La violenza di genere e la società dell’odio di Nausica Sbarra, Coordinatrice Donne, Giovani e Immigrati Cisl Calabria
La violenza di genere è sempre più ancorata allo sviluppo della società dell’odio che sembra diffondersi rapidamente come un terribile virus. Brutalità fisiche e verbali sono diventate una drammatica realtà quotidiana che non risparmia ormai nessuna donna: bambine, adolescenti, ragazze e signore di qualsiasi età e condizione sociale. Viviamo nell’era della disumanizzazione che ci mette di fronte a prepotenze dai mille volti e che troppo spesso vedono come vittime prescelte esponenti del mondo femminile. Così episodi di violenza atroce, che sfociano spesso in femminicidi, si registrano nelle cronache locali e nazionali. Avvenimenti che lasciano segni indelebili nelle donne che li subiscono anche in realtà geografiche da sempre considerate oasi di tranquillità, tolleranza e solidarietà.
Nonostante la crescente condanna che da più parti si manifesta e la diffusa presa di coscienza del fenomeno, la cultura della violenza di genere sembra proseguire la sua marcia inarrestabile. Le statistiche parlano che una donna su tre, infatti, è vittima di prepotenze di ogni genere. Una scia interminabile di soprusi che, spesso, culmina con l’uccisione della stessa vittima di quelle angherie.
Ma la violenza sulle donne si manifesta sotto varie forme. Oggi, come in passato, la donna deve fare i conti, infatti, con una società maschilista che, nella vita come sul lavoro, la schiavizza, le toglie la dignità e addirittura la speranza. La ricorrenza del 25 novembre, giornata contro la violenza di genere, deve essere spogliata dell’abito celebrativo per indossare quello della proposta e dell’azione politico-sindacale.
In questo senso, le parole di Papa Francesco – pronunciate nell’omelia della messa allo stadio nazionale di Bangkok che ha richiamato i governanti della Thailandia sul problema prostituzione anche minorile, legata al turismo sessuale – vanno interpretate come un richiamo all’intera comunità mondiale sulla condizione che sono costrette a vivere le donne a tutte le latitudini. D’altronde la schiavitù del sesso non ha confini nazionali ed il fenomeno continua ad essere un business delle organizzazioni criminali.
La violenza sulle donne ha mille facce. Tanti gli esempi che si sommano in tutti gli angoli del mondo. Sono vittime quelle donne che dopo aver subito indicibili orrori riescono a fuggire dai campi profughi libici per approdare a Lampedusa. Quel sogno di raggiungere la libertà, molto spesso, finisce nei fondali del Mare Nostrum, dove giovani mamme annegano stringendo il figlioletto al petto. Episodi che la società metabolizza troppo in fretta per fare largo all’indifferenza o addirittura all’odio diffuso da un crescente sentimento xenofobo e alimentato dalla politica sovranista che in Europa come in Italia sembra aver preso il sopravvento. L’odissea delle donne immigrate non fa parte delle narrazioni, ma di una quotidianità senza orizzonte. Come dimenticare quell’ultimo sms inviato alla madre da una ventiseienne vietnamita ritrovata cadavere, assieme ad altri 39 compagni di viaggio, lo scorso mese di ottobre in un camion frigo in Gran Bretagna: «Mamma sto morendo perché non respiro…Ti voglio bene». Un esempio come tanti che dimostra quanto in questo mondo che sembra aver perso i connotati di umanità, sono le donne e i bambini che più di altri pagano il tentativo di approdare in contesti geografici dove la libertà è un diritto. A volte non immaginano che anche nelle democrazie occidentali non c’è posto per chi scappa da guerre, persecuzioni, schiavitù e dalla miseria. Esseri umani respinti, confinati per interminabili giorni sui natanti che li hanno salvati in attesa di un porto sicuro.
È violenza di genere quando una lavoratrice è mobbizzata, quando il suo salario è diverso da quello di un collega, quando la sua giornata lavorativa non lascia spazio alla sua famiglia ed anche quando mancano gli asili nido, i consultori, l’assistenza sociale.
Non si può sottacere sulle poche opportunità occupazionali offerte al mondo femminile soprattutto nelle regioni in ritardo di sviluppo come la Calabria. Mentre la politica litiga, aumenta la disoccupazione e così facendo alle vecchie povertà si aggiungono le nuove imposte dalla globalizzazione.
Il mondo è alle prese con una metamorfosi antropologica connessa al progresso tecnologico che ci ha catapultati nell’era digitale. Sono mutati i paradigmi della comunicazione, diventata sempre più virtuale, che limita l’efficacia dei freni inibitori fino a farci diventare cittadini della società dell’odio con rigurgiti razziali che viaggiano veloci lungo le autostrade telematiche. E attraverso i social media vengono veicolati linguaggi sessisti, razzisti che, come sta accadendo negli ultimi tempi, hanno come bersaglio nuovamente le donne. Anche quante sono state private dei loro anni più belli perché segregate nei campi di concentramento nazisti.
In Italia, come nel resto del mondo,si sono formate colonie molto agguerrite di hater: odiatori di professione, che hanno i loro influencer nella vita politica, sociale e culturale del nostro Paese. I loro messaggi di odio, oltre duecento e-mail al giorno, continuano ad avere come obiettivo la senatrice Liliana Segre. Se questa è democrazia…