Franco Basaglia: “e mi non firmo” (“E io non firmo”)

Franco Basaglia nacque l’11 marzo del 1924 a Venezia ed oggi ricorre il suo centenario dalla nascita. La frase che dà titolo a questo articolo fa parte di un’eredità di valori e di concetti che hanno reso lo psichiatra veneziano uno dei primi in Italia e nel mondo a curare e ad intendere la diversità, codificata sotto l’etichetta di malattia mentale, come qualcosa da trattare con più dignità e rispetto. Oggi, il modello biomedico, tanto in voga nel mainstream psichiatrico nazionale, ha preso il sopravvento, ritrasformando la persona da soggetto, capace di autodeterminarsi, a oggetto nosografico e, permettetemi di aggiungere, socialmente inutile per qualcuno.  Il movimento culturale che nel 1978 ha abbattuto i muri dei manicomi, con la legge 180, si sta vedendo cassare anni di lotte dei diritti, che, voglio ricordare, hanno condotto a quello che è il servizio sanitario nazionale che, tutt’oggi in vigore, dà la possibilità di curarsi a tutti e indistintamente (stanno distruggendo anche questo!). Ritengo necessario, quindi, un ritorno ad un modello biopsicosociale che rappresenta un’urgenza indispensabile. La necessità nasce dal fatto che non si può considerare una persona solo attraverso parametri nosografici che poco dicono e poco definiscono un soggetto nella sua complessità. La paura della “follia”, per tali motivi, ha preso il sopravvento in ogni ambito sociale, grazie anche ai media, facendo passare il concetto di “normalità” come qualcosa da perseguire ad ogni costo, portando molti (soprattutto giovani) ad aspirare ad un ideale di perfezione che non fa altro che far emergere le personali fragilità, con conseguenze devastanti per la psiche. Franco Basaglia aveva sicuramente capito questo e tanto altro e con caparbietà ha trasformato il concetto di cura, inizialmente discriminatorio, in qualcosa che avesse la capacità e gli strumenti dialettici utili per interfacciarsi con la contraddizione umana. L’atteggiamento, sicuramente di stampo esistenzialista, è sempre stato considerato “roba da intellettuali che poco centra con la malattia”, ma senza mai dare spiegazioni che potessero giustificare o avallare questa tesi o che potessero provare cosa sia realmente la malattia mentale. Basaglia, viceversa, ha fornito uno sguardo diverso che aveva radici filosofiche (qualcuno storcerà il naso) che aiutava il paziente a non sentirsi estraneo al mondo, quindi limitava quella frattura esistenziale, rendendo la cura una “donazione di senso” sostenibile per la persona con disagio mentale nel suo mondo della vita, prima fatto solo di sbarre e di reclusione forzata. Ovviamente questo modello di pensiero necessita tempo e pazienza, cose che l’attuale società, anche quella scientifica, non permette perché non è più il tempo del “Noi”. L’individualismo ci ha resi intolleranti e poco disposti a cercare l’accesso al cuore delle persone e che non passa necessariamente dai suoi bisogni materiali. Quanto scritto non esclude i passi da gigante fatti dalla scienza che nella psichiatria si occupa del sintomo, ma oltre questo esiste l’individuo con la sua libertà ferita. La cura in psichiatria è possibile solo nel momento in cui non ci sia distacco tra chi cura e chi è curato, ma prevalga il dialogo e l’ascolto, la vicinanza e il rispetto.  La mia eterna gratitudine va a Franco Basaglia e tutta la sua squadra che ha reso “possibile l’impossibile” e che ha dato speranza a molte persone con la rivoluzione pratica e teorica, che ha modificato decisamente il modo di fare psichiatria in Italia. Non facciamo che questa eredità, esportata in tutto il mondo, sia dimenticata o messa da parte per dare spazio a modelli stereotipati e classificazioni nosografiche che annullano l’essere umano. Per esplorare l’ombra nei suoi recessi, intesa come parte recondita del nostro essere, non bastano costrutti teorici o terapeutici, ma bisogna spogliarsi dal pregiudizio e accompagnare la persona sofferente verso un percorso che gli restituisca il mondo, la dignità e gli restituisca, come ha fatto Basaglia, speranza!

 

Reggio Calabria, 11 marzo 2024

 

 

                                                             Cordiali saluti

Giuseppe Foti, educatore psichiatrico