Sulle orme di Petrarca il “De Vita solitaria” canta l’amore e la donna
E’ dedicato alla donna, «creatura meravigliosa che Dio ci offre per poterla cantare in mille modi», l’opera di Gianfranco Trabuio dal titolo “De vita solitaria”, pubblicata nella collana “I Diamanti” dell’Aletti editore. Una raccolta di versi in cui si susseguono emozioni e sentimenti, scaturiti dalle vicissitudini della vita e anche dalle sofferenze esistenziali. Il titolo si ispira all’omonimo trattato in prosa latina, scritto dal celebre poeta e scrittore Francesco Petrarca.
Gianfranco Trabuio, nato a Venezia ma che vive nel comune limitrofo di Martellago, giornalista ed ex docente di Statistica all’Università di Padova e Venezia, è vedovo da sei anni. Alla sua Mara, all’amore, alla donna, alla natura, alla montagna del suo Veneto, alla laguna di Venezia, alla bellezza di sentirsi immersi nella creazione, alla divinità, l’autore dedica le sue liriche, scritte senza interpunzioni per lasciare al lettore la libertà di interpretazione nella loro musicalità. «Non scrivo versi in rima – spiega il poeta – ma con molte assonanze, e non sono quasi mai della stessa lunghezza in modo che la lettura (o recitazione) di chi legge deve tener conto, in modo particolare, delle pause che provocano l’emozione della sorpresa».
Alla sua condizione di “orfanitudine”, ossia di solitudine affettiva – così come la definisce Trabuio – l’autore dedica una poesia dallo stesso titolo dell’opera “De vita solitaria”. «Quante estati sono passate e oggi sulle rocce del Rite spumeggiante e irruento rifletto sulla mia storia a quanto amore ho ricevuto da Mara e dai figli sempre e come una guida nascosta ma presente mia madre continua nella missione insieme con Mara mi sento accudito e coccolato nella mia vita solitaria».
«I versi di Gianfranco Trabuio – scrive il candidato al Premio Nobel per la Pace Hafez Haidar nella Prefazione -, che trasmettono con precisione e chiarezza nitidi ricordi, profondi sentimenti e personali considerazioni, sono in grado di coinvolgere il lettore e di farlo riflettere. In essi, la donna, madre, moglie o compagna, novella Beatrice, assurge al ruolo di sorgente di vita, dispensatrice di incanto ed amore, musa ispiratrice, guida preziosa che imprime una direzione sicura nel viaggio della vita, ma anche nel cammino nel mondo della poesia, dal classicismo al romanticismo». Il libro presenta, inoltre, le prefazioni del professor Francesco Semi: «Un motivo ricorrente in tutto il canzoniere di Trabuio è questo anelito alla vicinanza di un’altra, per “cominciare ad amare”; e non farlo è fatica, è dolore»; e del poeta Mario Stefani: «Poeta petrarchesco nel senso migliore del termine, usa il sentimento come momento-confessione, ricerca di se stesso».
In alcune poesie, come “Yerushalayim”, “Santa Maria degli Angeli” e “Lourdes”, viene trattato l’aspetto più mistico e religioso. L’autore Trabuio, infatti, in collaborazione con persone del settore, organizza anche viaggi culturali a sfondo religioso presso santuari mariani in Italia e in Francia. «Mi considero, vista la mia storia di ricercatore, in sintonia con i mistici di tutte le fedi religiose e io mi sento immerso in questa dimensione esistenziale: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”, come diceva Dante Alighieri nel XXVI canto dell’Inferno. Lo considero un mantra che illustra in modo efficace la mia filosofia esistenziale sia nella banalità del quotidiano come nelle mie ispirazioni poetiche».
Una poesia del tutto realistica, ovvero tratta dalla quotidianità delle riflessioni sul vivere e sul morire. Stati d’animo impressi sulle pagine del canzoniere, per comunicare al lettore «la bellezza del dialogo interiore mentre si vive immersi nella natura e nella suggestiva presenza della donna, considerata un alter ego col quale condividere emozioni e passioni».
Federica Grisolia
(Vincenzo La Camera – Agenzia di Comunicazione)