Giorgio NORDO (Patto per il Cambiamento): con Falcomatà per la Scuola e la Formazione
Adesso che mancano solo poche ore alla conclusione di questa strana campagna elettorale, credo che sia giunto il momento di analizzare quanto di buono è stato fatto durante la scorsa amministrazione e dall’altra capitalizzare il tesoro di proposte, idee e suggerimenti che sono giunte da più parti interagendo in vario modo con i cittadini. Lo faremo restringendo il campo a due ambiti specifici nei quali intendo impegnarmi: la Scuola e la Formazione.
Ci concentreremo su questi due temi per un dato personale e per una questione più generale.
Il dato personale è che sono un matematico. Per chi non mi conoscesse lavoro presso il MIFT, il Dipartimento di Matematica, Informatica, Fisica e scienze della Terra dell’Università degli Studi di Messina. Quindi, per formazione, parlo solo delle cose che conosco, che comprendo e che riesco a spiegare e, a dirla tutta, mi infastidisco un po’ quando sento qualcuno che tenta di discettare di temi che sono fuori dalla sua esperienza.
Ad esempio, quando un candidato sindaco di centro-destra prospetta una sede distaccata della università Kore di Enna a Reggio Calabria, dimenticando o forse peggio non sapendo che Reggio è sede della moderna ed efficiente università Mediterranea e dell’Università per stranieri Dante Alighieri, nonché bacino naturale per la storica e prestigiosa Università di Messina. Francamente non capisco cosa abbiamo da invidiare ad una piccola e periferica sede universitaria nata per finalità che conosco ma che stento a comprendere e riconoscere valide come sterile gemmazione dell’università di Catania. Quando come argomento mi tocca leggere che la Kore ha “addirittura” collaborazioni con una università israeliana mi è ben chiaro che, probabilmente, questo signore non sa di cosa parla e si lascia impressionare davvero con poco visto che le collaborazioni scientifiche internazionali sono prassi e assoluta consuetudine per qualunque polo universitario sia a livello istituzionale che per quanto riguarda i docenti e i ricercatori che vi lavorano.
In sintesi, il dato personale è che parlo da docente, da ricercatore universitario, da formatore, da esperto di ICT, da attivista nel campo della formazione solidale, da rappresentante di classe e da genitore e tra questi ruoli il più importante è senza dubbio l’ultimo: l’essere genitore, cosa che mi permette, ad esempio, di esprimere qualche considerazione sulla Scuola e sul sistema della Formazione Professionale perché sono settori di cruciale importanza per il futuro dei nostri figli.
La questione generale, invece, riguarda il fatto che questi due settori, la Scuola e la Formazione professionale, sono ormai di fatto competenze comunali e della città metropolitana che, come ben sappiamo sono enti complementari ed in un certo senso sovrapponibili visto che in virtù della legge n. 56 del 7 aprile 2014 (“Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”) che istituisce le città metropolitane, il settore della formazione professionale è una competenza della città metropolitana ereditata in parte dalla ex Provincia e in parte dalla Regione e quindi, in definitiva, dell’unica figura del sindaco metropolitano.
Ma non solo. Per quanto riguarda la scuola, fino a qualche decennio fa comuni e province avevano nei confronti della scuola statale un prevalente ruolo di servizio, ossia si limitavano a fornire i locali, l’illuminazione, il riscaldamento, l’approvvigionamento idrico, i servizi telefonici e sostenevano le spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici scolastici di cui erano solitamente proprietari, ma con la legge sul decentramento amministrativo e sul trasferimento di funzioni dallo Stato agli enti territoriali (il decreto legislativo 112 del 1998), comuni e province hanno assunto competenze amministrative che in precedenza erano a carico dello Stato, anche in ambito scolastico. Tra le altre cose, i comuni, le province e – nel nostro caso, le città metropolitane – hanno assunto importanti funzioni decisionali per quanto riguarda l’istituzione, la fusione e la soppressione di scuole, i servizi di supporto per gli alunni con handicap o in situazione di fragilità o svantaggio, nonché – d’intesa con le istituzioni scolastiche – anche per quanto riguarda l’educazione degli adulti, l’orientamento scolastico e professionale, le iniziative per garantire le pari opportunità di istruzione, la prevenzione della dispersione scolastica, ecc.
In buona sostanza, la questione generale è che Scuola e Formazione Professionale sono due settori significativamente influenzati dalle politiche comunali.
Per quanto riguarda la scuola non devo certo assumermi il ruolo di fare l’avvocato d’ufficio del Comune o del Sindaco, perché ci sono anche alcune criticità ma, nonostante la scarsità di risorse finanziarie di cui tutti sappiamo, è stato fatto molto e l’amministrazione comunale ha effettivamente raggiunto e cristallizzato diversi obiettivi.
Sono stati aperti ex novo 3 asili nido comunali (quello del CEDIR nel 2015, quelli dei quartieri Archi e Gebbione nel 2017) per un totale di 125 posti ed uno sbocco occupazionale di 80 unità di personale educativo e ausiliario a vario titolo impiegato. 125 famiglie con mamme lavoratrici hanno potuto conciliare le esigenze lavorative con quelle dei propri figli a prezzi calmierati. Bisogna ricordare che prima del 2015 la città non possedeva alcun asilo nido comunale a causa dell’aberrante principio della spesa storica in base al quale non è possibile ricevere fondi per il finanziamento delle funzioni di base se non esiste già a bilancio una voce di spesa per lo stesso tipo di servizio. In altri termini, poiché nessuna delle passate amministrazioni aveva mai istituito asili nidi comunali, tale voce di spesa non era a bilancio ed era quindi impossibile impegnare fondi per aprirne di nuovi: un circolo vizioso dal quale sembrava impossibile uscire. Questo ostacolo è stato brillantemente superato ricorrendo ai fondi europei PON Metro che hanno consentito di realizzare i primi tre nidi d’infanzia i quali, grazie alla loro esistenza costituiranno delle specifiche voci di spesa nel bilancio comunale, consentendo a regime di impegnare nuovi fondi per creare ulteriori asili nido comunali, ampliare progressivamente il servizio e adattarlo alla reale domanda dell’utenza.
Il Comune ha finanziato l’acquisto di arredi e strumenti didattici (quali 1500 tavoli, 1300 sedie, 80 cattedre, 45 lavagne, ecc.) per le scuole primarie (elementari) e secondarie di primo grado (medie) con una spesa complessiva di 130 mila euro. Certamente non è molto (soprattutto, trattandosi di una cifra spalmata in sei anni e suddivisa tra una pletora di scuole sul territorio comunale) ma è stato comunque un importante segnale positivo fornito da un ente sul quale gravava un drammatico buco di bilancio ed un debito pubblico pesantissimo ai quali solo il cosiddetto “decreto agosto” (ossia il decreto legge n. 104 “Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia” del 14/08/2020 che, tra le altre cose, con l’articolo 53 – sostegno agli enti in deficit strutturale – assegna un contributo di 200 milioni di euro a fondo perduto in tre anni ad una ristretta categoria di comuni che possiedono determinate caratteristiche tra le quali quella di aver deliberato una procedura di riequilibrio e possedere un IVSM, l’indice di vulnerabilità sociale e materiale, superiore a 100) potrà finalmente dare sollievo ricevendo all’incirca 140 milioni di euro pari al 70% della somma complessivamente stanziata.
L’ATAM dispone attualmente di 24 scuolabus. Altri 10 nuovi mezzi saranno disponibili a breve grazie al Piano di Azione e Coesione (i cosiddetti fondi PAC). Sono sufficienti a coprire la richiesta di alunni e studenti? Certamente no. Incrementare il parco mezzi di scuolabus e semplificare le procedure per la loro richiesta per singoli eventi (uscite d’istruzione, ecc.) è dunque una assoluta priorità.
Un altro problema molto sentito dalle famiglie in cui entrambi i genitori lavorano, in qualche caso fuori città, è quello dell’allungamento dell’orario di apertura e di chiusura delle scuole (pre-scuola e dopo scuola). Garantire questi servizi aggiuntivi comporta ovviamente dei costi extra che pochi istituti possono permettersi.
Un modo per reperire i fondi utili a finanziare l’ampliamento di questi servizi potrebbe essere quello di adottare un piano di autonomia energetica che consenta di abbattere l’incidenza di molti costi fissi. Gli istituti scolastici (alcuni sono in procinto di farlo) potrebbero adottare questa misura usufruendo del superbonus del 110% previsto dal decreto rilancio e in virtù del risparmio derivante dalle voci per consumo elettrico e riscaldamento potrebbero utilizzare le somme risparmiate per finanziare nuovi servizi tra cui l’estensione del pre- e del dopo-scuola.
Per quanto riguarda l’edilizia scolastica, non c’è dubbio che, a parte alcune lodevoli eccezioni, in generale, gli edifici scolastici sono in cattivo stato, gli impianti non sono a norma, i laboratori esistenti non vengono ammodernati da tempo e, mi dispiace dirlo, lo scorso anno scolastico, tra gennaio e febbraio, la maggior parte delle scuole cittadine ha vissuto un grave disagio per il mancato approvvigionamento del combustibile per il riscaldamento proprio nei mesi più freddi, una vera emergenza che ha costretto molti dei nostri figli a restare a casa ancora prima del lockdown.
Anche questo è un effetto della scarsità di risorse finanziarie dovute al debito pubblico accumulato delle precedenti amministrazioni ma adesso che col decreto agosto siamo stati sgravati dal peso del buco di bilancio e viste le azioni già avviate per l’utilizzo dei fondi comunitari è auspicabile e necessario che si intervenga al più presto per riconsolidare strutture, ammodernare aule e laboratori e ricreare quell’ambiente confortevole e rassicurante che è fondamentale nei processi di apprendimento.
L’emergenza coronavirus ha avuto un impatto devastante sulla popolazione scolastica e ha acuito ancor più questi problemi ma c’è da dire che il Comune, l’assessorato di competenza, i dirigenti e soprattutto gli insegnanti, nonostante una cronica mancanza di mezzi hanno reagito con prontezza al variare delle condizioni e si sono spesi generosamente. Da rappresentante di classe in una scuola primaria ho visto personalmente maestre e insegnanti che, non certo per loro colpa, non avevano mai ricevuto una formazione specifica per quanto riguarda l’e-learning e la didattica a distanza (la cosiddetta DAD), che impegnandosi con mezzi propri ben più del tempo loro richiesto, hanno colmato il gap digitale in tempi brevissimi e si sono messe a disposizione per offrire lezioni a distanza ai loro alunni, già durante la prima fase di sospensione delle attività didattiche, cioè ancora prima che col lockdown ciò venisse loro richiesto come obbligo.
Tutto ciò ha messo in evidenza come la dotazione digitale delle scuole fosse insufficiente per i docenti e ancor più per gli studenti, soprattutto quelli appartenenti a famiglie con basso reddito. È vero che dopo alcune settimane l’impiego di pc e tablet forniti in comodato d’uso dalle scuole ha parzialmente tamponato questa disparità venendo in soccorso delle famiglie più deboli ma è altrettanto vero che la dotazione digitale messa a disposizione è stata largamente insufficiente per numero e caratteristiche dei dispositivi. Non saprei come dirlo meglio ma è evidente che far seguire ad un bambino di sei anni una lezione a distanza su un tablet da 8 pollici non è la stessa cosa rispetto al fornirgli uno schermo più ampio, luminoso e leggibile dotato di mouse e tastiera, oppure uno schermo touch o una tavoletta grafica.
Occorre dunque ampliare la dotazione digitale degli istituti utilizzando finanziamenti europei in compartecipazione col Comune, cosa che richiederà probabilmente la creazione ad hoc di un ufficio comunale specializzato nella gestione dei fondi comunitari.
Per dotazione digitale qui intendiamo non solo il patrimonio di dispositivi fisici (pc, lim, tablet, ecc.) posseduti dalla scuola e cedibili in comodato d’uso agli studenti in caso di necessità ma anche i software didattici e le piattaforme digitali per l’e-learning e la didattica a distanza che tanta importanza hanno assunto in questi ultimi mesi.
Si può fare tutto questo senza investimenti ingenti? La risposta è assolutamente si, utilizzando le risorse interne delle scuole e software a sorgente aperto se è vero come è vero che, qualche anno fa, con Calabria Formazione, l’associazione che ho il privilegio di rappresentare, con poche centinaia di euro, molta buona volontà e utilizzando esclusivamente tecnologie Open Source, in collaborazione con l’Archivio Diocesano di Reggio Calabria-Bova, abbiamo realizzato un progetto pioneristico ancora unico nel suo genere in Europa che ha permesso di rendere disponibili in rete e liberamente consultabili, con un applicativo web appositamente realizzato da noi circa secoli di storia, quasi un milione di Megabyte, oltre 300 mila immagini digitalizzate ad alta risoluzione dalle pagine di migliaia di registri parrocchiali dell’Archivio Storico della Diocesi reggina (suddivisi in atti di battesimo, defunti, matrimoni e stato delle anime) provenienti da 109 parrocchie della Diocesi di Reggio Calabria-Bova (57 solo della città), un tesoro stimato in circa 625 mila informazioni anagrafiche utili per ricerche storiche e genealogiche relativamente al periodo storico compreso tra il 1589 ed il 1940.
Ancora più recentemente, meno di un anno fa, in un altro progetto a basso budget siamo riusciti a creare una mappa digitale, ossia una interconnessione web anch’essa liberamente consultabile tra il portale del Museo diocesano di Reggio Calabria e quello dell’Archivio Storico Diocesano di Reggio Calabria, un applicativo che incrocia dinamicamente i dati delle opere d’arte appartenenti alle collezioni museali è i relativi fondi archivistici che raccontano la storia di quelle opere.
Insomma, il modo per fare tanto anche nel mondo della scuola esiste e se garantendomi il vostro voto vorrete accordarmi la vostra fiducia mi sento di garantire che quello che abbiamo fatto in tanti anni di attivismo in campo associativo con le consulenze ICT e la formazione solidale può essere riprodotto ed amplificato nel pubblico ed in particolare nel settore scolastico.
Il fenomeno degli abbandoni scolastici ha evidentemente una incidenza più alta nelle fasce sociali più deboli, laddove generalmente manca non solo il sostegno culturale della famiglia ma anche la disponibilità economica per sopperire alle lacune formative, in altri termini perdiamo letteralmente per strada coloro che non si possono permettere lezioni private a pagamento.
Per questo motivo la lotta alla dispersione scolastica potrebbe essere utilmente condotta mediante l’istituzione di centri che erogano gratuitamente corsi di recupero, ripetizioni, lezioni integrative e altre forme di assistenza allo studio indirettamente gestiti dal comune o dalla città metropolitana per mezzo di cooperative o associazioni di volontariato e che potrebbero essere sostenute con disponibilità di locali (penso ad esempio ai beni confiscati che sono anch’essi competenza del Comune), offerte di servizi e laddove possibile anche con contributi economici, cioè con una forma di volontariato retribuito.
Anche la creazione di Borse di studio scolastiche comunali, rivolte in special modo agli studenti delle scuole primarie, per aiutare e sostenere negli studi i figli delle famiglie più bisognose potrebbe contribuire a ridurre il fenomeno della dispersione scolastica ed offrire maggiori opportunità a chi si trova in condizioni di svantaggio o fragilità. L’istruzione non può essere un privilegio solo di chi se lo può permettere. È persino banale ricordarlo ma il diritto allo studio è riconosciuto costituzionalmente dall’art. 3 e soprattutto dall’art. 34 che – come sappiamo enunciano che “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale…” e che “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi…”.
Un discorso a parte merita poi la questione degli assistenti educativi, ossia di quei lavoratori che forniscono servizi di supporto e assistenza agli alunni con disabilità certificata dall’ASL in base alla legge 104 del 1992.
Attualmente, gli assistenti educativi, generalmente costituiti in cooperative, vengono impiegati dal comune con contratti annuali a tempo determinato e dunque vengono considerati come personale a chiamata a cui ricorrere di anno in anno senza alcuna certezza se non quella della scarsa puntualità dei pagamenti.
Mi sembra evidente che questa categoria professionale il cui servizio è giustamente ritenuto necessario e largamente preventivabile dovrebbe essere in qualche misura stabilizzata dal Comune ed integrata nel sistema scolastico.
Per quanto riguarda la Formazione come è stato ricordato prima, in virtù della legge n. 56 del 7 aprile 2014 (“Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”) che istituisce le città metropolitane, anche il settore della formazione professionale è una competenza della città metropolitana ereditata in parte dalla ex Provincia e in parte dalla Regione e quindi, in definitiva, del sindaco metropolitano.
Duole dirlo ma fino a questo momento l’offerta formativa del settore si è rivelata piuttosto inadeguata e deludente. Nel corso degli anni, e questo comunque anche prima dell’attuale amministrazione, ci si è limitati a proporre, ritengo senza grande convinzione, corsi gratuiti ma poco contemporanei per non dire fuori dal tempo, corsi scarsamente specializzati (estetista piuttosto che operatore di defibrillatore automatico) o corrispondenti a figure professionali vetuste che non hanno più sbocchi sul reale mercato del lavoro (quale operatore di computer grafica o web designer), corsi con una caratterizzazione professionale molto poco definita che spesso non sono nemmeno riusciti ad attrarre un numero sufficiente di corsisti.
La struttura appare elefantiaca, ossia lenta e scarsamente reattiva alle innovazioni (tanto che finora non si è nemmeno dotata di una propria piattaforma di e-learning), sprofondata in una visione che appartiene al passato e affatto incline ad aprirsi al futuro ed anzi a dirla tutta nemmeno al presente. Questo rende l’attività, oltre che dispendiosa, sostanzialmente inutile se non dannosa perché immobilizza per mesi un certo numero di disoccupati senza alla fine poter offrire loro ne’ un concreto bagaglio culturale ne’ un titolo realmente spendibile.
In estrema sintesi, possiamo dire che finora la formazione professionale a Reggio Calabria ha giovato più ai formatori, esterni e interni, che agli utenti.
Negli ultimi anni la tipologia dei corsi proposti ed erogati, sia direttamente che indirettamente per mezzo di associazioni e cooperative, si è progressivamente orientata e livellata verso un target medio-basso con scarsa scolarizzazione che pur non corrispondendo quasi mai alla reale preparazione culturale dei corsisti e dei disoccupati, ha innescato una spirale di progressivo decadimento degli standard di ammissione e, ancor peggio, di qualità dei corsi.
Come la cattiva televisione coi suoi programmi trash alimenta se stessa influendo sui gusti del pubblico che richiede sempre più programmi spazzatura, il basso livello dei corsi disponibili ha attratto quasi esclusivamente fruitori scarsamente motivati compressi in un limbo pseudoformativo, i quali passano da un corso all’altro solo per accumulare certificazioni praticamente inutili e richiedono corsi intellettualmente poco impegnativi innescando un processo di progressivo deterioramento qualitativo dei servizi erogati.
In sostanza vengono proposti corsi di bassa qualità perché si ritiene erroneamente che l’utenza li voglia così e alla fine l’utenza si adegua, anzi si modella su quelle aspettative, rafforzando la convinzione degli enti formatori e così via in una spirale di degrado qualitativo.
Occorre rendere più moderna e competitiva la formazione professionale. Bisogna fare in modo che chi non può o non vuole proseguire gli studi possa ricevere gratuitamente una formazione e una qualifica specialistica al passo coi tempi che sia realmente richiesta e possieda uno sbocco occupazionale concreto.
Per quanto mi riguarda, io ho iniziato a lavorare appena diciottenne durante gli studi universitari proprio in un ente di formazione professionale, l’ENIPLA, che allora rispondeva direttamente alla Regione e che erogava corsi di informatica con la qualifica di analisti/programmatori in un periodo in cui i personal computer a 8 bit erano appena apparsi.
Nessuno dei corsisti di allora aveva la benché minima cognizione di cosa fosse un computer o un linguaggio di programmazione che allora era fondamentalmente il BASIC, ma questo non ci ha impedito, nel giro di alcuni anni, di istruire adeguatamente circa 160 giovani disoccupati, scarsamente scolarizzati che però hanno raggiunto un livello di competenza informatica più che sufficiente per trovare una adeguata collocazione lavorativa se non come programmatori, quantomeno come esperti informatici in diversi uffici pubblici e privati. Con molti di quei ragazzi e quelle ragazze sono rimasto in contatto e sono consapevole che nella maggior parte dei casi quella esperienza formativa ha prodotto dei risultati positivi e concreti nelle loro vite non solo professionali.
La mia esperienza di docente e di formatore mi dice quindi che si può alzare l’asticella, che non c’è nulla di relativamente complesso o avanzato che non si possa insegnare a qualcuno se si è adeguatamente motivati e si posseggono gli strumenti comunicativi giusti.
Se si dà valore alle persone e si usa il linguaggio adatto, nella didattica si possono raggiungere risultati inimmaginabili.
Pertanto ritengo che occorra fermare questo gioco al ribasso ed al contrario elevare il livello qualitativo dei corsi di formazione professionali equiparandoli di fatto a quello dei corsi IFTS (Istruzione Formazione Tecnica Superiore, prevalentemente biennali) o quantomeno a quello degli ITS (Istituti Tecnici Superiori, annuali) concentrando investimenti e risorse pubbliche su un numero molto limitato di corsi con contenuti e obiettivi formativi di alto livello.
In estrema sintesi la mia proposta per fermare questo degrado e rilanciare il settore della formazione professionale è: ridurre il numero dei corsi, alzare la qualità.
Stiamo parlando di corsi completamente gratuiti della durata di almeno un anno, meglio se due con orario pieno, ossia corsi che impegnino per 8 ore al giorno, 5 giorni a settimana e che durino da 2 a 4 semestri, ossia da un minimo di 800-1200 fino a 1600 ore, corsi dal taglio teorico/pratico che prevedano almeno il 30% di ore di tirocinio (stage) svolto nelle aziende, corsi rivolti non solo ai giovani ma, più in generale, a tutti i disoccupati, corsi che prevedono cicli di lezioni tenute da autorevoli esperti del mondo delle professioni e docenti universitari e che, sulla base di convenzioni quantomeno con le università del territorio, consentano di poter vedere riconosciuti i crediti formativi universitari (CFU) convertendo i moduli seguiti in esami sostenuti in caso si decida di proseguire o riprendere gli studi universitari, corsi che una volta portati a termine prevedono una certificazione delle competenze inquadrata e riconosciuta dall’EQF (European Qualifications Framework), il Quadro Europeo delle qualifiche.
Per intenderci, il Diploma di Tecnico Superiore che si ottiene dopo aver concluso un corso ITS corrisponde al V livello EQF, lo stesso col quale vengono classificati i diplomi di laurea.
Le qualifiche professionali sui quali modellare questi nuovi corsi non possono certamente basarsi su una scelta statica e necessitano, al contrario, di essere individuate con attenzione di volta in volta con un continuo monitoraggio del mercato del lavoro teso all’individuazione dei settori e delle specializzazioni più promettenti e ricercate, ma per dare un’idea, relativamente al settore ICT, si potrebbe iniziare prendendo in considerazione due figure professionali attualmente molto richieste: sviluppatore di applicazioni smartphone in ambiente android/IOS ed esperto di social media mining.
L’azione di monitoraggio, invece, potrebbe essere garantita da un organismo indipendente ed esterno, una commissione di esperti della formazione nominati dal consiglio comunale nella sua globalità, ossia sia dai partiti di maggioranza che da quelli dell’opposizione allo scopo di garantire ampia rappresentatività a tutte le parti politiche, esperti provenienti dal mondo dell’università e da quello del lavoro in grado di vigilare sulle attività della formazione professionale fungendo da stimolo e avendo un riconosciuto ruolo propositivo e decisionale su temi e progetti di corsi al passo con le effettive richieste del mercato, la progressione delle tecnologie, in altri termini col mondo reale.
È evidente che organizzare ed erogare corsi di questo genere comporta investimenti, risorse e spese ben superiori a quelli degli attuali corsi professionali ed è quindi conseguenziale ridurre il numero dei corsi attivi (sia quelli interni che quelli in affidamento esterno), concentrandosi però su un bouquet di offerte di corsi qualificati e specialistici ben strutturati ed orientati al reale mercato del lavoro.
Ma allora perché non demandare piuttosto questo ruolo ai corsi IFTS e ITS visto tra l’altro che a Reggio Calabria esiste già una fondazione ITS?
I motivi sono almeno due: i corsi IFTS sono rivolti esclusivamente a giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni in possesso almeno di un diploma quadriennale.
L’accesso ai corsi ITS invece è riservato a giovani e adulti purché in possesso di diploma di istruzione secondaria superiore oppure a coloro che in possesso di un diploma quadriennale di istruzione e formazione professionale abbiano frequentato un corso IFTS annuale ma è chiaro che da noi la categoria dei disoccupati e degli inoccupati è ben lontana dal possedere queste caratteristiche perché la platea dei potenziali utenti supera largamente il limite di età imposto dagli IFTS oppure non possiede i titoli di studio necessari per gli ITS.
Inoltre, è indubbio che un centro di formazione compartecipato dal Comune, dalla Città Metropolitana e dalle università del territorio avrebbe ben altro respiro e godrebbe di maggior prestigio, fondi e attrattività.
Con questa mia non brevissima riflessione, credo di aver sufficientemente rappresentato, lo stato attuale della Scuola e della Formazione in città, di quanto è stato fatto e di quanto resta ancora da fare per rendere Reggio una città da cui non scappare, una città vivibile, efficiente e produttiva.
Questo non è il migliore dei comuni possibili, ce ne rendiamo conto tutti, ma senza dubbio Giuseppe Falcomatà è il migliore dei sindaci possibili e sono certo che unendo gli sforzi, portando come si usa dire il cuore oltre l’ostacolo, assieme potremo fare ancora tanto per Reggio Calabria.