E’ morto Gianfranco Labrosciano, addio ad un’eccellenza calabrese

RENDE (CS) E’ venuto a mancare ieri Gianfranco Labrosciano, critico d’arte, artista a tutto tondo, eccellenza calabrese tra le più raffinate e apprezzate. Pubblichiamo il ricordo di Gianfranco nelle parole di Orazio Garofalo, suo amico fraterno.

«Sai, penso che a fronte di questa grande perdita sia necessario intensificare le attività artistiche e culturali. E’ il modo migliore per ricordarLo al meglio. Lo avrebbe voluto anche Lui. E anche per quanto riguarda oggi, gli sarebbe piaciuto che non si affrontasse la cosa con tristezza ma con speranza… magari … cantando»
E’ ORAZIO GAROFALO, VIDEOARTISTA E AMICO INTIMO DI GIANFRANCO LABROSCIANO CHE PARLA COSÌ NEL GIORNO IN CUI QUESTO INTELLETTUALE COLTISSIMO E ACUTO ABBANDONA LA PROPRIA BRUCIANTE, SFOLGORANTE, MAI TIEPIDA, ESPERIENZA TERRENA.

«Gianfranco LABROSCIANO non era nato per essere semplicemente un Direttore Artistico né un Addetto alla Cultura, a voler seguire le categorie dell’ottimo Franco BATTIATO… Non gli si potevano imporre regole di nessun tipo e, pertanto, come raramente accade fra gli uomini, fu, quasi solitario, sperimentatore di quella dolcissima carceriera che chiamiamo Libertà. Si, proprio quella che manca a quella pletora di portaborse sciacquini mezzecalzette leccaculo poveri cristi scioperati buoni a nulla morti di sonno ignoranti talentati solo ne icapelli quando va bene cui, in genere, il potente di turno affidava e spesso ancora affida (ahinoi!) la direzione di un museo, di un teatro e, ovviamente, di quei dipartimenti e settori che dovrebbero valorizzare l’immenso patrimonio culturale e memico della nostra terra… si, proprio quel lembo di terra di cui si parla nei media unicamente in occasione di eventi succosi come stragi e faide di n’drangheta, malasanità, malaffare e che assume importanza nazionale proprio per questo: è un dirupo profondissimo, una Geenna, una discarica di disumanità inesausta rispetto alla quale ogni mediocre e incolto ritiene di dover prendere le distanze… sai, quel lembo di terra che ha dato nome, radici, pensiero, stile di vita, propensione per il bello e il bene, codici giuridici, musicali, artistici all’intera nazione che è come dire a tutta l’Europa».

«In questa terra, precisamente a Malvito, nacque Gianfranco, letteralmente inondato, durante la sua infanzia, perché così Lui stesso raccontava, da sublimi percezioni sensoriali: la voce della propria mamma che lo sveglia dolcemente, il velo sottile e finemente lavorato di una tendina bianchissima che si scosta, il profumo di latte e miele della pelle della propria gemellina al suo fianco nel letto, un raggio di luce che inondava la stanza. E ancora, il paesaggio mai monotono e florido che scorgeva dal Castello Normanno e per il quale malediceva di non posseder le ali, i fuochi e la festa di San Michele.
«GIANFRANCO È UN PROMETTENTE AVVOCATO, LO SANNO I SUOI FAMILIARI, LO SANNO I SUOI AMICI, LO SI SENTE DA COME PARLA, DALLA LUCIDITÀ DEL SUO PENSIERO, DALLE SUE DOTI RETORICHE.

Ha la ventura di fare pratica, per giunta, in uno studio legale con un dominus d’eccezione e che appartiene alla scuola migliore, quella napoletana, ovviamente. Se non fosse che, proprio in quello studio incontra un autentico profeta della nostra contemporaneità: Filiberto MENNA, il quale, non perché gli mancasse un mestiere (era medico valentissimo), non per capriccio, ma per puro genio, è da considerarsi il più autorevole teoretico dell’arte del secolo scorso. La concezione dell’arte e dell’architettura del MENNA sono ora applicate a Sydney, a New York, a Pechino e ancora inapplicabili per quanto sofisticata e superiore sia la società degna di sfruttarne la potenza; non siamo pronti ancora, come umanità, a coglierne la gittata. Di fronte a un incontro del genere, il nostro dà la stura alla sua naturale inclinazione: vivere l’Arte in maniera totalizzante, farne la propria vita, alimentarsi con essa. Osserva, studia, scrive Gianfranco, il suo Maestro gli ha regalato una lente con cui guardare il mondo e discernere le cose, la penna era già, invece, nel suo cassetto. Leggi i suoi romanzi e sembra Miller, leggi la sua critica d’Arte e sembra… Menna, lo senti parlare di Arte ma in realtà ti sta consegnando uno strumento di misura dell’estetica. Educatore non lo fu mai e non poteva esserlo ma, all’anima della didattica dell’arte e dell’estetica… Eri ipnotizzato dalle sue lezioni e schiumavi dall’eccitazione e dall’entusiasmo. Si dall’entusiasmo perché un Dio si impossessava di Lui e di chi lo ascoltava. In genere, nella vita, e ciò vale purtroppo anche per i mediocri, ci si accompagna ai propri simili e il nostro Ulisse, dopo il battesimo di fuoco salernitano col Menna nonché il contesto inspirativo e inesauribile di Napoli (non a caso Campania Felix…) si ritrova a frequentare l’Isola più Bella e colta al mondo. Di una cultura aristocratica e una bellezza che fiacca le membra, tramortisce e silenzia lo spettatore. In Sicilia Gianfranco frequenta Francesco CARBONE e vive di persona e come co-protagonista l’esperienza di Godranopoli, in un ambiente artistico in cui, come dire, nacque, tra le altre cose, il concetto di Arte Povera. Si affianca, in quel periodo, indissolubilmente, all’artista di Misilmeri Giusto SUCATO, già braccio operativo della Teoretica di Francesco Carbone e autentico gigante dell’Arte Antropologica. Intreccia con Giusto Sucato un rapporto di amicizia sincera e fraterna, immarcescibile, e non solo un rapporto professionale. Dal vivo assiste alla ricostruzione di Gibellina con l’Arte e l’Architettura, dopo il sisma del Belice, unico esempio al mondo. Presagisce che non solo il Belice ma tutto il nostro tempo è letteralmente sconquassato, il paesaggio umano sconvolto e che solo l’Arte, questa altissima menzogna, inutile, intangibile, immateriale, vera, però, più del vero, solo l’Arte, si diceva può costruire qualcosa di Eterno. Si lega ad almeno tre generazioni di intellettuali e artisti siciliani dei quali voglio citare, ad exemplum, il finissimo Ignazio APOLLONI, Franco SPENA, Calogero BARBA, Salvatore SALAMONE, Agostino TULUMELLO, Enzo PATTI, Niccolò D’ALESSANDRO. Si abbevera dell’esperienza inspiratissima di Antonio PRESTI e di Fiumara d’Arte a Tusa. In questo periodo, insegue il sogno di realizzare il vero Ponte verso la Sicilia, quello mentale e culturale, quello che è sempre esistito… Lo fa contribuendo a consolidare il gemellaggio artistico e la promozione degli artisti contemporanei campani, calabresi e siciliani. Sono di questo periodo le frequentazioni assidue e le spontanee sinapsi con gli artisti Pino PINGITORE e Antonio PUGLIESE, con l’artista tunisina Saloua JABEUR. E’ ancora di questo periodo la creazione del movimento culturale, artistico e di opinione ULISSE dotato di un gruppo operativo e costituito da siffatti intellettuali e artisti con manifesto programmatico e impianto teoretico fondato sulla valorizzazione di quell’ampia e feconda superficie terracquea rappresentata dal Mediterraneo e dalle culture che lo hanno abitato. Luogo di incontro e di sperimentazione di avanguardie, prima ancora che artistiche e culturali, umane. Negli ultimi tempi frequentava a Cosenza, sua città di adozione, unicamente il Magister Maximus Leopoldo CONFORTI e un altro pilastro della memoria, un altro gigante, Coriolano MARTIRANO che ora riabbraccerà in quel luogo fortunato. Annus Horribilis, per noi che rimaniamo. Non ci saranno né vie, né piazze, né busti che lo ricorderanno ma noi sappiamo che qualcuno a Santa Severina, Altomonte, Morano, Gerace, qualcun altro a Caltanissetta e a Palermo, altri a Napoli vedranno realizzate le sue parole profetiche di come un borgo, un paese, una città, -pensiamo noi, in realtà, a qualsiasi luogo- possa rinnovarsi e ricostruirsi grazie all’Arte. Caro Gianfranco, non riesco a cantare in questo momento… come iniziato mi verrebbe spontaneo dirTi Buon Viaggio, come uomo di fede rocciosa Ti direi Buon Approdo… Facciamo che Ti dico ADDIO Maestro».