Il Vangelo della Domenica, XXVII tempo ordinario a cura di Don Silvio Mesiti

Se guardo il volto di Gesù, vedo tutto quello che dovrebbe essere la CHIESA,
ma se guardo la chiesa, non sempre ci vedo impresso il volto ed il modo di operare di
Cristo, come nella prima lettura, afferma il profeta Isaia (5,1-17) riferendosi alla vigna,
oggetto dell’amore di Dio: ” Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle.
Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate……. Egli
aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi… Che cosa dovevo
fare ancora alla mia vigna, che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che
producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi?”
La parabola che la liturgia ci propone in questa domenica, fa eco a quanto Isaia
ha rivolto agli scribi ed ai farisei, e che l’evangelista Matteo rivolge oggi a tutti i
battezzati, ma in maniera particolare, a coloro che sono chiamati a “pascere il gregge”
che appartiene a Cristo BUON PASTORE.
Il padrone della vigna è sempre Dio, il padre misericordioso, che intesse un
rapporto di amore autentico, quasi carnale, come quello coniugale, tra lui e il popolo
d’Israele. nel vecchio testamento, ma che chiaramente oggi è la chiesa, di cui noi siamo
parte integrante ma anche soggetti responsabili.
Anche in questa parabola il vangelo evidenzia la grande responsabilità di coloro
che vengono chiamati a collaborare col padrone per fare in modo che la vigna produca
i frutti buoni, per la realizzazione di un mondo nuovo fondato sulla carità e la pace
personale e comunitaria.
In questo itinerario, la presenza di Dio, nel vecchio testamento, si è manifestata
attraverso i profeti, mentre nella storia recente della chiesa, è stata assicurata attraverso
i nuovi profeti, i santi, che periodicamente hanno illuminato e continuano ad illuminare
il cammino con la loro testimonianza di carità e di servizio al vangelo.
Gli uni e gli altri, purtroppo, non sono stati ascoltati, ma addirittura sono stati
perseguitati, come tragicamente è avvenuto per lo stesso figlio, Gesù Cristo,
condannato a morte dal sinedrio e dai sommi sacerdoti, ed anche oggi emarginato
dalla stessa pseudo chiesa, imborghesita e gestita spesso in termini amministrativi, di
potere, di arrivismo ed economici, o di titoli onorifici, (eminenza, eccellenza, prelati,
monsignori et cetera) che certamente non trovano riscontro nelle prime comunità, fino
al momento tragico del 313, quando con l’editto di Costantino la chiesa e ‘stata
riconosciuta e proclamata come religione di stato, le cui radici esistono ancora come
centri di potere, lontana dalle aspettativa di ogni uomo.
L’invito che la parola di Dio oggi ci rivolge è di un’autentica CONVERSIONE
PERSONALE MA ANCHE ISTITUZIONALE. LA CHIESA MON PUO’ ESSERE
CONSIDERATA UN’AZIENDA POLITICA, SOCIALE ED ECOMOMICA
BUONA DOMENICA
Don Silvio Mesiti