Intelligence, Alfio Rapisarda al Master dell’Università della Calabria. Lezione su “Sicurezza aziendale ed interesse nazionale”. L’ENI in prima fila nel contrasto al Covid-19
Rende (9.5.2020) – “La sicurezza del paese ha tante sfaccettature e la chiave per ricongiungerle è la Sicurezza Nazionale”. Così è iniziata la lezione di Alfio Rapisarda, Vice President Security dell’ENI, tenuta, in video conferenza, al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.
Rapisarda ha compiuto un rapido excursus storico dell’Eni, che attualmente lavora in 66 Paesi nel mondo ed è un’azienda strategica non solo per l’Italia ma anche per le Nazioni in cui opera.
L’Eni nasce come ente pubblico dello Stato italiano nel 1953.
Nel 1946, Enrico Mattei, deputato alla Costituente, è incaricato dal Governo per dismettere l’azienda, verosimilmente su volere dell’amministrazione USA. Mattei, invece, di parere differente, riesce nell’intento di scoprire e sviluppare giacimenti petroliferi in Italia, dando vita a una politica di sostegno alla ricostruzione del Paese che aveva bisogno di importanti fonti di energia.
Rapisarda ha detto che l’Eni è annoverata tra le prime 500 società private più quotate al mondo e conta quali maggiori azionisti Cassa Depositi e Prestiti S.p.A con il 25,76% delle azioni e il Ministero dell’Economia e delle Finanze con una quota del 4,34%, mentre il resto è collocato sul mercato internazionale.
“La mission di Eni – ha precisato Rapisarda – è già allineata con i principali obiettivi dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, tenendo conto di un importante processo di trasformazione organizzativa ed industriale già avviata per favorire una reale transizione energetica che gradualmente permetterà di modificare lo sviluppo industriale insieme al nostro stile di vita.
Una trasformazione che dovrà tener conto dello sviluppo sostenibile dei popoli cui ancora oggi è negato l’accesso all’energia, nonostante molti di questi paesi siano in realtà ricchi di materie prime e di petrolio, cui, paradossalmente, non hanno sufficientemente accesso, come ricorda anche l’economista Dambisa Moyo nel suo libro “La follia dell’Occidente”. E questo tenderà ad aumentare le distanze planetarie, determinando, nei prossimi decenni, migrazioni ancora più massicce”.
Eni ha alle proprie dipendenze nel mondo circa 32 mila addetti, dei quali più di 10 mila all’estero.
“Per Eni la sicurezza è un imperativo obbligatorio – ha proseguito il docente – senza il quale nessun business è giustificato. È una cultura che in Italia tarda ancora ad imporsi tra gli imprenditori e gli operatori commerciali. L’unico modo che abbiamo ancora oggi per identificare la sicurezza aziendale a livello legislativo è fare riferimento alla sicurezza sul posto di lavoro, dove si continuano ancora a verificare un numero insostenibile di “morti bianche”. E la mancanza di legislazione adeguata fa si che in molte aziende il settore della security sia ancora troppo sottovalutato e spesso si agisce quando è già troppo tardi. La responsabilità penale societaria prevista dal decreto 231/2001 e i rischi reputazionali e di immagine non hanno prezzo.
Eni affronta questo tema da molti anni, e grazie al forte indirizzo del vertice aziendale, la security è una prerogativa che crea valore e favorisce quello che ci piace definire un “business responsabile” dove tutti sono consapevoli dell’importanza della tutela delle nostre persone e ciascuno di noi contribuisce alla tutela dell’azienda. Grazie a questo approccio, la security di Eni ha sviluppato una organizzazione robusta e strutturata con competenze di diversa estrazione, composta per l’80% da personale non proveniente dagli ambienti militari (contrariamente a quanto si potrebbe pensare), bensì con background legale, di audit, di business, di geopolitica internazionale, vale a dire un insieme di competenze che permette di governare un sistema di Risk management globale che è il cuore di una funzione security”.!
” La security – ha proseguito – deve necessariamente essere un must per tutte le imprese, piccole o grandi che siano, tanto da diventare nei prossimi anni anche uno sbocco occupazionale importante,con un ruolo chiave del mondo universitario nella formazione di nuove competenze.
Il docente ha poi parlato “dei principali rischi per la security, a cominciare dal terrorismo internazionale che fino a qualche tempo fa era erroneamente considerato un evento confinato in specifiche parti del mondo. Infatti, quando, a partire dal 2013 il terrorismo di matrice islamica ha investito l’Europa, ci siamo tutti resi conto che il rischio è vicino a noi. Questo accresciuto bisogno di sicurezza della comunità ha permesso alla security aziendale di investire in prevenzione, sviluppando modelli di supporto per fornire mirate valutazioni sulle minacce, accorciando i tempi di risposta all’emergenza che è vitale nei tempi della globalizzazione mediatica, della estrema mobilità internazionale e della pervasività della criminalità. Nel caso di Eni, con un altissimo numero di dipendenti in viaggio ogni giorno attorno al globo, diventa fondamentale tracciare ogni segnale di rischio per fornire rapidamente informazioni e supporto a tutte le persone”. Rapisarda ha poi affermato dicendo che “quella di oggi è una security che sta evolvendo: ieri, era legata a singoli aspetti e principalmente alle strutture fisiche; oggi, con la rapidità degli sviluppi del business e la grande dimensione del web, questi aspetti hanno esaltato il bisogno di tutela delle informazioni e dei dati che viaggiano nel virtuale, alle macchine guidate da automatismi sempre più evoluti ed a noi stessi, sempre più affamati di connessione. La security ha assunto anche una dimensione di cyber defence, nella quale insieme allo sviluppo delle tecnologie di difesa, continua a rimanere centrale l’elemento umano in grado di qualificare ma anche di vanificare gli strumenti di tutela cibernetica.
“L’esigenza di tutela cyber e la estrema rapidità di diffusione della minaccia – ha detto il docente – rende necessaria la collaborazione tra aziende e Istituzioni. E’ un tema ancora in embrione, poiché il sistema di difesa nazionale si sta formando un po’ a rilento e con poche risorse, ad indubbio vantaggio di chi del cybercrime ne fa un mestiere. Si inizia peró ad intravedere una nuova generazione, spesso composta da giovanissimi, che dal loro pc sono grandi esperti della rete e delle minacce che essa può celare. Eni ha avviato tre anni fa una unità di cyber intelligence per concorrere ad individuare con altri settori dell’azienda l’andamento delle minacce cyber nel mondo e comprendere le vulnerabilità che vanno eliminate per protegge l’intera infrastruttura ed i processi aziendali. E questo, soprattutto se la tutela riguarda infrastrutture critiche, minacciare da entità criminali, pseudo-statuali ed economiche.
E questo non va a tutela delle sole imprese, ma anche della sicurezza delle comunità, dell’organizzazione sociale, fino a lambire anche la sovranità nazionale”.
“È qui – ha proseguito – che si esalta la simbiosi tra tutela degli interessi aziendali e tutela degli interessi nazionali, nelle quali l’interesse privato si coniuga con l’interesse comune, come in molti paesi che “fanno sistema” per tutelarsi. Nel caso poi di una multinazionale come Eni è necessario duplicare questo senso di partnership pubblico-privato in ciascuno dei paesi in cui si opera mediante consolidati meccanismi di dialogo con tutte le controparti. Due sono i temi importanti: sviluppare una vera cultura dell’Interesse Nazionale e promuovere un’intelligence aziendale che consenta il corretto posizionamento rispetto al mondo esterno. Questo è necessario farlo in Italia, un paese che ha storiche difficoltà nella definizione di una politica industriale, così come la mancanza di una politica energetica nazionale ed europea, che oggi dipende per la maggior parte dalle importazioni, indebolisce l’intero continente rendendolo esposto alle volontà di chi governa il mercato mondiale”.
Altro elemento rilevante, di cui ha fatto cenno Rapisarda, è il ruolo dell’intelligence economica sviluppatasi in Italia con la riforma della legge sui Servizi n. 124/2007 e della leva della “Golden Power” introdotta con il D.L. n. 21/2012, che è un sistema di speciali poteri d’intervento da parte dello Stato per salvaguardare i settori strategici nazionali. Circostanza che diventa ancora più importante in momenti di grande depressione come quello attuale provocato dalla pandemia del COVID-19. Ha quindi precisato l’alto dirigente dell’Eni: “Ciò che è accaduto nel nostro Paese con la privatizzazione negli anni ‘90 di tante aziende pubbliche, ha dimostrato che in alcuni casi sono prevalse logiche privatistiche e non quelle nazionali, mentre in altre le scelte sono state determinate dalle crisi dei mercati, dall’eccessiva pressione fiscale e dalla burocrazia”.
Rapisarda ha quindi proseguito trattando la pandemia Covid-19 che ha modificato i piani mondiali e dell’esperienza che si sta maturando nella gestione dell’emergenza.
Ha affermato che la priorità dell’Eni, in questo periodo, è stata sin dal primo momento la tutela delle persone che, grazie alla propria organizzazione ed a una buona programmazione frutto di precedenti esperienze (come quello dell’Ebola e della Sars), ha hanno permesso di attivare immediatamente un piano di emergenza pandemica. Infatti, si è consentito a più di 16 mila dipendenti lavorare in smart working senza creare alcuna interruzione operativa. “Oggi bisogna rielaborare la crisi per tornare alla normalità – ha proseguito il docente – ed è fondamentale lavorare in team, comunicare in maniera precisa e puntuale, perché così si possono affrontare con minori imprevisti i tempi difficili che si profilano, adottando in maniera rapida ed efficace i provvedimenti governativi, e allo stesso tempo favorire nuove modalità di lavoro a distanza come una grande opportunità e non come una limitazione”.
Tra i tanti argomenti, Rapisarda ha anche ricordato come il supercalcolatore dell’Eni, che è tra i primi 10 al mondo, sia stato messo a disposizione della ricerca scientifica per l’elaborazione di algoritmi utili nello studio da parte dei centri di eccellenza italiani nella lotta al COVID-19. Un modo anch’esso importante di porre le tecnologie industriali al servizio del bene del Paese”.