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Promossi dall’Associazione Culturale Anassilaos, iniziano, in tempi di Covid, gli incontri promossi in remoto.

Inizia la Prof.ssa Pina De Felice con una conversazione, disponibile sul sito facebook di Anassilaos e su You Tube, dedicata a Pinocchio, l’immortale figura creata da Carlo Collodi (pseudonimo di Carlo Lorenzini 1826-1890), le cui vicende apparvero a puntate, per la prima volta, il 7 luglio 1881 sul Giornale per i bambini come “Le Avventure di Pinocchio/Storia di un burattino” per essere poi raccolte in volume nel 1883. Il Pinocchio di Collodi, al pari di Cuore di Edmondo De Amicis, pubblicato nel 1886, sono stati due classici della letteratura per l’infanzia apparsi nei primi trenta anni dell’Unità d’Italia e destinati a grande successo pur nella loro diversità politico-ideologica. Pinocchio è un’opera di assoluta libertà creativa che si muove in un mondo fantastico anche se non mancano in essa puntuali riferimenti alla realtà post-unitaria e, magari, alle delusioni arrecate da un processo unitario che non aveva mantenuto tutte le sue promesse e che presentava le prime criticità. Cuore è invece l’opera educativa che racconta la fatica di tale processo e si propone di esaltarne valori e significato. Le Avventure di Pinocchio si muovono avendo in filigrana una Toscana ironica e mordace (non a caso per qualche episodio è stato chiamato in causa il Decamerone di Boccaccio), Cuore ha per sua scenografia la chiusa, cortese, compassata Torino che pur privata del ruolo di capitale fin dal 1864 mantiene l’orgoglio d’essere stata la città promotrice dell’Unità del Paese, la culla della dinastia regnante. La fiaba di Collodi si concludeva in maniera tragica con l’impiccagione del burattino da parte della Volpe e del Gatto e soltanto le proteste dei giovanissimi lettori indussero Collodi, come nei serial televisivi di oggi, a “resuscitare” il burattino e a proseguire le sue avventure. Sarebbe stato comunque singolare per una favola concludersi senza un lieto fine e questa considerazione non può che farci riflettere sulle intenzioni dell’autore, sulla sua visione della vita e della società. Nonostante i continui richiami “moralistici” che a Pinocchio rivolgono un po’ tutti, da Geppetto al Grillo parlante, dalla Bambina-fata dai capelli turchini ai diversi benpensanti della comunità nella quale il burattino vive e con la quale interagisce, è questa stessa comunità ad apparire talora ingiusta e quasi a rovescio: Geppetto viene incarcerato ingiustamente e Pinocchio, vittima del raggiro del Gatto e della Volpe, che denuncia alla giustizia, viene da questa condannato, pur da innocente, al carcere. Usufruisce di un’amnistia ma per farlo deve confessare al carceriere d’essere un pericoloso malfattore. La gente/folla che circonda il burattino, pur pronta criticare, è poi indifferente in sostanza alle altrui tragedie: osserva, anzi assiste, come fosse uno spettacolo, dalla riva il naufragio di Geppetto, ma non interviene e quando tutto si conclude si ritira. La storia di Pinocchio è stata oggetto delle più diverse e, talora strampalate, interpretazioni in chiave storica, psicologica, psicanalitica, religiosa (Pinocchio-Gesù) e finanche esoterica.
Al di là di ogni pur lodevole, o maldestro, tentativo interpretativo, resta la fiaba e il personaggio, l’amico dei bambini al quale, ci si poteva rivolgere. “Carissimo Pinocchio, amico dei giorni più lieti
di tutti i miei segreti che confidavo a te… ” .
Comincia infatti così la “Lettera a Pinocchio”, la canzone composta da Mario Panzeri nel 1959 che partecipò alla prima edizione dello Zecchino d’Oro ed ottenne un grande successo nella interpretazione di Johnny Dorelli.
Caterina Sorbara