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Il romanzo “Fili interrotti” di Anna Maria Deodato recensito da Ugo Mollica (scrittore e critico letterario)

Aperto a diverse interpretazioni sociologiche e a sorprendenti tipologie emotive, il romanzo muove da un tessuto descrittivo assai caro alla letteratura meridionalistica, che ha avuto il suo focus nel secondo novecento, ma che è ancora alquanto in voga, nella tipica ambientazione dei mali del nostro sud.
Un’esplorazione accurata, sostenuta visivamente da vigorosi flussi di memorie e da tenaci legami affettivi, che presenta realistiche angolature di quel piccolo, antico mondo, sempre desideroso di rompere le secolari, pesanti cortecce e di rigenerarsi, per riprendere finalmente il passo del tempo.
Il quadro iniziale è di una vita elementare e scarna, spesso aggrovigliata su corali liturgie di famiglia, ripetitive e rigorose, o tristemente desolate e in pietoso abbandono.
L’insieme è uno sciame sociale indeterminato, assolutamente privo di garanzie e di difese, con gli epigoni di una nobiltà insecchita in qualche vetusto palazzo, diventata la negazione di sé stessa e quasi ignorata dall’irrompere di diverse gerarchie sociali.
Due fratelli dissimili, avviati su strade differenti, dei quali il meno provveduto andrà poi a connotarsi, come l’animatore di tutta la storia. Uno zio che diventa il regnante di famiglia, per spregiudicatezza ed egoismo e una madre, simbolo di tutte quelle madri, “con i capelli raccolti a crocchia dietro la nuca, che si arrende ai dolori della vita, ma è forte di un amore indomabile per i figli, per i quali vincerebbe ogni insidia”.
Il paese rimane sullo sfondo, con le sue ragnatele di tradizioni, di zii, di parenti, con tante persone senza valore e tante altre persone cattive. Per molta parte esso esce dal narrato, rimanendo nei suoi affanni e nella sua precarietà, con le unghie immancabili della criminalità, pronte sempre a lucidare di fresco il Malnome della povera Calabria, non soltanto di quegli anni. Ombre terribili, che le società povere sono costrette ad indossare, come fardelli mortificanti, con cui a caro prezzo devono convivere, in aggiunta alle comuni altre disavventure della vita.
Il testo, di una lettura leggera e avvincente, qua e là impreziosita da frasi notevoli, di valore esteso, nel correre delle pagine vede crescere la figura di Giuseppe, io narrante meticoloso ed autorevole.
Il quadro descrittivo si apre ad un panorama di circostanze diverse, cariche di movimento e di intensità, con rapporti umani di tutt’altra natura: amicizie più o meno inquiete, amori familiari ed extra, viaggi esotici da benestanti, successi economici, incursioni nel mondo finanziario, con in agguato sempre tanto scorrere di incubi, di paure e di malattie.
Emergono campi descrittivi collaterali, soprattutto di economia e medicina, in cui l’autrice esibisce, oltre ad una corretta configurazione delle circostanze, una competenza specifica approfondita, con precisione di termini e di valutazioni.
Oltre le avventure di una vita intensa, complessivamente gratificante, il nostro Giuseppe, che avevamo conosciuto all’inizio con scarsa voglia di studiare, dopo aver conosciuto in buone dosi anche il successo, si scontra col suo vero, ultimo nemico, la malattia.
Con un abile gioco di introspezione, Giuseppe viene posto in condizione di giocare le carte della memoria, mettendo in fila passato e presente, cui dedica efficaci valutazioni, che vanno sempre a confluire sui dettagli clinici delle varie situazioni e sulle terribili insidie alle ragioni della salute.
Sullo schermo gigante dei pensieri Giuseppe ripensa e ritrova in lunga fila amicizie, affetti ed amori in un susseguirsi di piani contemplativi, intrisi di nostalgia e di rimpianto, per quanto poteva essere e non è stato.
La conclusione è un lungo processo di revisione della vita, in una specialissima aula di tribunale, in cui ha parola soltanto Giuseppe, che la utilizza per osservare, da un’altitudine soltanto a lui riservata e con una consapevolezza assoluta il limite estremo, che tutti noi incontreremo, però a luci spente.
Non ci sono assolti o colpevoli, all’uscita da quel tribunale, ma soltanto un’inconsueta ed intelligente misura dell’autrice, per raccontare il gioco incantevole e i grovigli inafferrabili della vita.
Madrid, 10 gennaio 2023
Ugo Mollica (scrittore e critico letterario)