Il Vangelo della Domenica, XXXI del Tempo Ordinario a cura di Don Silvio Mesiti

TRENTUNESIMA DOMENICA
Matteo 23, 1-12
“DICONO E NON FANNO”

Siamo ormai dopo l’anno 70, nel periodo in cui l’evangelista Matteo scrive alla sua Comunità, nel cui ambito si è venuto a creare una forte tensione fra la chiesa di Gesù e la sinagoga, ma soprattutto, al suo interno, per la presenza di coloro che, venendo dal mondo giudaico, sono rimasti ancorati alla vecchia legge, rifiutando e mettendo in secondo piano, il vangelo di Gesù.
L’evangelista, non parla agli scribi e farisei, come nei capitoli precedenti, ma ai suoi discepoli, già inseriti nella sua comunità, ed alle folle di fedeli che lo ascoltano, desiderosi di entrarvi.
Il messaggio, quindi, è rivolto alla chiesa di oggi, nel cui ambito è imminente e reale il pericolo del fariseismo ipocrita, e di una osservanza solo formale di precetti, lontani ed incapaci di rispondere alle esigenze ed agli interrogativi fondamentali dell’uomo.
Le critiche di Gesù, riportate da Matteo, quindi, sono rivolte ai cristiani della sua chiesa, mettendoli in guardia da comportamenti inaccettabili, quali quello di collocarsi sulla cattedra di Mosè, con arroganza, sostituendo, con i loro precetti e le loro norme, il comandamento fondamentale proclamato solennemente da Gesù: “amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, ed il tuo prossimo come te stesso”.
Vengono evidenziati, poi, una serie di difetti o di peccati, che non hanno bisogno di esegesi particolare, in quanto molto chiari, e soprattutto riscontrabili anche nella nostra esperienza quotidiana, personale e comunitaria.
“Dicono e non fanno”; è un’accusa che viene rivolta oggi al nostro modo di incarnare e testimoniare le norme e spesso anche I sacramenti.
Si pensi ai peccati di omissione, molto diffusi nella nostra società e nelle nostre chiese, come nel mondo del lavoro, negando la mercede agli operai, della lotta alla violenza mafiosa, della gelosia, invidia, calunnia, ed arrivismo o carrierismo.
“Fanno le opere per essere ammirati dagli uomini e sentirsi chiamare rabbi”, strumentalizzando anche la loro funzione spirituale, “allargano i loro filatteri ed allungano le frange, segni del loro potere spirituale.
Di fronte ad una realtà riscontrabile attraverso un onesto esame di coscienza, anche oggi il vangelo ci chiama ad una seria conversione e ad una mediazione culturale, morale e sociale, dando lo spazio dovuto, al messaggio evangelico, ed imitando Cristo, il quale non è venuto per essere servito ma per servire dare la vita.
Don Silvio Mesiti