Flop del Governo sul Porto di Gioia Tauro
È appena stato annunciato l’accorto fra i soci di Mct che sancisce il passaggio totale del controllo della società, e quindi del porto di Gioia Tauro, nelle mani di Msc.
Sebbene in molti gioiscono nel ricordare le promesse dell’imprenditore Aponte circa la volontà di non licenziare e riassorbire gli esuberi del 2017, la preoccupazione sul futuro dello scalo gioiese non deve scemare. Infatti l’accordo è stato varato fra due società commerciali nel rispetto dei reciproci interessi e, quindi, senza dover dare conto al Governo che, difatti, ha lasciato tutto nelle mani di Mct senza che questa, cambiando padrone, debba con esso rinegoziare qualcosa. Restano perciò prive di valore le promesse di investimento avanzate nei mesi scorsi da Msc presso il Ministero, mentre resta, quindi, alto il rischio che la nuova gestione di Mct possa giocare sullo stato di crisi della società per proporre nuovi licenziamenti o, quanto meno, una precarizzazione del lavoro e una politica di maggior flessibilità per i portuali.
L’operato del Governo, protratto soprattutto dal ministro pentastellato Toninelli e dal sottosegretario leghista Rixi, altro non raffigura che la rappresentazione teatrale di un moderno Ponzio Pilato che, non avendo avuto il coraggio di affrontare la gravosa situazione del porto gioiese ritirando le concessioni demaniali per rilanciare lo scalo commerciale con un nuovo assetto industriale, ha rinunciato alle sue prerogative inerenti la gestione della cosa pubblica affidandola ad una risoluzione fra due soggetti di diritto privato ai quali ha fatto da spettatore plaudente.
Il Partito Comunista, vigilando sugli sviluppi che seguiranno, invita i lavoratori a non abbassare la guardia e a continuare a difendere, con la stessa tenacia, il proprio posto di lavoro. Nello stesso tempo si auspica che lo Stato facci la propria parte completando, finalmente, i collegamenti ferroviari, già finanziati dal 2011, che sono stati la scusante per tagliare Gioia Tauro, porta d’ingresso naturale del continente e che potrebbe garantire su strada ferrata un trasporto merci veloce verso l’Europa senza bisogno di alcuna Tav, fuori dalla nuova “via della seta”, la quale non può assolutamente rappresentare il rilancio dell’economia italiana quando la merce circolante proviene da impianti industriali delocalizzati all’estero.
L’Ufficio Stampa
Taurianova, lì 1 aprile 2019