La lotta allo spreco alimentare: Non solo buone pratiche, ma anche scienza e ricerca, Calabria e Sicilia ne sono buono esempio
T’incammini tra le torri della Cittadella universitaria di Reggio Calabria, giri l’angolo davanti l’Aula Magna Quistelli della Facoltà di Giurisprudenza ed arrivi in un piccolo mondo dove il rispetto della terra, la sostenibilità ambientale ed il riciclo dei rifiuti agro-industriali sono il motore di ogni attività. Ad aprire le porte del Laboratorio di Pedologia del Dipartimento di Agraria è la professoressa @Adele Muscolo, biologa passata dall’ambito medico e dalla fisiologia clinica ad occuparsi della chimica del suolo. Ad innamorarsi della terra, si potrebbe dire. “Il suolo è una fucina di vita – spiega – sembra un substrato inerte e invece è un ecosistema incredibile: in un cucchiaino da caffè di terreno troviamo 9 miliardi di organismi viventi, una grandissima #biodiversità!”
E poi ci sono le nuove direttive europee che impongono di riportare in salute, entro il 2030, il 75% dei suoli ed almeno il 25% dovranno passare all’agricoltura biologica, con la progressiva scomparsa dei fertilizzanti chimici. Una marcia in più per questo laboratorio che, da sempre, si occupa di qualità del suolo e dei prodotti, collaborando con decine di Università Internazionali ed allargando la ricerca di base a quella applicata, per rispondere alle richieste delle imprese che vogliono migliorare la propria produttività ed inquinare di meno. Ed è stato così che, sollecitato da un’azienda di trasformazione del pesce, un affiatato gruppo di lavoro tra Calabria e Sicilia (formato da due Dipartimenti delle Facoltà di Agraria e di Ingegneria dell’#UniversitàMediterranea di Reggio Calabria con il #CNR di Palermo, complessivamente sei laboratori che uniscono competenze in ambito chimico, d’ingegneria sanitaria, dei materiali per la sostenibilità ambientale ed energetica e di quelli nanostrutturati) è riuscito ad ottenere un ottimo fertilizzante dagli scarti di lavorazione degli agrumi e soprattutto delle acciughe, che rappresentano il 40 % del pescato in Europa. Se si considerano i 27 milioni di tonnellate di scarti di pesce ed i 4-5 euro al chilogrammo necessari per lo smaltimento, si comprende quanto questi residui delle lavorazioni rappresentino un problema in Europa ed un enorme costo per le aziende ittiche che, soprattutto in Italia, sono spesso microrealtà a conduzione familiare.
Guidati dalla professoressa Adele Muscolo del Dipartimento di Agraria, dal professore Francesco Mauriello del #DipartimentodiIngegneriaCivile, energia, ambiente e dei materiali dell’Università Mediterranea e dal professore Mauro Pagliaro dell’Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati del CNR di Palermo, un gruppo di ricercatori ha dapprima ricavato con pressatura a freddo, senza alcun impatto ambientale, il limonene dal cosiddetto pastazzo, lo scarto della lavorazione degli agrumi. Poi ha utilizzato il limonene per estrarre dagli scarti di pesce aminoacidi, acidi grassi ed omega-3 per la produzione di integratori. Considerato che l’utilizzo nutraceutico si ferma al 10 % del quantitativo di scarti di acciughe lavorato, il restante 90 % ricchissimo di carbonio, azoto, antiossidanti naturali e flavonoidi, è stato seccato e trattato per produrre un concime che si è rivelato un grande ricostituente per i terreni e le colture.
La sperimentazione, al momento, ha interessato la cipolla di Tropea, prodotto calabrese d’eccellenza che muove un mercato particolarmente redditizio. Quelle coltivate su un suolo fertilizzato col concime dagli scarti di pesce non solo sono venute su più alte e con un bulbo più grande di quelle cresciute con il concime chimico o col letame, ma hanno presentato un contenuto più alto di antiossidanti, calcio, magnesio, potassio e solfati. E’ in fase di pubblicazione uno studio condotto con l’#UniversitàdiBari che attesta come l’alto contenuto di zolfo di queste cipolle abbia un effetto benefico su pazienti le cui cellule presentano un elevato stress ossidativo.
Su sollecitazione di #SlowFoodCalabria, la ricerca e la sperimentazione è stata presentata anche a Genova, in occasione di “#SlowFish” il grande evento internazionale di #SlowFood dedicato al mare.
Gli eccezionali risultati fin qui ottenuti hanno portato al Dipartimento Diceam dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria un’altra importante collaborazione con la “#Callipo”, azienda dall’attività centenaria nella produzione di conserve ittiche di qualità, con l’obiettivo di valorizzare gli scarti del tonno, inclusi i fanghi di depurazione, per trasformarli in prodotti ad alto valore aggiunto di omega-3, bioenergia e fertilizzanti organici. Una sperimentazione che sta impegnando l’equipe del professore Mauriello con le ricercatrici Altea Pedullà e Daniela Maria Pizzone.
E siccome la Callipo vanta anche una bella produzione di olive, fichi e melograni biologici, nel laboratorio di pedologia, accompagnati dalla professoressa Adele Muscolo, troviamo alcune di queste piante in vaso sottoposte a concimazione con i fanghi provenienti dalla lavorazione del tonno, per poi verificarne la crescita e la qualità dei frutti. A seguire la sperimentazione, con la Muscolo, sono il dottore Carmelo Mallamaci e tre giovani dottorandi assegnisti di ricerca, Federica Marra, Angela Maffia e Francesco Canino. Ci mostrano orgogliosi il prototipo di cella climatica con telecamere appositamente progettato per il laboratorio, con un sofisticato sistema di controllo che gestiscono persino dal telefonino regolando temperatura, umidità, irrigazione, impostando la stagione desiderata, il fotoperiodo, con la possibilità di misurare la crescita delle piante e le emissioni di CO2.
Ma che il riciclo degli scarti sia davvero una missione per questi ricercatori, lo scopriamo uscendo dal laboratorio per raggiungere una serra lì dove proprio non ti aspetti, nel mezzo di un’aiuola tra i palazzoni dell’Università. All’interno si produce compost e vermicompost da scarti di varia natura e si studia come migliorarne qualità e funzione, rendendo il compost anche efficace nel contrastare l’attacco degli insetti e nel prevenire le malattie delle piante. Nelle varie compostiere, c’è la sansa dalla lavorazione delle olive, i fichi d’india, il pastazzo di bergamotto, la segatura, gli scarti domestici.
E, mentre i ricercatori raccontano del lavoro nella serra, si organizzano per andare a ritirare una nuova entrata per le sperimentazioni: le bucce delle patate dei locali che vendono patatine fritte. In questo caso, parliamo di #birra, perché anche a questo si lavora nel laboratorio di pedologia. In collaborazione con la facoltà di Ingegneria è stato comprato un fermentatore e si proverà a produrre birra senza glutine partendo non dal grano deglutinato, che continua a presentare tracce di glutine, ma da substrati alternativi come gli scarti delle patate ed il luppolo autoctono. Quest’ultimo svolge un’azione batteriostatica sulla birra e l’obiettivo è quello di verificare un aumento degli antiossidanti per dare maggiore valore nutrizionale al prodotto.
“Vorremmo contribuire a cambiare la visione dello scarto, conclude Adele Muscolo, competente ricercatrice e appassionata socia Slow Food. Quello che è sempre stato considerato un problema ed un costo, può essere una straordinaria risorsa per l’economia circolare e questa affiatata equipe è pienamente in campo per trasferire conoscenze e know how e permettere alle aziende di allargare i propri mercati e creare dagli scarti nuovi prodotti che rispettano l’ambiente”.
(F. Cugliandro, redazione Slow Food Calabria)