Processo Cumbertazione: Per la Cassazione l’accusa nei confronti del geom. Rocco Leva “non consente di ritenere alcuna possibilità di giungere alla affermazione di responsabilità essendo questa esclusa dalla stessa prospettazione dell’accusa”
La VI sezione della Corte di Cassazione, presieduta dal giudice Giovanni Conti e relatore il consigliere Pierluigi Di Stefano, ha depositato la motivazione della sentenza con cui è ststa annullata senza rinvio l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari di Reggio Calabria nei confronti del geometra taurianovese Rocco Leva, assistito dall’avvocato Antonino Napoli, accusato del reato di associazione a delinquere e di diverse turbative d’asta.
La Cassazione ha escluso, accogliendo il ricorso dell’avvocato Napoli, i gravi indizi di colpevolezza, ed ha precisato che “L’ordinanza impugnata non offre alcuna seria motivazione sulla responsabilità del ricorrente e, anzi, con la ampia esposizione dei fatti ritenuti a carico e le illogiche valutazioni per poterne trarre argomenti di conferma della tesi di accusa finisce per dimostrare esattamente il contrario, ovvero la totale assenza di concorso del ricorrente rispetto alle condotte delittuose di terzi. Secondo l’imputazione, il ricorrente era partecipe alle attività di progettazione di opere che il committente si sarebbe aggiudicato mediante attività di turbativa delle gare. Va innanzitutto considerato il dubbio già espresso in altro provvedimento sulla possibile responsabilità dei progettisti (la cui attività non appare, nei casi di specie, strumentale per minare la regolarità delle gare, non dipendendo dai progetti i vari meccanismi di frode) e, poi, considerato che il Leva non era affatto un progettista in quanto, come ripetuto dalla difesa in sede di riesame e riportato dalla ordinanza impugnata, dalle «intercettazioni telefoniche emerge solamente l’esistenza di un rapporto di lavoro nell’ambito del quale il geometra Leva, dipendente dello studio di progettazione Pro-gíneer, si occupava unicamente, delegato dal datore di lavoro, di redigere i computi metrici …». L’ordinanza impugnata, pur confermando tale limitato ruolo lavorativo (afferma difatti che «è vero quanto sostiene la difesa»), ritiene che siano «condivisibili le valutazioni espresse dal gip … posto che le emergenze indiziarie danno atto dell’illiceità delle condotte poste in essere dal Leva» e, in applicazione di una sorta di presunzione di colpevolezza, ritiene che gli elementi acquisiti «non consentono ragionevolmente di ritenere l’odierno ricorrente estraneo al complesso sistema illecito delineato dall’accusa». Gli elementi in questione, però, non indicano affatto la partecipazione di Leva alle specifiche condotte criminose ed appaiono, invece, palesemente delle pezze d’appoggio di una tesi preconcetta: – si valorizza la “strana” coincidenza dei contatti tra il ricorrente ed il committente Bagalà in occasione delle scadenze delle gare di appalto laddove sarebbe stato strano rilevare contatti in momenti diversi da quelli in cui serviva l’attività della società di progettazione; – si afferma che è significativo il fatto che i progetti fossero presentati da società diverse da quelle del committente. Quest’ultimo aspetto, però, né riguarda la condotta del ricorrente, che era un lavoratore dipendente degli incaricati della progettazione, né, comunque, è un dato di per sé anomalo: non si comprende perché i progetti per i quali era committente un dato soggetto non potessero, poi, essere utilizzati da altri e, poi, quale sarebbe l’apporto causale di una tale confusione. Soprattutto, si ripete, non è certo una questione che tocca il progettista e, ancor di meno, il suo dipendente rispetto al meccanismo fraudolento; – del tutto inconsistente è anche il dato della gestione del personale in modo “promiscuo” tra le società di progettazione dei Fedele e di Polifroni. A parte che ciò è una questione che riguarda la anomala gestione da parte dei datori di lavoro e non del lavoratore, non ha collegamento con la commissione dei singoli fatti”.
La Cassazione ha, altresì evidenziato che: “Alla assenza di elementi per affermare la stessa consapevolezza da parte del ricorrente dello sfruttamento della sua prestazione lavorativa per la alterazione delle gare, si aggiunge anche il profilo giuridico che, pur se fosse fondata la tesi di accusa sotto l’aspetto della consapevole partecipazione ai fatti come indicato nei capi di imputazione, non sarebbe integrata una condotta di concorso rilevante ex art. 110 cod. pen. . È certamente necessario – continua la Cassazione – applicare tale ultima disposizione nella sua funzione estensiva della punibilità in quanto è pacificamente escluso, per come formulate le stesse imputazioni, che al ricorrente sia contestato il compimento della azione tipica della turbativa d’asta.
La Suprema Corte ha, pertanto, concluso disponendo l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza di custodia cautelare sul presupposto che: “Una volta esclusa che la condotta materiale integri un concorso materiale nel reato, diviene del tutto irrilevante il fatto che il ricorrente sapesse o non sapesse dell’attività illecita in corso, potendo, nel primo caso, tutt’al più parlarsi di una condotta di “connivenza” del tutto irrilevante ai fini della responsabilità penale. La completa esposizione degli elementi a carico nel provvedimento impugnato ed in quello del gip, che riprendevano gli atti degli inquirenti, non consente di ritenere alcuna possibilità di giungere alla affermazione di responsabilità essendo questa esclusa dalla stessa prospettazione dell’accusa. Né, ovviamente, una volta smentita la tesi di accusa nel senso che quanto contestato non può integrare concorso nel reato, il rinvio può disporsi per una eventuale nuova e diversa formulazione dell’accusa. L’annullamento va, per queste ragioni, disposto senza rinvio”.
L’Avvocato Antonino Napoli, in seguito alla lettura delle motivazioni della sentenza della Cassazione, ha espresso vivo compiacimento “per l’integrale accoglimento della propria tesi difensiva che ha dimostrato, con l’annullamento senza rinvio, l’estraneità del geometra Rocco Leva alle condotte illecite che la Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria gli ha contestato.