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Il destino della Calabria è appeso a un filo e si sta consolidando una volontà collettiva di cambiamento nel segno della conversione ecologica

L’umanità continua a fare carne da macello del proprio ambiente vitale a dispetto della necessità di cambiare immediatamente rotta imposta dalla crisi ecologica planetaria, della quale la pandemia in corso è soltanto un epifenomeno. Sotto i nostri italici occhi il vecchio avanza: le redini del governo in un momento storico così delicato sono state consegnate a soggetti incapaci di assumere una priorità diversa dall’espansionismo economico e inclini perciò a non concepire la cosiddetta transizione ecologica come un trattato di pace tra le attività antropiche e la biosfera; per costoro si tratta piuttosto di un grande driver della crescita delle aziende (rubiamo l’espressione a Massimo Beccarello, responsabile Ambiente della Confindustria). La speranza di un futuro vivibile per gli umani presuppone una dedizione somma e generale alla causa del risanamento delle ferite, delle fratture e delle piaghe inflitte agli ecosistemi dall’ idolatrico culto dell’economia, dalla frenesia sviluppista che non riusciamo a lasciarci alle spalle. A nulla vale il recente maquillage costituzionale se si continuano a programmare attività lesive di un bene comune come il suolo, fornitore di servizi ecosistemici indispensabili per la sopravvivenza delle forme di vita terrestri, il cui consumo, già da tempo attestatosi nel nostro paese sul ritmo incredibile di due metri quadrati al secondo (quattordici ettari al dì), si impennerà per il combinato disposto del PNRR e della mancata approvazione della legge che voleva contenerlo.
Chi vive in Calabria percepisce in maniera acuta l’atmosfera truculenta del mattatoio, coglie, nelle intenzioni e nelle azioni della politica e degli apparati amministrativi, la piena disponibilità a immolare il territorio sull’altare bulimico della “ripresa”, della “ripartenza” o meglio, squarciando la nebbia delle parole vuote, della coazione a riproporre ricette tanto specializzate nella creazione di catastrofi quanto scadenti nella soluzione dei problemi. Nell’ultimo periodo, giusto per fare due soli esempi, è stata autorizzata la realizzazione di un ennesimo parco eolico nelle Serre a scapito dell’ ecosistema forestale ricadente nel comune di San Vito sullo Jonio (Catanzaro) ed è sotto attacco la spiaggia di Soverato, dove “per non perdere i finanziamenti” si contrasta un’erosione del tutto immaginaria spalmando a piene mani blocchi di calcestruzzo e altri materiali per la costruzione di una serie di pennelli utili soltanto a sconvolgere la dinamica costiera, con ricadute particolari sul tratto di litorale limitante a nord con l’area di cantiere, e sottoposto a un vincolo naturalistico che, imperversando il clima della macelleria, non è sufficiente a proteggerlo. Proprio in questi giorni nella sempre più degradata regione meridionale si apre una partita fondamentale per il suo destino, animata da due schieramenti che puntano a raggiungere obiettivi tra loro radicalmente diversi. Da un lato si pone una convergenza di soggetti: associazioni, cittadini, noti intellettuali da anni impegnati a difendere e recuperare le qualità primarie del territorio (la sua fisionomia storica, la fertilità della terra, la salubrità dell’aria e delle acque) e a rivendicare giustizia e servizi sociali. Dall’altro c’è una classe politica ancora avvinghiata alla stessa idea che infiniti lutti addusse ai calabri, secondo la quale un ciclo del cemento vivace e perpetuo si traduce in una fonte sicura di lavoro e sviluppo. Il primo schieramento ritiene invece che un’economia connessa alla cura e al risanamento delle devastazioni, finalizzata al contenimento e non all’incremento di dissesto idrogeologico e erosione costiera, possa garantire alla popolazione residente più occupazione e una migliore qualità della vita: per questo motivo sta raccogliendo sottoscrizioni per un appello rivolto alla Giunta regionale con la richiesta di ripristinare le norme in origine parte integrante del Piano Paesaggistico della Calabria (QTRP, uno degli strumenti di tutela di paesaggio e ambiente più avanzati in ambito europeo) che al momento, dopo la rimozione a suo tempo effettuata con rapido colpo di mano dalla Giunta Scopelliti, è diventato una dichiarazione di principi senza cogenza. Nel frattempo l’attuale maggioranza di centro-destra sta per presentare una proposta di legge, di iniziativa dei consiglieri Pietro Raso e Pierluigi Caputo, funzionale a un allargamento delle maglie del QTRP, che evidentemente è un impiccio da rimuovere per chi continua ad abbracciare visioni economicamente ed ecologicamente arretrate. In ogni caso i piani paesaggistici locali –ce lo ha ricordato Salvatore Settis – recepiscono una legge dello Stato, il Codice Urbani, la quale, a sua volta, attua la Costituzione. Di fronte a questo quadro ogni intervento che metta fuori gioco le norme di tutela concordate dalle Regioni con lo Stato è non solo politicamente inopportuno ma anche giuridicamente impraticabile. Nei prossimi giorni daremo alle stampe l’appello di cui si diceva prima con l’elenco aggiornato dei firmatari; speriamo che alla fine prevalgano le ragioni della vita su quelle della distruzione e della sciatteria.

Laboratorio territoriale di San Lorenzo e Condofuri
Movimento ambientalista Preserre
Italia Nostra, sezione Paolo Orsi di Soverato e Guardavalle
Associazione Il brigante di Serra San Bruno
Calabria resistente e solidale
Sentieri d’Aspromonte
WWF Calabria