“Diario precario”. Nella poesia il mosaico delle vite vissute
«Moltissimi versi scritti in gioventù sono andati persi. Ma dal 14 febbraio 2018 ho raccolto con metodo tutto quanto ho avuto bisogno di scrivere: lavoro, lutti, pandemia, svolte e rivolte, traguardi provvisori, gioie e delusioni, dolori, scommesse, sfide, utopie necessarie e sogni possibili. Guardando intorno, leggendo e ascoltando, sempre. Ricordi, amori e visioni, sempre». Nasce, così, “Diario precario”, la raccolta di liriche scritta da Giuseppe Luongo e pubblicata nella collana “I Diamanti della Poesia” dell’Aletti editore. «Precario perché non voglio smarrire il filo del pensiero – spiega l’autore, nato a Napoli che, da 34 anni, vive a Quercianella, una frazione di Livorno – e perché precaria è la vita e la condizione umana, individuale e collettiva».
La raccolta è composta da una settantina di poesie scelte tra oltre seicento, suddivise in dieci paragrafi a cui si è aggrappato il filo del tempo, e che compongono, approssimativamente, il mosaico di un racconto certamente personale ma anche collettivo. La Prefazione è a firma di Alessandro Quasimodo, autore, poeta e critico letterario, figlio del celebre Premio Nobel per la Letteratura, Salvatore Quasimodo, il quale sottolinea gli aspetti principali dell’opera. «I testi di Luongo, pur soffermandosi su tematiche di carattere esistenziale, trattano anche aspetti di carattere sociale. L’autore non dimentica, dopo tanti anni, le stragi di Bologna e del Moby Prince: Rivendico giustizia e verità / e non si dica mai ch’è troppo tardi!».
Diverse poesie sono dedicate, infatti, a importanti temi di attualità, ma particolare importanza rivestono anche la natura e i luoghi, perché sono quelli che abitano gli umani, le relazioni, i sentimenti, le emozioni. «In parte ci toccano in sorte – afferma l’autore, classe 1955, conosciuto come pescatore e innamorato del mare -. Nessuno può decidere dove nascere, qualcuno può tentare di decidere dove vivere, almeno per una parte più o meno importante della propria vita. E può incontrare e riecheggiare drammi e tragedie collettive che diventano anche sue. Un poeta trova sé stesso in un luogo o in un altro per quella mistura di eventi che in parte sono casuali e in parte sono scelti profondamente, con percentuali variabili e non programmabili. La poesia tende a rimettere le cose in ordine, con le metriche e le similitudini, per esaltare comunque l’occasione di vivere appieno anche il dolore: quando è troppo forte la poesia si fa automedicazione».
Secondo Giuseppe Luongo, la poesia è libertà. Ed è contenuti e musica insieme. Alla metrica classica, ora sente il “ritmo” e la “passione”, slanci di gioia e abissi di dolore: l’accettazione stessa dell’umana precarietà è una sfida attuale e costante per tutti. «Meglio tradurre in versi quindici volte lo stesso pensiero, cercando il suo ritmo e la sua musica, e poi cestinarlo definitivamente se mancano o non ci commuovono, piuttosto che accomodarsi in una precisa composizione di endecasillabi a rime baciate che nulla di nuovo hanno da aggiungere per sé stessi e per gli altri». E, a proposito di precarietà, Luongo sostiene che «la stabilità per gli esseri viventi non esiste, se si va oltre il tempo convenzionale di un attimo». «Penso sia più opportuno chiedersi se sia possibile raggiungere, perseguire e difendere, un equilibrio, che peraltro, per sua stessa natura, è mutevole. Il massimo livello auspicabile è l’armonia. A questo punto si manifesta potentemente il bisogno di poesia: un altro linguaggio, un altro sentire, “un altro mondo”, fatto esattamente della stessa materia del mondo che tutti viviamo, ma che intravede, mostra e offre, un’altra visione, altrettanto reale e tangibile, per poterlo vivere meglio, nella ricerca della bellezza».
La poesia traduce, infatti, i pensieri quasi come fosse un’altra lingua e conserva il pregio di non necessitare di mediazioni, di non mentire. E, come non può esistere una sola realtà, allo stesso modo ognuno ha una vita che è tante vite: sociale, affettiva, privata, esposta, sofferta o gioiosa. A ciascuno spetta, prima o poi, anche il compito di mettere insieme il mosaico delle vite vissute in un unico quadro, proprio come ha fatto l’autore in quest’opera. Ma l’umanità, invece, è una sola grande famiglia, e ogni essere umano è unico e irripetibile. «Mi piacerebbe vedere anche solo l’inizio di un nuovo Umanesimo. Per coltivare meglio la speranza e la bellezza che ci tengono in vita».
Federica Grisolia
(Vincenzo La Camera – Agenzia di Comunicazione)