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Camigliatello Silano, presentazione del romanzo “Dell’amore e altri disturbi” di Barbara Rossi Prudente

Metti una sera prima di cena, a Camigliatello Silano, in un giardino che sembra un salotto. Un libro per raccontare gli inciampi dell’amore. Della buona musica d’autore per accompagnare la narrazione dell’universo in note di Pino Daniele. Intrattenimento estivo di qualità. Pubblico numerosissimo, attento, partecipe.

È successo ieri, nel cuore dell’Altopiano Silano. Per volontà della Fondazione Premio Sila. Il connubio affascinante tra libri e musica ha aperto con la presentazione del romanzo “Dell’amore e altri disturbi” di Barbara Rossi Prudente. L’autrice – che è anche sceneggiatrice e regista di cinema e tv – ha dialogato con Mariacarmela Leto, editor di Castelvecchi, la casa editrice del volume, sui 13 racconti presenti nel libro che affrontano l’amore attraverso i personaggi di un grande nucleo familiare. “Quando c’è una famiglia – ha detto Mariacarmela Leto – c’è sempre un bacino d’amore che poi si declina e tracima il più delle volte in rapporti distonici, in disturbi catartici. In ogni racconto, si può dire ciò che fino a quel momento era rimasto sottaciuto o addirittura segreto. E soprattutto si possono scoprire, al di là dei ruoli che ogni famiglia impone, le motilità dell’essere umano, del proprio sentire. Quanto sia difficile vedere l’altro, accettarlo, accoglierlo e integrarlo con sé stessi!”.

 

Le pagine del romanzo hanno poi lasciato la scena al salotto culturale musicale di Sasà Calabrese, a cura del Peperoncino Jazz Festival e in collaborazione con la Fondazione. Sasà, chitarra in mano, ha raccontato Pino Daniele. Le tante e significative tappe artistiche del cantautore partenopeo sono state scandite dai suoi più grandi successi, dalle intense sonorità della sua musica che ha unito i ritmi del blues a quelli del folk napoletano, accarezzando il rock, sdoganando il dialetto napoletano e riuscendo in una sorta di magia unica nel suo genere: fondere il dialetto con la musica in modo da rendere quel linguaggio comprensibile anche ai non napoletani.

 

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La bellezza del racconto

Abbiamo incontrato Sasà Calabrese che ci ha parlato di come sia nato il suo salotto culturale e di quanto possa essere ancora forte l’attrattiva della narrazione

 

Come nasce l’idea del salotto culturale musicale e come nascono i tratteggi con cui racconti un personaggio, un artista?

È nata come necessità salvifica in quel periodo sospeso che abbiamo passato e spero sia dimenticato. Da lì c’era proprio l’esigenza di interagire con quelli che fino a poco tempo prima erano i nostri compagni di viaggio, gli amici di sempre con i quali dividevamo discorsi sui cantautori. Allora ho pensato di organizzare dei salotti culturali da remoto cioè di cercare di entrare nelle case degli amici, di chi mi seguiva. Parlando di canzoni, di musica e facendolo non soltanto per addetti ai lavori. Ho creato un ambiente conviviale in cui si poteva stare descrivendo un cantautore non soltanto nella sua parte musicale ma anche nella sua parte da uomo. La cosa più importante.

 

Si va sempre di fretta. Ogni giorno aumentiamo a dismisura i nostri bioritmi, ma spettacoli come il tuo riconciliano con il gusto delle pause e delle riflessioni, un po’ come le favole che raccontavano le nonne ai nipotini…

Sì, credo che il problema sia lo smartphone. Siamo sempre connessi, sguardo fisso sullo smartphone e quando troviamo qualcuno che racconta qualcosa ci incanta. Probabilmente abbiamo il ricordo delle favole, delle nonne, quindi quando c’è qualcuno che racconta, inevitabilmente ci fermiamo ad ascoltare.

 

Perché hai pensato a Pino Daniele? Per la sua storia, per la sua musica, per il suo essere uomo del Sud…

Forse tutt’e tre le cose, ma quella più importante di Pino Daniele è che aveva questa sua particolare mediterraneità. Quindi, sì, sicuramente un cantautore napoletano ma anche del Sud. Proprio come se fosse un braccio teso nel Mediterraneo. Lo vedo così.

 

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Amori a confronto

Nei tredici racconti di “Dell’amore e altri disturbi”, Barbara Rossi Prudente affronta anche le difficoltà comunicative delle ultime generazioni

 

Un romanzo che parla dell’amore, della famiglia, di equilibri precari e catartici…

Sono 13 racconti nati in ordine sparso, singolarmente. Poi, quando li ho riletti tutti ho pensato che potevano essere un unico romanzo che raccontasse diversi punti di vista dei personaggi di un’unica grande famiglia.

 

Attraverso le tante vicissitudini avvinghiate alle vite dei protagonisti, viene fuori un sentimento amoroso cangiante ma sempre positivo…

Sì, in realtà l’idea è quella di stare insieme per sostenersi, nel sostenersi. Molto spesso ci si fa male perché è chiaro che l’abbinamento delle persone, della fratellanza, della genitorialità dell’amore di coppia è qualcosa che molto spesso va al di là della possibilità di scegliere. Anche di scegliere un cambiamento nella persona che si ama. Del positivo viene fuori quasi sempre, c’è qualche racconto – in particolare quello che riguarda la generazione più giovane – in cui si fa un po’ più fatica a capire come stare insieme e soprattutto come dirsi che si desidera stare insieme.

 

L’amore che finisce. Le scelte difficili. Il senso dell’abbandono. Il tempo che passa e trasforma il sentimento amoroso in affetto: più facile per Giorgio, forse, più difficile per Gilda, forse…

Forse più difficile per Gilda, allora. E chiaramente il sentire il sentimento è qualcosa che cambia nel tempo come cambiamo noi anche in base alla meteorologia. Chiaramente, perché ci sia una durata delle cose, un’evoluzione, una possibilità di costruire delle cose. È richiesto che in qualche modo si dia qualcosa, si regali qualcosa non si può mai chiedere senza restituire in qualche modo.

Più facile per qualcuno. Meno facile per qualcun altro. È un po’ il destino di quando ci si allontana, di quando ci si separa. C’è sempre qualcuno più ferito dell’altro. Il senso che poi ne scaturisce è che sostenersi e stare insieme può essere una soluzione.