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Rosarno: le case costruite per i migranti fanno gola a tutti. Continuano le speculazioni sulla pelle dei poveri

Stamattina la tendopoli di San Ferdinando si è svegliata con un massiccio dispiegamento di forze dell’ordine, intente a raccogliere i nomi di chi vive nelle baracche e che ‘vorrebbe spostarsi’. Niente di nuovo insomma: secondo i vassalli del potere, dopo un gran parlare di case e di superamento dei ghetti, gli abitanti della tendopoli dovrebbero trasferirsi nel famoso campo container progettato per sorgere vicino all’ inceneritore di Gioia Tauro, dopo un gran parlare di case e di superamento dei ghetti.

Già, le case. Qualcuno ricorderà il recente voltagabbana di associazioni e sindacati, prima paladini di soluzioni emergenziali e ghettizzanti, per umani di serie B, ed ora strenui sostenitori della necessità di abitazioni in muratura. Tanto che, alla presenza di VIP del calibro di Mimmo Lucano ed Alex Zanotelli (già in safari nella tendopoli una decina di giorni fa), con l’immancabile protagonismo di USB e CGIL, nemici-amici per la pelle, e l’ausilio di associazioni come SOS Rosarno, venerdì 1 febbraio al comune di San Ferdinando verrà fondato un sedicente ‘comitato per il recupero delle case vuote’. Anche qui nulla di nuovo sembrerebbe, ancora parole al vento, perdite di tempo, passerelle politiche. Eppure, in questo caso pesa molto ciò che questi signori scelgono di non dire, visto il dibattito scatenatosi a livello nazionale proprio sul tema abitativo per gli immigrati della Piana di Gioia Tauro.

Nelle ultime settimane, infatti, si è fatto un gran parlare, soprattutto in trasmissioni televisive e su testate giornalistiche, delle sei palazzine costruite con fondi europei, sull’onda dell’indignazione che seguì la rivolta dei braccianti neri a Rosarno, per dare alloggio agli immigrati presenti sul territorio. Le palazzine, che potrebbero ospitare un totale di 250 persone, dovrebbero essere pronte a breve – mancano solo gli allacci di corrente ed acqua, secondo i bene informati. Ma attenzione, perché l’amministrazione comunale già cerca di mettere le mani avanti, sventolando il vessillo dell’integrazione per dire che ‘non si possono creare nuovi ghetti’, e che quindi le palazzine devono andare anche (e soprattutto) ai rosarnesi bisognosi. Ne è seguita una diatriba a colpi di cavillo, tra chi sostiene che è impossibile cambiare la destinazione d’uso di un immobile costruito con fondi del genere (circa 3.5 milioni di euro), e chi, Regione Calabria in testa, si dimostra possibilista. D’altronde, i migranti non votano. Paradossalmente, è stata proprio la regione, nella fattispecie la giunta regionale precedente, ad elaborare il progetto per come è stato attuato. Ci sono, ovviamente, dei precedenti a questa situazione, in primis quel Villaggio della Solidarietà costruito anche questo per i braccianti ed occupato nel 2015 da residenti locali, con alle spalle illustri padrini, al grido di ‘prima i rosarnesi’. Dal nascente comitato, come c’era da aspettarsi, nemmeno una parola su tutto questo; solo proposte irrealizzabili e comunque proiettate in un remoto futuro. Troppo pericoloso esporsi davvero?

Ed ora, mentre già gli avvoltoi si preparano a banchettare su ciò che non dovrebbe spettar loro, si torna a parlare di container e capannoni per i migranti. Carta vince, carta perde. Ma evidentemente nessuno ha pensato di consultare i diretti interessati, quelli che una casa non ce l’hanno e sulla cui pelle passano milioni di euro di cui non vedono nemmeno le briciole. Quelli che tengono in vita l’economia agro-industriale. Quelli che hanno attraversato deserti, mari, carceri e torture per poi ritrovarsi in altre carceri, imprigionati dalla burocrazia e dal paternalismo umanitario, sfidando la morte ogni giorno. Eh già, perché non solo in un ghetto si può morire arsi vivi. A Rosarno come in tutta Italia chi ha la pelle nera è un bersaglio mobile: dopo la morte di Soumaila Sacko, diversi altri abitanti delle tendopoli parlano di aggressioni deliberate a colpi di bastone, nell’indifferenza e nel silenzio generali.

Basta essere complici, noi sappiamo da che parte stare.