Covid e ristori. Solidarieta’ sociale e nuovi modelli culturali finalizzati al bene comune
E’ un dato della realtà che i cittadini e le imprese italiane onesti si trovino in difficoltà, talvolta insuperabili, quando debbano accedere a qualunque beneficio che lo Stato gli destina. Grave che ciò accada in un momento di grande sofferenza collettiva quale quello che stiamo vivendo. Ancor più grave è che ciò possa dipendere dal fatto che a utilizzare lo stesso beneficio siano altri che non ne avrebbero alcun diritto..
Perché accade tutto questo?
Tra le tante ragioni assume particolare rilevanza la mancanza prevalente di fedeltà fiscale che si sostanzia, nel costante tentativo, da parte di tanti, di elusione e di aggiramento delle regole e delle leggi. Questa condizione è favorita da una perdurante elevata pressione fiscale ma anche da comportamenti, talvolta conniventi, di alcuni soggetti che disonorano l’appartenenza alle loro categorie professionali, i quali forniscono il loro contributo attivo per favorire l’elusione ed evasione di imposte e tasse, o per consentire il godimento non dovuto di benefici diretti e/o indiretti (ristori). Non è il fenomeno che sorprende perché non esiste l’umana perfezione, ma è la dimensione del fenomeno che è insopportabile e richiede un ripensamento collettivo.
Una nazione democraticamente matura e consapevole del reciproco vantaggio che deriva da comportamenti di civile solidarietà non consentirebbe l’insorgenza rilevante del fenomeno dei percettori di redditi di cittadinanza e buoni alimentari inappropriati e non dovuti, né di percettori di sisma-bonus o altre premialità per il conseguimento di presunte maggiori virtù energetiche delle proprie abitazioni, né, in particolare, di ingiustificate integrazioni al reddito collegate alla ridotta attività a causa della pandemia.
Dovrebbe appartenere alla cultura di una società civilmente avanzata la consapevolezza che l’assegnazione di un beneficio a chi non lo merita significa la perdita dello stesso diritto per chi ne avrebbe titolo e bisogno. Soprattutto in questa fase di pandemia, in cui sono state giustamente stanziate ingenti somme per ristorare soggetti e imprese in difficoltà e per garantire livelli occupazionali sostenibili, è apparso insopportabile dover leggere di benefici percepiti impropriamente per deficit di valori etici e di requisiti idonei.
In presenza di questo grave limite comportamentale è anche emersa l’inadeguata organizzazione dello Stato e l’arretratezza conclamata degli apparati burocratici mettendo in luce quello che è il secondo corno della questione. Si è visto bene, infatti, cosa è accaduto allorquando bisognava distribuire agli aventi diritto il sostegno della cassa integrazione guadagni o i contributi finanziari o alimentari ai senza reddito o a reddito ridotto oltremisura. Senza l’aiuto delle reti di solidarietà diffuse in tutto il paese avremmo dovuto sostenere, probabilmente, il peso di ribellioni sociali spontanee o facilmente strumentalizzabili.
Si è visto altrettanto bene come la mancanza di una visione nazionale della politica sanitaria abbia determinato reazioni di contrasto di differente efficacia all’aggressione pandemica. In questo contesto sconfortante si appalesa ancor di più la pesante responsabilità dei politici di ogni appartenenza per non aver saputo governare un fenomeno che ha assunto nel corso degli anni le caratteristiche di un cancro che lacera la civile convivenza.
Come uscirne?
Nell’immediato solo attraverso il risveglio di sentimenti di solidarietà e il richiamo alla responsabilità collettiva, ma anche, quando occorra, attraverso l’adozione di misure eccezionali ancorché coercitive e repressive per i comportamenti anomali. Ma occorre, altresì, una assunzione di responsabilità coraggiosa da parte del Governo. La garanzia di un reddito di emergenza a tutti i cittadini con livelli si reddito sotto la soglia dei trentacinquemila euro e a coloro che non sono percettori di alcun reddito erogato da Agenzia delle Entrate e Inps fino allo stabilizzarsi della situazione con controlli a posteriori e sanzioni per gli approfittatori. Previsione di una contribuzione di solidarietà, progressiva, una tantum e solo per l’emergenza, per i patrimoni superiori a un milione di euro. Congelamento della tassazione fino al periodo della ripresa effettiva delle attività.
Nel medio lungo periodo diventa invece inevitabile un intervento di rivalutazione del ruolo sempre più marginale cui è stato relegato negli ultimi decenni il mondo dell’istruzione a tutti i livelli; dalla scuola primaria fino al mondo accademico e della ricerca, senza trascurare l’importanza della formazione e aggiornamento continuo nel mondo delle professioni e del lavoro dipendente. In Italia siamo passati, infatti, da una tradizione di studi umanistici, artistici, giuridici e scientifici, nell’accezione più ampia, che veniva valutata come avanguardia nel panorama mondiale, a una condizione di minorità che, salvo eccezioni, è divenuta perfino arretratezza. Si sono accumulati ritardi pesanti in settori cruciali quali quelli collegati al mondo delle TIC (Tecnologie dell’informazione e Comunicazione), soprattutto nel campo dei servizi in rete e della produzione di avanzati modelli gestionali, e perfino nell’utilizzazione di questi stessi modelli, generando gravi limiti di alfabetizzazione settoriale, soprattutto se raffrontati a ciò che accade in altre nazioni avanzate. Questo non vuol dire inseguire modelli culturali di stampo anglo-sassone, centrati prevalentemente sulla rincorsa alle nuove tecnologie e ai punteggi (voti, crediti, …), mortificando il ruolo della cultura umanistica; ma innovare programmi e metodi di studio in una prospettiva di crescita culturale ampia. In questo ambito un ruolo primario si gioca sulla formazione dei nuovi insegnanti che non possono essere semplici stipendiati impegnati a svolgere programmi rigidi e faticosi protocolli burocratici, ma devono possedere doti fondamentali come capacità di comunicare, di coinvolgere gli allievi, di guidare il processo di crescita puntando più sul metodo e la qualità che sul nozionismo.
A me pare che non sia più rinviabile un cambio di mentalità di tipo culturale – come si usa dire – a partire dal mutamento del paradigma che presiede alla selezione delle rappresentanze politiche a tutti i livelli.
Onestà certo, senso etico certo, ma anche competenza e adeguatezza del ruolo che si è chiamati a svolgere. Sia nelle assemblee elettive dove si formano le leggi che regolano le nostre esistenze, sia in quelle dove bisogna dar senso compiuto alle leggi che lo Stato si dà con provvedimenti amministrativi e gestionali. Solo così potrà essere ricostruita una classe dirigente all’altezza dei tempi che viviamo. Quella attuale, salvo eccezioni, è solo una classe dominante, accettata da alcuni per puro egoismo e tornaconto personale e da altri che, per inconsapevole ignoranza, si lasciano dominare. Senza questo mutamento culturale saremo condannati ad un rapido e irreversibile declino.
Francesco Costantino (Movimento 10 Idee per la Calabria)