Escalation delle violenze nelle scuole, la calabria al 19esimo posto
Quando si è vittime di bullismo, andare a scuola può diventare un incubo. Si viene presi di mira per l’aspetto o addirittura per una disabilità. A volte per la razza o la provenienza. Altre volte per l’orientamento sessuale o, le ragazze, per la loro presunta “facilità” a concedersi. Tutto questo, poi, trova il suo culmine in episodi di vera e propria violenza fisica. E cosa succede se a macchiarsi di questi comportamenti non è un gruppo di studenti, ma il prof?
Le immagini sconcertanti che periodicamente le forze dell’ordine rendono pubbliche ci mostrano un ambiente insano e violento tra le pareti scolastiche: schiaffi, urla, offese, strattoni ,costrizioni per mangiare:è il triste filo conduttore che ha come protagonisti gli insegnanti e come vittime i loro alunni. Laddove,invece, ad un bambino di tre anni a volte può far male anche solo uno sguardo che incute terrore, figurarsi modi di fare di questo tenore.
Secondo una ricerca di Skuola.net su ben 7.500 studenti, non sono casi rari: il 56% confessa di essere stato brutalmente insultato o umiliato davanti a tutta la classe da un professore. Uno su 4 denuncia invece casi di violenza, di cui è stato vittima lui stesso o un compagno.
Ben 1 ragazzo su 4 ricorda un prof che abbia alzato le mani in classe. Di questi, il 9% circa sostiene che l’episodio lo ha riguardato personalmente, mentre il 14% ha visto picchiare qualcun altro dei suoi compagni. Di che tipo di violenze si tratta? Skuola.net lo ha chiesto direttamente ai ragazzi. Tra i loro racconti, sono state selezionate e riportate le storie più significative: schiaffi, quaderni tirati sul viso, teste sbattute sulla lavagna o addirittura le mani schiacciate nella fessura tra un banco e un altro.
Il 56% degli intervistati, poi, si è sentito almeno una volta insultare pesantemente ed umiliare davanti a tutta la classe. Sono emersi casi di insulti razzisti, di umiliazioni su difetti come la dislessia o la balbuzie. Non mancano le derisioni pubbliche di ragazzi in forte sovrappeso, di quelli considerati “brutti” o di coloro ritenuti poco attraenti sessualmente. A volte si prendono in causa le condizioni familiari difficili. Altre volte si ricorre a pesanti giudizi sulle capacità intellettive del ragazzo o sulla presunta disponibilità “sessuale” della ragazza. E per finire, volano poi le parolacce vere e proprie.
Dai racconti degli studenti riguardo ai casi di violenza fisica dei professori raccolti da Skuola.net, emerge che questi fatti riguardano soprattutto scuole medie e superiori. Ma purtroppo sono anche sempre più ricorrenti episodi di violenza alle scuole elementari e materne.
Nel nostro Paese sono quasi 6 milioni, tra bambini e adulti, le persone che sono o sono state vittime di maltrattamenti durante l’infanzia. Una proiezione parziale, perché il fenomeno è ancora sommerso e non adeguatamente studiato su base nazionale. È quanto emerge da LiberiTutti, primo Indice regionale sul maltrattamento all’infanzia in Italia realizzato dalla ong Cesvi.
L’Indice restituisce una classifica delle regioni del nostro Paese sulla base di un indicatore che sintetizza fattori di rischio e offerta dei servizi, relativi tanto alla categoria dei bambini potenziali vittime quanto a quella degli adulti potenzialmente maltrattanti. Dai risultati dell’analisi emerge la persistenza di forti disparità tra il Nord e il Sud del nostro Paese.
Secondo i dati forniti da LiberiTutti, la prima regione per capacità di prevenzione e contrasto del maltrattamento sui bambini è l’Emilia Romagna Tra le regioni con l’indice complessivo più basso, invece, ci sono la Campania, la Calabria, la Sicilia, la Puglia e la Basilicata. La Campania è in coda alla classifica, ultima sia nell’indice sui fattori di rischio che in quello su servizi e politiche. Penultima, al 19° posto, la nostra regione per il più elevato livello di criticità.
Il maltrattamento sui bambini è la conseguenza ultima di una situazione di disagio che coinvolge le figure adulte e il contesto familiare, ambientale e sociale nel quale i bambini crescono. I bambini e le bambine sono infatti maltrattati soprattutto nell’ambiente che più di tutti dovrebbe garantire loro sicurezza e protezione. Non solo casa, anche scuola.
.
Il medico Vittorio Lodolo D’Oria, massimo esperto di bournout e stress lavoro correlato degli insegnanti, associa tali patologie all’escalation di violenze nelle scuole. Un fenomeno in preoccupante crescita ,come documentato da una sua recente ricerca ,la prima del genere in Italia, in cui ha raccolto i dati di tutti gli episodi di presunti maltrattamenti a scuola nel quinquennio 2014- 2018 ,arrivando fino al mese di gennaio di quest’anno. Complessivamente i casi sono stati 78 con un totale di 156 docenti indagati ,ripartiti in 9 nidi comunali, 53 scuole dell’infanzia e 16 scuole primarie. Dal 2014 , gli episodi sono stati sempre più numerosi e , in particolare, sono triplicati tra il 2015 e il 2016 (passando da 8 a 22),mentre nel solo primo trimestre del 2019 si è raggiunta la cifra di 31 insegnanti che sono finiti , anche nella nostra regione, nelle maglie della giustizia e c’è la prospettiva di vedere raddoppiato quantitativamente il fenomeno rispetto all’anno precedente.
Sotto osservazione, il comportamento di insegnanti ed educatrici con un’età media tra i 55 e i 56 anni, in abbassamento tra il 2017 e il 2018, anche se, i casi del 2019 finora registrati, hanno riguardato donne con un’età media di 59 anni.
È evidente la progressione dei casi di presunte violenze con l’aumentare dell’età delle insegnanti – e con un probabile sfinimento e logorio psichico professionale.
Il burnout sta crescendo progressivamente e molti docenti ne vengono colpiti, in conseguenza del fatto che sono sottoposti a sollecitazioni continue e logoranti. Secondo il dottor Lodolo una altissima percentuale di chi lavora dietro la cattedra ammette di essere stressato. Poi ci sono le vere e proprie patologie. E anche in questo caso non c’è da sottovalutare la situazione. Perché dalle ultime rilevazioni risultano almeno 24mila psicotici e 120mila depressi nella categoria. Infine, ci sono tutte le altre malattie della psiche più lievi ma non per questo da trascurare, come i disturbi dell’adattamento e di personalità. Per gli insegnanti, come si sa, non è previsto alcun controllo né all’inizio della carriera né successivamente.
Proprio da queste considerazioni nasce l’esigenza di attuare la prevenzione primaria dello SLC (Stress Lavoro Correlato) nella scuola rendendo edotti tutti gli operatori circa i rischi professionali cui la loro salute può andare incontro. Questo processo di acculturamento in materia di prevenzione dello SLC del corpo docente è quanto, per esempio ,sta tentando di realizzare anche il Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza, Antonio Marziale, nel suo impegno quotidiano perché siano attivati corsi di prevenzione obbligatori da realizzare in tutte le scuole a favore dei docenti di ogni ordine e grado. Compito quest’ultimo in capo al dirigente scolastico secondo l’art. 28 del DL 81/08 per la predisposizione di tutte le contromisure per monitorare e prevenire lo SLC.
Purtroppo, con un organico sempre più all’osso, scarse risorse e dirigenti scolastici spalmati su più istituti come manager che devono solo render conto dei bilanci, quella che doveva essere la buona scuola ha perso di vista la vera formazione dei docenti. Che non può essere solo quella dei corsi di aggiornamento. Non esiste una supervisione sugli insegnanti. In pratica , basterebbe il monitoraggio costante del dirigente o del responsabile di plesso, una passeggiata attenta tra i corridoi per testare le relazioni tra gli insegnanti e gli allievi, intervenendo nei casi più difficili.
Sappiamo invece che questo accade sempre meno e che le maestre e gli insegnanti sono lasciati sempre più soli.
Da conoscitore della scuola posso affermare che per individuare i docenti inadeguati e dannosi esistono altre strade. Come quelle di sensibilizzare i colleghi a segnalare i dubbi ad organi superiori: troppe volte ,infatti, anche i casi eclatanti non si individuano per delle forme di omertà quasi sempre incomprensibili. Taluni consigli di classe sono dei sepolcri imbiancati.
Per concludere, poiché il burnout sta crescendo progressivamente e molti docenti ne vengono colpiti non è più il caso di soprassedere, occorre darsi una mossa perché la professione docente del XXI secolo è divenuta sempre più complessa e usurante e c’è un capitale umano da proteggere applicando la legge.
Reggio Calabria 13/4/2019 prof. Guido Leone
già Dirigente tecnico USRT Calabria