Un anno senza Luigi Mamone
Caro Luigi, è passato un anno, da quando sei volato in cielo, un lungo anno in cui non c’è stato un solo giorno che non ti abbia pensato, che tu non mi sia mancato.
Tante volte ho preso il cellullare per chiamarti, come facevo spesso, per poi rendermi conto che non mi avresti potuto rispondere.
E’ stato un anno in cui ho cercato di “camminare” senza la certezza della tua fraterna presenza.
Dicevi: ”Non preoccuparti, ci sono io”.
E’ difficile, è doloroso ricordare quel giorno.
Come sempre sono andata ad Amato, ma non ero tranquilla, perché da qualche settimana la tristezza tediava la mia anima; avevo come una sorta di presentimento e pensavo: “Succederà qualcosa”, ma mai pensando si potesse trattare di te.
Quel mattino stormi di uccelli volavano nel cielo ed io inseguivo il loro volo. Ero triste ma non potevo immaginare che ci stavi lasciando.
Ritorno a casa, preparo il pranzo, suona il telefono e corro a rispondere e mi sento morire: grido disperata, chiamo un nostro amico comune e nostro nostra cugina Sara.
Arrivo a Taurianova, ma tu non ci sei più. E’ troppo tardi.
Anita, la tua sposa e i tuoi figli sono disperati, Nuccio Cordopatri è attonito, basito, non parla.
Mi sento morire.
Tutti mi dicevano di non entrare, sarebbe stato meglio per me non vederti.
Ma io volevo vederti, dovevo vederti.
Mai dimenticherò, l’immagine di te sul divano mi accompagnerà per tutta la vita.
Gino Cordova piangeva come un bambino.
Ho guardato le tue mani giunte che tanto avevano scritto, avevano accarezzato i fogli: milioni di fogli, perché in te albergavano le Muse.
Ti guardavo e, nel silenzio del dolore, ti chiedevo: “Luigi cosa farò senza di te, senza i tuoi consigli, senza il tuo sorriso, i tuoi abbracci”.
Eri la mia roccia!
In quel momento mi sentivo come se qualcuno mi avesse spogliata e gettata in un lago ghiacciato.
Ricordo che sulla scrivania del tuo studio c’erano dei foglietti con piccoli disegni che tu facevi mentre parlavi; ricordo che lo facevi sempre.
Stavo per prenderne uno, ma mi sono ricordata le parole che mia mamma mi diceva quando ero bambina e andavamo a trovare amici o parenti:” Non toccare niente, non è casa tua”.
Cosi non ho toccato nulla.
Il giorno dell’amaro rito del funerale ti ho guardato ancora e ho creduto di vedere nel tuo sonno eterno una bozza di sorriso.
Fuori dalla chiesa ho gridato tutto il mio dolore.
Ho pianto e dopo per giorni e giorni ho “cullato” il tuo libro “Ultimi Canti Da Shangri-la”, le tue meravigliose liriche di Argiroffiana memoria.
Luigi, io avevo sempre creduto che la tua tristezza fosse quella tristezza degli artisti, quella tristezza che quotidianamente accompagna il nostro peregrinare in questo mondo malato.
Mai e poi mai avrei potuto pensare fosse altro.
Hai lasciato un vuoto immenso, incolmabile nel panorama culturale calabrese.
Sei stato e sempre sarai un grande uomo di cultura, il giornalista più bravo della Calabria, un poeta ,uno scrittore, uno sportivo, un vignettista, un pittore, un bravo avvocato e un politico.
Ricordo il tuo orgoglio e la tua felicità, quando in qualche evento pubblico indossavi la fascia tricolore.
Eccelso in tutto.
E’ passato un anno e mi piace pensare che sei in un mondo migliore, insieme agli angeli e ai tuoi amati genitori.
Ti immagino che cammini sereno nell’azzurro del cielo su un prato verde con bellissime rose.
E’ passato un anno e vorrei parlarti ancora, ma le lacrime mi impediscono di continuare.
Luigi, vorrei solo dirti che ti ho voluto tanto bene, come ad un fratello maggiore, che sono orgogliosa di te, che ti vorrò sempre bene per il resto della mia vita.
Caterina Sorbara