DOMANI SABATO 21 ALLE MUSE: QUANDO LA ‘NDRANGHETA SCOPRI’ L’AMERICA

“Le Muse –Laboratorio delle Arti e delle Lettere” va verso la conclusione della sua programmazione estiva-autunnale ed il Cortile delle Muse di Via San Giuseppe 19, domani sabato 21 settembre alle ore 18 si aprirà al racconto di un periodo storico molto particolare: 1880 – 1956 da Santo Stefano d’Aspromonte a New York, una storia d’affari, crimini e politica.
Raccontare la mutazione della ‘ndrangheta in terra americana e il processo di avvio che ha portato l’organizzazione malavitosa ad essere una delle mafie più potenti e pervasive del mondo: questo l’obiettivo di “Quando la ‘ndrangheta scopri l’America”, libro, edito da Mondadori, scritto da Antonio Nicaso, Maria Barillà e Vittorio Amaddeo e che vede la prefazione del Procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri.
Nicaso, scrittore e docente universitario che da trent’anni studia la ‘ndrangheta ribadisce come tale pubblicazione è importantissima poichè definisce quelle incognite fino ad ora poco studiate che vedevano alla fine dell’800, il sistema malavitoso tra sopraffazione e sopruso. Il libro mette in evidenza un cambiamento, una nuova pelle che condusse la mala vita ad aprire nel nuovo mondo americano delle vere e proprie agenzie a servizio.
Per l’occasione la presentazione della serata sarà a cura di Giuseppe Livoti presidente Muse che modererà l’incontro, mentre l’introduzione sarà a cura dell’avvocato Francesca d’Agostino – vice presidente Muse e della dott.ssa Mirella Marra già direttrice Archivio di Stato che a suo tempo ha promosso tale studio archivistico. Il libro, la sua stesura e composizione sarà commentato da due dei coautori Maria Barillà e Vittorio Amaddeo.
Arcaica e stracciona, dedita alla sopraffazione e al sopruso, la Picciotteria calabrese di fine Ottocento sembrava destinata a rimanere ancorata ai miti, ai riti e ai codici di comportamento nati nelle carceri borboniche sul calco di quelli delle società segrete risorgimentali. E invece, proprio allora, inizia una rivoluzione silenziosa che trasformerà il suo volto rurale in quello imprenditoriale della ‘ndrangheta odierna, spregiudicata e spietata multinazionale del crimine, capace di adeguarsi alle mutevoli sfide del mercato globale. A innescare questa metamorfosi a cavallo dei due secoli è la «scoperta» dell’America. Sbarcati nel Nuovo Mondo insieme a decine di migliaia di onesti braccianti, i «maffiosi» calabresi, a differenza dei meno accorti confratelli siciliani e campani, scelgono il basso profilo per ricostituire la loro rete malavitosa, fatta di capi, gregari e leggende (su tutte, quella del «brigante» Musolino), che lucra lauti profitti sulla pelle dei lavoratori italiani (come i minatori di Carbondale, in Pennsylvania) e di centinaia di giovani immigrate indotte a prostituirsi nei resort di Manhattan e di Chicago, prima di reggere le fila del commercio clandestino di alcolici e del narcotraffico. Nasce così la ‘ndrangheta imprenditrice d’oltreoceano, che stringe mani, stipula accordi e riesce a infiltrarsi nel sancta sanctorum delle élite sociali, a partire da Tammany Hall, potente macchina elettorale del Partito democratico nonché padrona incontrastata di New York, con la quale instaura un rapporto di mutua assistenza: voti in cambio di protezione e favori. Fino a proiettare pesantemente la sua ombra sulla scena del delitto Petrosino. Una volta tornati in Calabria, saranno gli «americani» a imporre all’organizzazione la nuova strategia criminale (controllo del territorio e collusione con politica e istituzioni), avviando quel processo che, in pochi decenni, farà della ‘ndrangheta una delle mafie più potenti e pervasive al mondo. Dunque dichiara il presidente Muse Livoti un plauso agli studiosi per il lungo lavoro di ricerca e soprattutto per avere fatto conoscere una vastissima mole di documenti, in gran parte inediti, ricostruendo per la prima volta la storia di questa mutazione criminale della ‘ndrangheta in terra americana.