Droga, è tempo di riparlarne
Domenica 26 giugno è la Giornata Mondiale contro il consumo ed il traffico illecito di droga” indetta, sin dal 1987, dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per ricordare l’obiettivo comune a tutti gli Stati membri di creare una comunità internazionale libera dalla droga. Ogni anno per tutti noi impegnati nella lotta alla tossicodipendenze è l’ occasione, ma non solo, per uno spazio di riflessione e per chiedere e chiederci, da subito, perché oggi sul tema delle dipendenze grava un deficit d’informazione e di prevenzione.
Questo avviene perché l’uso delle sostanze è entrato in parte nelle maglie della compatibilità del sistema e perché non c’è un vero interesse nei confronti dei consumatori e dei tossicodipendenti, che vengono considerati principalmente come un problema. Tutti coloro che, a vario titolo, vi si ritrovano con le “mani in pasta” sanno bene che il fenomeno continua ad esserci e a manifestarsi in forma sempre più grave. E come riprova, forse, dovremmo avere il coraggio di aprire di più gli occhi iniziando a guardare la nostra città, ascoltando con maggiore compartecipazione gli operatori pubblici e privati del settore dipendenze e, ancor di più, i tanti genitori e giovani che il problema lo vivono in prima persona.
Alla diffusione delle droghe “da prestazione” si affiancano forme di dipendenza più sottili ma non meno dannose. Sono le dipendenze di chi non riesce a trovare un senso alla propria vita, di chi si sente isolato, fragile nel rapporto con se stesso e con gli altri, e cerca di sfuggire come può al proprio malessere.
Ecco allora il triplicarsi in questi ultimi anni dell’uso degli psicofarmaci e degli antidepressivi, l’approccio sempre più precoce all’alcool come veicolo di stordimento,il diffondersi della bulimia e dell’anoressia,disturbi alimentari che nascondono problemi di relazione col proprio corpo e con una immagine di sé che i modelli consumistici vorrebbero ingabbiare in una esteriorità superficiale e anonima. Ecco il sempre maggiore ricorso ai giochi d’azzardo, alle scommesse,alle lotterie. Una sorta di tassa sulla povertà con una ampiezza di offerta tale da favorire gli abusi,la perdita del controllo,la dipendenza. Ecco perché la riflessione a 37 anni da quella legge sulla droga non può fare a meno di toccare molteplici e cruciali aspetti della vita sociale. Parlare di dipendenze oggi significa parlare della solitudine e della fragilità di tante persone,della debolezza dei legami sociali e del contatto umano che la crescita del mondo virtuale non può sostituire.
Significa porre l’attenzione sul deficit educativo e culturale. Ma significa anche denunciare la riduzione e in certi casi l’azzeramento delle politiche sociali e la ricaduta sulle persone in difficoltà come su chi opera nei servizi. Così come ,di pari passo,la conversione del “sociale”nel “penale”.
Significa evidenziare,ancora,
– l’immobilismo del Parlamento rispetto a proposte presenti per una riforma organica della legislazione antidroga,oramai superata dalla evoluzione delle forme di dipendenza;
– lo smantellamento del Dipartimento Politiche Antidroga;
– la mancata convocazione, or sono sette anni, della conferenza triennale nazionale sulle droghe, peraltro, obbligatoria per legge;
– l’investimento concreto della politica sanitaria regionale, in ambito dipendenze patologiche, assolutamente insufficiente;
– l’abbandono delle politiche territoriali di prevenzione ed inserimento lavorativo;
– una riduzione generale del volume massimo di prestazioni erogabili previsti negli accordi contrattuali con il privato accreditato, tale per le Comunità Terapeutiche che già da tempo lavorarono sotto soglia minima;
– una notevole difformità fra le varie regioni italiane, nel settore dei servizi privati per le dipendenze, non solo nei budget destinati alla cura e riabilitazione, ma anche nell’individuazione dei criteri di riferimento del sistema e della retta giornaliera.
Se, dunque, i fondi sociali continuano a restare quel che sono è chiaro che il tema della cura e del reinserimento,parti sostanziali della filiera del circuito della tossicodipendenza, resteranno pesantemente condizionati.
Senza dimenticare che un contributo sostanziale alla stessa prevenzione in Calabria e nella nostra provincia deriva dall’azione delle comunità terapeutiche impegnate con il loro coordinamento regionale ,Calabria C.R.E.A. La stessa Associazione “W. Latella – Comunità terapeutica Vecchio Borgo”, come le altre sei della nostra provincia, oltre a migliorare il proprio servizio residenziale di accoglienza e cura di persone dipendenti, svolgono un prezioso lavoro educativo all’interno della più vasta comunità territoriale. Ma lavorare solo sul recupero non basta.
Ci vuole la consapevolezza di un rinnovato impegno da parte delle istituzioni per una prevenzione efficace superando la disorganicità con cui il problema della tossicodipendenza viene affrontato a livello territoriale, mentre sarebbe necessaria una regia a livello di osservatorio provinciale del fenomeno, operante presso la Prefettura di Reggio Calabria.Sarebbe interessante conoscere il pensiero del signor Prefetto in merito.
In questo scenario certamente la scuola ha un suo preciso ruolo da svolgere. La prevenzione è soprattutto educazione. Ma anche nel mondo scolastico è percepibile una situazione di estrema causalità e precarietà. La scuola deve agire nella consapevolezza che la sua è una azione educante, anche se alcuni insegnanti preferiscono semplicemente istruire. Educare è un’attività difficile,,coinvolgente,che mette in gioco le persone. Gli insegnanti hanno perciò bisogno di una formazione strutturata, che deve essere di contenuti sì, ma anche didattico – pedagogica- occorre saper trasmettere- e poi relazionale:che significa una cura della persona. Non si lascia un segno se non mediante la relazione personale, così come non passa nessuna educazione se non attraverso il dialogo e la relazione. Si dice che gli insegnanti, per poter insegnare bene, debbano appassionare gli allievi e la passione si trasmette soltanto attraverso se stessi:è chiaro allora che devono essere i primi a star bene “con se stessi,con gli altri, con le istituzioni” (come recita uno slogan progettuale degli anni ’90 promosso dal Ministero della P.I.) per poter agire di conseguenza in positivo.
Ecco allora la necessità di una cura degli insegnanti come operatori che si trovano in prima linea tra le richieste degli studenti e le politiche che vengono calate dall’alto e che spesso li schiacciano. Senza dimenticare che la stessa formazione va rivolta a tutto il personale della scuola,compreso i non docenti,che hanno un ruolo estremamente strategico sul piano della prevenzione nel rapporto con i ragazzi.
Prof. Guido Leone
Resp. comunicazione C.T. Vecchio Borgo Reggio Calabria
Reggio Calabria Giugno 2016