Il ritorno dell’interesse nazionale
Cominciamo enunciando alcuni concetti: con la caduta del muro di Berlino tutti i Paesi sono sostanzialmente concorrenti; i conflitti del futuro saranno prevalentemente economici, culturali e verranno combattuti sulla Rete a base di informazioni; costruzioni istituzionali come l’Unione europea rispondono più alle esigenze economiche dei mercati che a quelle sociali dei cittadini; i problemi sono globali, ma richiedono risposte inevitabilmente locali. In un contesto completamente diverso rispetto a pochi anni fa, un vero e proprio mundus furiosus, diventa fondamentale definire l’interesse nazionale. Definirlo e perseguirlo richiede un’indispensabile premessa: l’esistenza di classi dirigenti responsabili, che perseguano, per quanto possibile, il bene comune. Sarebbe questa una delle due gambe della democrazia, con l’altra individuata in cittadini consapevoli che scelgono, controllano e sostituiscono i propri rappresentanti. In assenza di queste condizioni, l’ideologia della democrazia dimostra la sua insussistenza, riducendosi a mera procedura elettorale, condizionata dai media e dai nanziamenti economici. Pertanto, il tema principale dell’interesse nazionale è quello delle élite. I meccanismi di selezione delle classi dirigenti in democrazia avvengono essenzialmente attraverso due metodi: le elezioni e i concorsi. In entrambi i casi, il concetto di merito dovrebbe essere quello prevalente. Si verificano però, almeno nel nostro Paese, due fenomeni in senso inverso: il primo
è rappresentato dai meccanismi elettorali che tendono a sottoporre alla valutazione dei cittadini candidati indicati da partiti sempre meno collegati ai territori e sempre più autoreferenziali, se non addirittura personali. È emblematico il caso delle liste bloccate, che contribuisce a determinare la disaffezione al voto. Il secondo aspetto è costituito dall’elasticità del concetto di merito, inteso non come capacità di affrontare i problemi generali, ma nell’attitudine a essere funzionali a chi materialmente compone le liste elettorali in base a una serie di servigi della più svariata natura. In tale quadro, per i dirigenti istituzionali il concetto di interesse nazionale diventa qualcosa di sconosciuto, indefinibile, distante, in quanto la preoccupazione prevalente è la propria sopravvivenza politica, che dipende quasi sempre dal merito di saper rispondere alle esigenze di chi garantisce la candidatura. Ad esempio, per diventare parlamentari, poco contano requisiti, pure svalutati, quali il titolo di studio, poiché nel 1948 i laureati erano oltre il 90% e ora – dopo quasi 70 anni – sono circa il 60%. Nella relazione tra interessi nazionali ed europei, un aspetto da considerare è quello relativo a quali classi burocratiche e politiche ogni Paese selezioni nella rappresentanza comunitaria. La capacità di incidenza dei singoli Stati dipende inevitabilmente anche da questo. Non so quanto tale circostanza abbia influito nella recente designazione della sede dell’Agenzia europea del farmaco, ma sono temi sui quali dibattere. Infatti, per tutelare l’interesse nazionale nell’ambito europeo e internazionale, il presupposto è appunto una classe dirigente che operi in questa direzione. Nella delineazione dell’interesse nazionale vanno considerate le vocazioni e le risorse storiche del nostro Paese, a cominciare dalla vocazione mediterranea. Nell’edizione italiana di Breve storia del futuro, Jacques Attali individua l’avvenire dell’Italia nelle direttrici delle antiche repubbliche marinare: le rotte veneziane verso l’oriente e quelle genovesi verso l’America del Sud. Come si vede, non c’è quella verso l’Europa. L’immigrazione è oggi probabilmente, più di ogni altro, il settore che rende evidente il contrasto tra interessi nazionali da un lato e comunitari dall’altro: e poiché è un aspetto destinato ad aumentare richiede già da ora una riflessione profonda e non legata alle polemiche nazionali. D’altronde, la mancanza di una comune visione politica, dagli esteri alla difesa, contribuisce a rendere indeterminato l’interesse comune europeo, che non è stato riconosciuto nelle radici spirituali, ma nella dimensione economica e, secondo alcuni, nell’organizzazione burocratica.
Il dato che, di fronte all’emergenza del terrorismo islamico (ma ancora più pervasiva è la criminalità organizzata), in Europa non sia possibile condividere le informazioni delle rispettive agenzie di Intelligence è un indicatore della debolezza strutturale che rende quasi impossibile una collaborazione ampia e senza riserve neanche verso un nemico comune quale il fondamentalismo islamico, sebbene recentemente notevoli passi avanti siano stati compiuti. Di fronte alla crisi della rappresentanza che determina l’insostenibile debolezza della democrazia, l’identificazione e il perseguimento dell’interesse nazionale sarebbe il punto di partenza indispensabile per selezionare élite nazionali davvero nuove, competenti e visionarie.