Donne al tempo del covid-19

Una crisi economica senza precedenti, causata dalla pandemia COVID 19, sta attanagliando il nostro Paese ed ha estremamente aggravato la disuguaglianza tra uomo e donna.
Gli ultimi dati ISTAT rivelano che a dicembre sono andati persi 101 mila posti di lavoro, dei quali ben 99 mila occupati dalle donne: un dato che indica chiaramente come queste ultime risultano essere le più esposte alla recessione, in quanto vengono sempre più impegnate nei lavori precari o a cottimo, percepiscono minori salari e godono di livelli di tutela sociale più bassi; infatti sono occupate in grande percentuale nei servizi e nel lavoro domestico dove è possibile licenziare.
E’ noto che in una situazione di crisi le disparità sociali aumentino a danno proprio delle donne, in quanto si ha un indebolimento del welfare.
Servizi essenziali, come la sanità, il governo locale e l’assistenza all’infanzia, sono le aree più colpite, e poichè questo è il settore con il più alto impiego di donne, è chiaro che sono loro a soffrirne maggiormente e a diventare oggetto di una segregazione di genere, dovuta alla caduta dell’occupazione femminile qualificata a fronte dell’aumento di quella non qualificata ed all’aumento dell’occupazione femminile part-time (certamente una decisione non volontaria).
In momenti difficili come quello che stiamo vivendo, le donne si ritrovano a lottare, per un Paese casa dei diritti (diritti riconosciuti non negati), diritti inalienabili e fondamentali della persona che devono trovare nelle istituzioni democratiche gli strumenti della loro garanzia per tutte e per tutti.
Perché solo con una sana politica sociale ed infrastrutturale, è possibile ovviare a quelle che sono le difficoltà vere della donna, quelle che si incontrano nella gestione della vita quotidiana, nella quale si muovono sempre più nuclei familiari, il cui reddito è dato dall’apporto lavorativo di entrambi i coniugi e delle donne sole, sempre più numerose, diventate capofamiglia di una famiglia monogenitore.
Il punto di vista delle donne, uniche responsabili di casa, figli ed anziani, vede una nazione che offre servizi compatibili con lavoro e famiglia, che elimina le discriminazioni all’accesso, che offre pari opportunità. Vede un Paese che garantisce sicurezza alle sue cittadine, e quando parlo di sicurezza, parlo di libertà di movimento (trasporti, illuminazione, vita culturale) ma anche e soprattutto di sicurezza nella famiglia, che è, come ci viene definito dai dati, il teatro più frequente della violenza sulle donne e sui bambini. Un Paese casa dei servizi e della solidarietà, perché una nazione con un forte investimento sociale, con migliori condizioni di benessere è una nazione più ricca. Uno stato sociale maturo è ciò che può consentire alle donne italiane di lavorare fuori dalle mura domestiche, di conquistarsi autonomia, ma anche di produrre ricchezza e più in generale superare svantaggi e promuovere integrazione.
Io voglio pensare a un Paese, in cui le donne non vengono identificate come “numeri e percentuali”, ma sia capace di valorizzare il loro punto di vista con atti precisi e scelte concrete, responsabili e condivise a partire dai luoghi istituzionali di governo.

FRANCA MILAZZO – CPO Regione Calabria
– A Testa Alta per la Calabria