Il decreto Ponte riapre i rubinetti dello spreco. Mercoledì 5 aprile assemblea No Ponte a Villa San Giovanni
Il Decreto sul ponte sullo Stretto è stato firmato dal Presidente della Repubblica, confermando il testo approvato in Consiglio dei Ministri lo scorso 16 marzo.
È il segnale che, nonostante l’illusorietà finanziaria e l’inconsistenza progettuale dell’opera, non può essere rinviata l’azione di contrasto a un disegno politico che considera ancora una volta il Sud come terreno di scambio elettorale e di spregiudicate manovre lobbistiche. Non è un caso se l’accelerazione sul Ponte arriva in un momento cruciale nella storia del Mezzogiorno d’Italia: la sciagurata realizzazione dell’autonomia differenziata, la “secessione dei ricchi” come giustamente è stata ribattezzata, che sancirebbe definitivamente la morte del meridione e che il governo sta provando a insabbiare con la consueta favola del Ponte.
Mentre le società incaricate di nuovi studi di progettazione e fattibilità possono sperare in una nuova stagione di spreco di denaro pubblico (come i dieci miliardi spesi sinora per studi, consulenze e stipendi da favola per i manager delle società coinvolte) la verità è che non è dato sapere come quest’opera verrà finanziata e, soprattutto, quale sarà il progetto che dovrebbe portare all’avvio dei lavori entro il 2024, dato che quello a campata unica è stato bocciato più volte dallo stesso Ministero delle Infrastrutture per le tante criticità ingegneristiche che rendono illusorio pensare a una concretizzazione dell’opera nei tempi indicati dalle comparsate televisive di Salvini.
Eppure queste perplessità e la diffidenza che la maggior parte degli abitanti di Calabria e Sicilia oggi nutre di fronte agli annunci del “ministro con il casco” non devono indurci a un atteggiamento attendista. L’attacco al Sud e allo Stretto – alla sua straordinaria ricchezza in termini paesaggistici, di biodiversità e di ecosistema – è stato sferrato, e la variante di Cannitello – la deformazione del tratto di ferrovia calabrese attuata oltre dieci anni fa per lasciar spazio a un fantomatico pilone mai costruito – ci ricorda che indipendentemente dal fatto che il Ponte non verrà mai realizzato, come tanti tecnici continuano a ribadire, il nostro territorio rischia concretamente di venire stravolto per onorare cambiali e promesse elettorali.
L’altissima improbabilità dell’operazione Ponte, nonostante le rassicurazioni di parte, produrrà solo la riapertura dei rubinetti dello Stato e spreco di risorse pubbliche che saremo noi a pagare.
È urgente perciò avviare una mobilitazione larga, plurale e capillare che metta al centro le reali priorità dei nostri territori e degli abitanti che ci vivono e ragionare insieme su come batterci contro un’opera che altro non è che la metafora di un modello di sviluppo insano e insostenibile, calato dall’alto, pensato contro la popolazione e un ecosistema che va tutelato e salvaguardato, tanto più di fronte agli aspetti drammatici del mutamento climatico.
Dopo l’incontro di domenica 26 marzo a Torre Faro, il movimento calabrese di contrasto alla “grande” opera si riunirà mercoledì 5 aprile alle 17,30 presso il CSC Nuvola Rossa di Villa San Giovanni (Via II novembre) per una prima riflessione collettiva che lanci una mobilitazione permanente e strutturata.