LA BILANCIA TRUCCATA In margine a un dibattito pubblico sull’ennesimo parco eolico nelle Serre
La Calabria ha già dato. Sull’ altare dello sviluppo e della modernizzazione ha sacrificato la variegata bellezza del suo territorio, ammirata per un paio di secoli da numerosi visitatori stranieri, gli autori di tante pagine meravigliate e poetiche mediante le quali si è espressa una pluralità di sguardi esterni che avrebbero potuto giovare ai calabresi se ne avessero fatto tesoro per riflettere meglio su sé stessi e sulle scelte da adottare in materia di paesaggio e ambiente mentre alla porta della loro regione bussavano affaristi di ogni risma avvolgendo i propri intenti speculativi con il manto luccicante del progresso.
Nel glorioso dopoguerra del boom economico, durante il quale lo stato italiano scatenò una spietata offensiva contro l’ agricoltura e l’ allevamento di sussistenza per conseguire lo spopolamento delle aree montuose e collinari, la Calabria ha continuato a rivestire il suo ruolo di colonia interna da utilizzare soprattutto come riserva di braccia, caricandosi inoltre la funzione di ” territorio da sfruttare impunemente per smaltire le scorie del sistema industriale o per dislocarvi impianti inquinanti di vario genere” , secondo l’efficace sintesi di Arturo Lavorato e Felice D’ Agostino. Ormai, a livello planetario, tutti i nodi sono venuti al pettine e i cittadini della nostra regione non hanno bisogno della zingara per capire che la Calabria può sperare in un futuro decente solo se parteciperà attivamente ai diffusi conati di revisione del sistema economico, sociale e politico in cui siamo immersi o , meglio ancora, ai tentativi di elaborare una critica radicale da tradurre in azioni concrete. Perché questo sistema, definito correntemente capitalismo fino a qualche lustro fa ( e oggi invece indicato col termine economia per farlo sembrare “naturale “, indiscutibile e ineluttabile), è fondato sulla legittimazione della ricerca esasperata del massimo profitto nel minor tempo possibile, con licenza di travolgere tutti gli ostacoli che si interpongono sul furioso cammino: il trionfo dell’ economia assume ai giorni nostri la sostanza storica di una catastrofe per la specie umana, spaccata dalle profonde ingiustizie insite nei meccanismi predatori connaturati al pilastro del cosiddetto libero mercato: la legge del più forte. E purtroppo non è tutto, come ognuno sa: ” disuguaglianza, pandemia e crisi climatica – ci avvaliamo stavolta di una sintesi di Caterina Sarfatti – sono facce della stessa medaglia”, quella appuntata al petto di ” un’ economia sporca, basata sulla distruzione della biodiversità e degli ecosistemi”. L’ acqua, l’ aria, il suolo, il mare, le comunità vegetali e animali subiscono ancora gli attacchi dell’immonda economia avvelenatrice che però non potrà continuare a suonare questa musica per molto tempo: la guarigione dell’ ecosistema terrestre, sottolinea Paolo Cacciari facendosi divulgatore di opinioni scientifiche consolidate e ampiamente condivise, “rende necessario e urgente diminuire la pressione assoluta della specie umana sulla biosfera. L’ umanità deve arretrare, ridurre lo spazio antropizzato che occupa nel mondo. Se vuole salvarsi ( e questa è una buona ragione pratica, che le pandemie da zoonosi stanno bene evidenziando) deve lasciare alla libera rigenerazione dei sistemi naturali almeno il cinquanta per cento delle terre emerse e una percentuale dei mari ancora maggiore “. In questo quadro da squadernare per ricomporre la rottura dei cicli vitali e per elaborare una forma di civiltà più avanzata dell’ attuale, i settori più avvertiti della società calabrese stanno provando a fare la loro parte, ad esercitare una pressione sulle istituzioni nella piena consapevolezza che l’ affermazione di una rivoluzione antropologica, mossa dal rigetto di crescita e sviluppo e dal desiderio di armonia e pace con l’ambiente, non sarà un pranzo di gala. I poteri forti resistono e continueranno a farlo, preferendo a un mondo migliore ( più giusto, più felice, meno pericoloso) la transizione ecologica, vale a dire una verniciatura verde, anzi green, del paradigma culturale tecnocratico dominante, sostenuto dall’ arraffa – arraffa, il valore occidentale esportato con maggiore successo a tutte le latitudini. Bisognerà dunque essere capaci di impiantare e alimentare battaglie politiche anche contro la nuova frontiera dell’ affarismo, già affollata di pionieri che cavalcano ” l’ onda verde” per fare profitti sventolando il vessillo dell’ ambiente. Cittadini, associazioni e intellettuali calabresi hanno fatto un primo passo nella direzione del coordinamento e dell’ azione comune indirizzando alla Giunta regionale l’invito a rendere cogente il Piano paesaggistico che la Regione stessa si era data, per poi vanificarlo con l’eliminazione di tutte le norme applicative di cui era corredato. Un secondo passo, curato da alcune associazioni locali, consiste nell’ organizzazione di un dibattito pubblico ( vedi la locandina nella foto allegata) sul massacro delle Serre calabresi in nome dell’ energia rinnovabile, che nell’ area si manifesta in una forma giustamente definita ” eolico selvaggio”. L’ iniziativa è sollecitata dall’ ennesima sconcertante approvazione di un parco eolico a scapito dell’ ecosistema forestale nel comune di San Vito sullo Jonio e il pomeriggio di riflessione collettiva sarà l’ occasione di approfondire alcune questioni connesse alle fonti d’ energia rinnovabili solitamente trascurate dai mezzi d’informazione. Proviamo a riassumerne qui alcune:
1) la necessità di lasciarci alle spalle l’ epoca dell’ energia fossile, e dunque la necessità di incrementare l’ energia prodotta dall’ eolico e dal fotovoltaico, va bilanciata con la necessità altrettanto stringente di tutelare il territorio. Senza piani paesaggistici pronti a definire gli argini, in particolare per le grandi strutture e per il consumo di suolo, la bilancia penderà sempre dalla parte degli affaristi senza scrupoli e dei soliti noti che gavazzano nel ciclo del cemento e della movimentazione di terra.
2) Tutela del territorio nel caso specifico significa smettere di immolare alberi, essenziali per il contrasto ai cambiamenti climatici, di creare ulteriore dissesto idrogeologico e ulteriore inquinamento delle falde acquifere, e significa smetterla una volta per sempre con gli interventi, come le pale eoliche edificate nel cuore dei boschi e dei terreni utili a ricavare cibo, che danneggiano o impediscono le attività socio – economiche legate alle risorse locali, alle filiere corte, al turismo non distruttivo. Pensiamo per esempio al trekking Coast to Coast, che presuppone il coinvolgimento di piccoli contadini e allevatori e di piccole strutture ricettive: il giornalista Antonio Polito del Corriere della sera, reduce dall’ esperienza delle giornate di cammino dallo Jonio al Tirreno con l’ attraversamento delle faggete secolari, ha giudicato assurdo il programmato scempio del parco eolico di San Vito. Senza contare che – e citiamo ancora Paolo Cacciari – la natura è più di un semplice bene economico, c’è un’ imprescindibile dimensione spirituale, da cui provengono ” l’ attaccamento emotivo, lo stupore e la meraviglia per il mondo naturale, non meno importante di quella biologica.
3) Il bilanciamento di cui al punto 1, secondo studi e calcoli dell’ ISPRA, sarebbe perfettamente praticabile: l’Italia deve installare entro il 2030, per ridurre del cinquantacinque per cento le emissioni di gas climalteranti, 70 GigaWatt di nuova potenza energetica da fonti rinnovabili: utilizzando i tetti ( esclusi quelli dei centri storici) e le aree già impermeabilizzate si potrebbe generare una potenza dal solo fotovoltaico compresa tra 59 e 77 GigaWatt. Viene il dubbio che l’ insistenza sulle centrali eoliche a impatto ambientale negativo non discenda da necessità energetiche ma dalla persistenza delle dinamiche del sistema da superare per garantirci la sopravvivenza.
4) Le esigenze energetiche vanno discusse e ridefinite se vogliamo uscire dal vicolo cieco: non potremmo evitare di produrre l’ energia che genera tutte le merci dall’ obsolescenza programmata ( chi non ha mai visto nelle nostre fiumare o nei fondali dei nostri mari, lavatrici, frigoriferi, forni a microonde e altri elettrodomestici defunti senza ricevere le dovute onoranze funebri? ) e quella destinata a incrementare a dismisura l’ inquinamento luminoso notturno ?
5) Come è stato osservato da Giovanni Carrosio, un altro problema da sollevare a proposito degli sfregi eolici di montagne e colline, cioè delle ferite inferte da grandi centrali scollegate dai contesti locali sui quali come abbiamo visto hanno solo ricadute negative, è quello della colonizzazione ulteriore delle aree interne da parte delle città per l’ accaparramento delle risorse energetiche.
Come si vede la carne al fuoco non manca, ed è proprio quello che ci voleva dopo una lunga dieta a base di superficiali luoghi comuni.
Movimento ambientalista Preserre
Laboratorio territoriale di San Lorenzo e Condofuri
Associazione Il brigante – Serra San Bruno