La disabilità… un appunto sbiadito nell’agenda!

Sono qui per portare ancora il mio pensiero che è del tutto personale, maturato nell’arco di oltre vent’anni di lavoro nel sociale e di ricerca continua di nuove e anche passate fonti d’ispirazione professionale.
La disabilità, scrivo con rammarico, è da sempre sulla bocca di tutti e nella testa di pochi. Questo pensiero lo constatiamo ogni volta che il sistema sociale dell’assistenza territoriale ai disabili è a esclusivo sacrificio, al costo dell’indigenza, degli operatori che lo sorreggono.
La Pasqua, come tante altre festività, è passata e noi operatori psichiatrici e tutti gli operatori dei servizi legati alla disabilità non riceviamo stipendio da tempo per problemi, neanche a dirlo, di natura burocratica… ovviamente nel silenzio di tutti, tranne di chi come noi se li suda sul campo e ne ha bisogno per vivere.
La disabilità è cosa seria e complessa, signori miei, e non può essere messa a rischio da problemi di natura semplicistica che nessuno ha avuto la capacità o la volontà di risolvere, intervenendo per tempo per evitarli.
I giorni che passano, come tiranni, ci spingono verso il baratro e ci consegnano una quotidianità poco felice per le nostre famiglie. Il tutto nel silenzio-assenso di tutti gli interessati e di chi dovrebbe essere dalla nostra parte a prescindere. A voi il compito di scavare nelle vostre coscienze…
La pandemia e la disumanizzazione attuale vi dovrebbero far riflettere, agire e bastare per essere dissuasi e farvi comprendere che tutelando, promuovendo e finanziando il sociale in tutte le sue forme, non fareste altro che fare prevenzione dei disagi e tutela dei diritti dei più fragili, determinanti essenziali che rendono una nazione civile e solidale.
Viceversa, non avendo chiara l’importanza di questi concetti e del ruolo del sociale nella vita delle comunità, non investendo in esso e non riconoscendogli il dovuto, si rischia di far cadere i cosiddetti pilastri che reggono l’umanizzazione della cura e la progettazione e lo sviluppo di pratiche inclusive.
La maggior parte degli operatori, che hanno ben chiara l’importanza nevralgica di tali temi legati al sociale e non sono ancora istituzionalizzati dalla rassegnazione, con notevole e incontestabile spirito di sacrificio si attivano quotidianamente per dare sostegno ai pazienti e ai loro bisogni.
Il sociale, alle nostre latitudini, ha una necessità immediata di rinascere dalle macerie di un sistema aziendalistico o biomedico che non ci appartiene e che va contro una più consona salute mentale di comunità.
Sono, e vorrei affermare anche siamo, se togliamo qualche spocchioso egocentrismo da parte di qualcuno che non vede il cambiamento mondiale in corso, dalla parte delle buone prassi, da contrapporre alla depersonalizzazione del paziente e con una vera attenzione ai diritti inviolabili dei disabili. Questo si può e si deve pretendere in ogni servizio alla persona, è lo stesso va sostenuto da tutti gli attori interessati, a ogni costo, con ogni mezzo e con una buona dose di autocritica.
Sarebbe bello e utile poter contare sul sostegno di tutti e non solo di chi lavora e si danna l’anima, come molti di noi operatori, che a discapito di tutto non abbiamo mai fatto mancare il nostro supporto e la nostra costante presenza ai nostri pazienti, che ci ricambiano e ci sostengono con le rispettive famiglie.
Non è sempre facile essere all’altezza del compito che si ricopre quando sai di non avere di che vivere e di essere senza un futuro certo, ma lo fai ugualmente perché sai che quelle persone contano su di te e il più delle volte hanno solo te.
I servizi alla disabilità richiedono molto tempo e risorse mentali ed economiche da dedicare, ma questo non avviene perché si pensa che basta la solita e paternalistica pacca sulla spalla, una vana promessa e nei casi più riprovevoli la totale indifferenza.
Prendere il malessere dell’anima in mano, voglio chiarire se non è ancora chiaro, richiede coraggio, dedizione e fondi dedicati e sicuri che rendono la rete sociale di assistenza solida e reattiva, creando così speranza e opportunità di vita.
Concludo, sostenendo con forza, che dovremmo partire dalla vitalità che in passato si ebbe con la rivoluzione ideale e etica di Franco Basaglia, tornando ad essere d’aiuto e a difesa dei diritti dei più fragili e riconoscendogli una propria identità sociale e un proprio senso nel mondo, dove la diversità dell’espressione umana diviene ricchezza e non limite.

Reggio Calabria, 19 apr. 22

Cordiali saluti
Foti Giuseppe, operatore del sociale