Intelligence, Luciano Romito al Master dell’Università della Calabria: “Andare oltre le parole con regole che consentano trascrizioni scientifiche indispensabili nei processi. Il ruolo della fonetica forense è fondamentale”.
(Rende 24.2.2021) Luciano Romito, Professore all’Università della Calabria e Direttore del Laboratorio di fonetica dell’ateneo, ha tenuto una lezione dal titolo: “La linguistica forense nei processi di Intelligence. Analisi, valutazioni e possibili previsioni” durante il Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.
Luciano Romito parlando di comunicazione ha affermato che “durante una conversazione le parole non sono la parte più importante per una corretta comprensione; non bisogna infatti dimenticare tutti i parametri del linguaggio non verbale ma anche le informazioni relative al sesso, all’emozione all’intenzione ecc. veicolate contemporaneamente alle parole nello stesso canale acustico. Per comprendere bene l’informazione che viene data occorre avere certamente competenza linguistica ma occorre conoscere anche i modelli di comunicazione”.A tal proposito, ha evidenziato che per gli esperti del linguaggio è importante considerare tutte le caratteristiche pragmatiche legate ad un atto di parola. Infatti ha sostenuto che “Osservando l’interazione tra due persone è possibile comprendere, ad esempio, chi conduce la conversazione, se le persone coinvolte sono propense al comando o all’obbedienza e se nella composizione di una frase vengono utilizzati verbi che chiudono oppure favoriscono la conversazione”. Ha quindi fatto riferimento alle tecniche utilizzate dai linguisti per la comprensione e l’analisi delle conversazioni da applicare alle intercettazioni effettuate per i processi penali.
“Sappiamo – ha affermato – che praticamente non esiste processo penale senza intercettazioni telefoniche o ambientali e quindi il linguista può essere di grande aiuto nella ricerca della verità. Ad esempio, bisogna tener presente che non esiste un criterio giuridico che disciplini compiutamente le trascrizioni delle intercettazione, sebbene molte sentenze della Corte di Cassazione hanno cercato di fare chiarezza in tal senso. Infatti l’articolo 268 del Codice di Procedura Penale prevede che il giudice disponga la trascrizione integrale delle registrazioni delle comunicazioni acquisite. Ma processo di trascrizione integrale delle intercettazioni può essere fuorviante per diversi motivi. Infatti l’applicazione del principio contenuto nell’art. 268 c.p.p., ad esempio, non tiene conto che vi può essere molta differenza tra ciò che viene detto oralmente e ciò che poi viene effettivamente trascritto. Una frase o l’intera conversazione possono cambiare di significato se si analizza il linguaggio, spesso dialettale, oppure il tono della voce con cui è stata pronunciata. Inoltre inserire un punto oppure una virgola in una parte del testo trascritto può far cambiare totalmente il significato di ciò che si è realmente detto durante la conversazione. E sebbene l’art. 220 c.p.p. preveda che la perizia su un determinato atto processuale debba essere svolta da persone che abbiano specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche è il giudice, quale peritus peritorum, che in definitiva assume la decisione finale. E la decisione viene assunta utilizzando prove molto complesse che richiedono competenze specifiche, che di fatto l’organo giudicante non sempre possiede. Inoltre, continua Romito, bisogna considerare che le trascrizioni sono sempre frutto di interpretazione e questo è un altro inevitabile limite”.
Un linguista o un esperto può ovviare a questi problemi, così come anche la creazione di una figura professionale precisa.
Oltre alla trascrizione, è possibile giungere alla identificazione del proprietario di una voce attraverso le analisi di comparazione o di speaker recognition.
“Molto più sicuri – afferma Romito – per la costituzione della prova sono i parametri biometrici, come il riconoscimento facciale, l’esame del dna, la scansione dell’iride ed il riconoscimento dell’impronta digitale, i cui margini di errore sono molto limitati. Mentre nell’analisi della voce i margini di errore sono più elevati. Infatti, analizzare la voce naturale di un determinato soggetto determina un errore pari allo 0,01% mentre analizzare la sua voce registrata durante una conversazione telefonica determina un margine di errore pari allo 0,42%. Ed infatti mentre i metodi di indagine per il dna, le impronte, la scansione dell’iride sono standardizzati, i metodi di analisi della voce sono spesso sperimentali”.
Il professore ha poi proseguito sostenendo che “l’analisi della voce può essere svolta utilizzando parametri soggettivi oppure oggettivi. Si può incorrere, ad esempio, in un errore di falsa attribuzione della voce, poiché durante l’ascolto dell’audio si mette in atto un procedimento inconscio che condiziona la nostra percezione. Mentre i metodi di analisi oggettivi automatici e semi automatici riducono il margine di errore di attribuzione. Inoltre utilizzando i metodi di analisi oggettivi si può stabilire, ad esempio, se chi parla abbia lo stomaco vuoto oppure lo stomaco pieno ed ancora se ha una dentatura naturale oppure una protesi dentaria”.
Romito ha poi precisato che la cosiddetta statistica decisionale non è una prova. Pertanto, la similitudine tra due voci non può e non deve essere intesa come identificazione. Non è un caso, il giudice oppure il politico assumono delle decisioni in base alla verosimiglianza di una situazione e non sulla base di una certezza scientifica. Proprio per questo motivo è molto importante che i maggiori esperti siano al servizio dello Stato e non dei privati. In caso contrario si potrebbe creare, ad esempio, una giustizia di classe e se ciò dovesse accadere sarebbero avvantaggiati coloro i quali possono permettersi i migliori periti”.
Anche l’analisi linguistica per identificare la provenienza di una voce anonima può essere molto utile in alcune indagini. La frammentarietà linguistica della nostra bella Italia aiuta molto in questo caso.
“Non dimentichiamo – ha detto infine – che il nostro Paese non ha una lingua unica. Nella nostra Penisola nelle conversazioni prevale l’uso dei diversi dialetti, che sono spesso la prima lingua che noi apprendiamo e che ci marca per tutta la vita. Nella sola Calabria esistono due grandi aree dialettali nella Calabria Latina, che si identifica più o meno con la provincia di Cosenza, e quello parlato nella Calabria Greca, che comprende sostanzialmente tutto il resto. Le differenze linguistiche tra i due blocchi sono evidenti, poiché nel dialetto di derivazione greca non vengono utilizzati i verbi all’infinito che invece sono presenti nel dialetto di origine latina. Così come molte differenze possono essere evidenziate dall’uso dei pronomi possessivi messi prima o dopo il verbo che permettono di distinguere se il dialetto sia usato nella parte tirrenica o ionica della Calabria”. In definitiva, ha concluso Romito per svolgere un buon lavoro e per comprendere il vero significato di una conversazione e la realtà circostante è necessario occuparsi di tutto ciò che sta oltre le singole parole”.
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