misericordie, diventa il fiore all’occhiello della gestione pandemica nei ghetti, il cosiddetto “modello foggiano” (https://www.foggiatoday.it/attualita/campo-covid-cara-borgo-mezzanone-modello-protezione-civile-puglia.html), finito, come si diceva all’inizio, al centro di un’indagine per corruzione.
Nel maggio dello stesso anno arriva infine il grande progetto di riconversione del CARA e della pista. La Prefettura, la Provincia, la Procura della Repubblica ed il Ministero dell’Interno firmano un protocollo che stanzia 8 milioni di euro per ricreare, per l’ennesima volta, un campo gestito direttamente dalle istituzioni, in questo caso dalla Regione Puglia. Il progetto attinge dai fondi del Programma Operativo Nazionale (PON) Legalità gestito dalla Regione Puglia per 4 milioni di euro circa, e 3 milioni e mezzo di euro invece, stanziati dal Contratto Istituzionale di Sviluppo (CIS) Capitanata. Secondo il progetto, gli edifici del CARA saranno rimodulati e dedicati all’accoglienza dei migranti, collocando moduli abitativi anche nell’area esterna al CARA. Ulteriori risorse da attingere nell’ambito delle programmazioni europee, nazionali e regionali serviranno per le attività finalizzate “alla prevenzione ed al contrasto del caporalato, oltre che all’inclusione degli stranieri, quindi per il funzionamento di un centro per l’impiego”. (https://www.facebook.com/comitatolavoratoridellecampagne/posts/2655014014564707)
Dulcis in fundo, nel novembre 2021 arriva la proposta del consorzio di bonifica ASI, con l’utilizzo dei fondi del Ricovery Fund: realizzare un polo attrattivo dell’agroalimentare (del valore di 150 milioni di euro ed inserito dalla Regione Puglia nel PNRR) su 166 ettari a Borgo Mezzanone. Il progetto prevede ovviamente l’eliminazione del ghetto per far spazio, dopo la bonifica dell’area, ad un distretto produttivo legato alla trasformazione dei prodotti agricoli locali e la loro commercializzazione attraverso il collegamento con la piattaforma logistica di Borgo Incoronata ed al Bacino Alti Fondali di Manfredonia. Si parla di potenziare la crescita economica ed occupazionale della comunità locale, realizzando strade, illuminazione, servizi ed un depuratore. Nel contempo, sono previsti la costruzione di alloggi, percorsi di inserimento sociale, formativo e scolastico per gli stranieri, ancora una volta “sottraendoli all’illegalità, al caporalato ed alla precarietà” (https://urbanpromo.it/content/uploads/sites/2/2020/09/Gazzetta-Mezzogiorno-asi-Foggia-25-novembre-2020.pdf).
Dalla vergogna all’eccellenza, dallo sfruttamento all’integrazione, dal degrado allo sviluppo.
Le storie e i destini dei campi di lavoro, delle tendopoli e dei ghetti nei distretti agroalimentari in Italia si intrecciano e si assomigliano, ed in quella di Borgo Mezzanone si possono rivedere chiaramente le vicende della tendopoli di San Ferdinando, per esempio (anche quello adiacente ad una ZES di recente costituzione). Come in Puglia, anche qui gli abitanti da anni lottano per i documenti e per avere condizioni che permettano loro di lasciare il ghetto e trovare case. Ma con il passare del tempo il circolo vizioso messo in moto dalle istituzioni si ripete, senza dare ascolto a chi propone soluzioni. Dovrebbe far riflettere l’utilizzo, fin allo sfinimento, di mantra come “contrasto al caporalato” o “per l’integrazione e l’inclusione sociale”, mantra che legittimano progetti sempre uguali che producono puntualmente lo stesso esito: più emarginazione, più sfruttamento, guadagno per pochi e peggioramento delle condizioni di vita di chi vive e lavora in campagna. A chi conviene allora tutto questo?
Sono in arrivo finanziamenti a pioggia per il nuovo PNRR: sembra fin troppo facile prevedere dove andranno a finire. Ma il destino non è mai scritto.
I lavoratori e le lavoratrici della campagne di tutta Italia sanno bene che non possono in alcun modo far affidamento sulle parole e sulle promesse istituzionali. Ciò che vogliono continueranno a pretenderlo portando le loro voci e i loro corpi in strada, come fanno da anni. E noi saremo al loro fianco.