Con Giulio Casale approda anche in Calabria, all’auditorium di Polistena, Polli d’allevamento firmato Gaber-Luporini
Lo spettacolo di Teatro Canzone nella rassegna di eventi proposti dell’associazione Amici della Musica Manfroce di Palmi
Uno sguardo lucido e amaro, e perciò autentico, uno spirito libero e ribelle, e perciò necessario, una coscienza critica severa e dirompente, nell’Italia di ieri come in quella di oggi. La figura di Giorgio Gaber e il suo impegno artistico e musicale di grande valenza civile e sociale, ancora di straordinaria attualità come lo spettacolo scritto negli anni Settanta con Sandro Luporini, dal titolo emblematico Polli d’Allevamento, sono stati al centro dello spettacolo di Teatro Canzone dell’attore e drammaturgo trevigiano Giulio Casale, svoltosi presso l’auditorium comunale di Polistena. Approda così in Calabria per la prima volta, grazie alla rassegna dell’associazione Amici della Musica Manfroce, lo spettacolo Polli d’Allevamento, con gli arrangiamenti musicali di Franco Battiato e Giusto Pio e con la direzione di scena di Simone Rota, che il grande appassionato e profondo conoscitore di Giorgio Garber, Giulio Casale, artista poliedrico per il suo variegato percorso attraversato dai diversi linguaggi di letteratura, teatro e musica, porta in scena in tutta Italia dal 2006.
L’evento rientra nella rassegna promossa dall’associazione Amici della Musica Nicola Antonio Manfroce di Palmi, presieduta da Antonio Gargano e cofinanziata nell’ambito dall’avviso pubblico Eventi culturali 2018 della Regione Calabria, con il contributo del Mibact.
Un’alternanza di monologhi e canzoni su una scena essenziale che, sulle orme di Gaber, Giulio Casale domina con la sua energia, nata dalla passione coltivata fin da bambino per il signor G, con una grande fisicità e con la complicità di uno sfondo che muta colore, di una sedia, della suggestione di uno specchio e di un gioco di luci e ombre che esaltano gestualità e poetica. Ecco che lo spettacolo firmato Gaber-Luporini, originariamente in scena tra il 1978 e il 1979, ispirato quindi all’Italia post ’68 privata di quella importante spinta ideale che quel frangente storico aveva generato, raggiunge e coinvolge anche il pubblico di Polistena nel 2020, quarant’anni dopo.
«Sono molto felice di essere riuscito a portare in scena anche in Calabria, dopo averlo fatto nelle altre regioni d’Italia, questo spettacolo. Credo che Gaber sia stato un grande intellettuale italiano, ancora oggi tutto capire e riscoprire, e che questo spettacolo, per il notevole spessore critico dei monologhi e delle canzoni, sia frutto di una ricerca importante che Gaber ha condotto durante il suo percorso di artista e musicista. Il teatro canzone, come ogni opera d’arte è un intervento sulla realtà. Esso, tuttavia, offre una molteplice opportunità di intrattenere e divertire e di interrogare le coscienze e far riflettere. Gaber esprimeva idee anche durissime al suo pubblico. Quelle idee ancora oggi sono attuali», ha commentato Giulio Casale dopo lo spettacolo.
“Cari cari polli di allevamento coi vostri stivaletti gialli e le vostre canzoni, cari cari polli di allevamento nutriti a colpi di musica e di rivoluzioni. Innamorati dei colori accesi e delle grandi autostrade solitarie dove si possono inventare le americhe più straordinarie”, le prime strofe della canzone Polli d’allevamento, alla quale si devono il titolo dell’album e dello spettacolo, inquadrano il contesto e gli interlocutori di Gaber e delle sue critiche.
La prima è all’immobilismo dell’individuo, al centro della canzone Chissà se il socialismo, seguita dal monologo sull’amore che “ricorre più volte senza una ragione visibile”. Poi ancora musica con l’elogio dell’Esperienza, la cui necessità si apprende dalla stessa esperienza (“Io devo fare un’esperienza. Io lo so per esperienza”), e poi gli ancora attuali monologhi Pistola e Paura in cui “Questi nostri tempi di sconvolgimenti, sono tempi assai degni di storia ma non di memoria”; “E’ strano, ho avuto paura di un’ombra nella notte, ho pensato di tutto, l’unica cosa che non ho pensato… è che poteva essere semplicemente, una persona”. Una riflessione richiamata anche nella canzone prosa che recita “L’uomo non è fatto per stare solo e il suo bisogno di contatto è naturale come l’istinto della fame. E’ una cosa strana una mania di sicurezza che può chiamarsi addirittura istinto di salvezza”. Un istinto che, tuttavia, ha le sue controindicazioni quando è assente lo spirito critico. ” La gente si regala tutto si trasmette il peggio restando incollata con rinnovato coraggio con la scusa di scambiarsi le loro energie va a finire che si attaccano le malattie (…) l’intelligenza non si attacca. La scarlattina sì (…)”.
Un intreccio di parole in cui si innesta anche la profonda e amara riflessione sull’Italia, mentre sulla scena lo sfondo a tinte unite richiama in successione i colori della bandiera italiana, affidata alle canzoni Padri miei e ai Padri tuoi. Raccontati il trionfo del progresso sull’uomo e ciò che resta dopo, ovvero “Una presenza con pochissimo spessore che non lascia la sua traccia. Una presenza di nessuna consistenza che si squaglia, si sfilaccia. Viene fuori, viene fuori una figura disossata. Che a pensarci proprio bene nell’insieme dà l’idea di libertà”. Il suo monologo Oggetti testimonia poi l’acume e la sensibilità con cui Gaber, con decenni di anticipo, cantò la consapevolezza di un approdo inesorabile e degenere del consumismo di quegli anni al dominio degli oggetti, come delle apparenze e della vanità, nella vita delle persone e al tracollo della comunità al cospetto dell’individuo. Ironia e paradosso degli “oggetti che scelgono le persone in base al reddito” e della libertà da questa catena delle persone povere. La critica sociale passa anche attraverso le contraddizioni e il senso di perdita della speranza, dell’allegria e delle emozioni alle quali l’uomo “è incollato”, pur dimostrando di essere devastato da non riuscire ad essere strappato alla sua idiozia. Proprio la canzone Festa precede il monologo Dopo l’amore, un dialogo tra uomo e donna eternamente aperto, forse irrisolto, in cui trionfa la consapevolezza per la quale “Ci vuole troppa comprensione per trasformare in dolcezza una cosa venuta male”. Nel finale, anch’esso fedele al Gaber originale, Giulio Casale si affida ad un dialogo immaginario con lo specchio e allo specchio, oggetto impertinente e inaffidabile – “Gli specchi non servono a niente. Non hanno tatto, sono maleducati. Dovrebbero riflettere un po’ prima… prima di riflettere la mia immagine. Io non sono mica così, almeno credo”. Si affida anche ad una nuova critica al consumismo con Guardatemi bene – “sono distrutto e impotente sono la degradazione non sono più niente guardatemi bene ho gli occhi nel vuoto drogati e corrotti avete visto come siete ridotti avete visto come siete ridotti” – ed ancora al desiderio di rifuggire le etichette e alla necessità di contrastare le omologazioni e l’appiattimento morale con Quando è moda è moda – “Mi ricordo la mia meraviglia e forse l’allegria di guardare a quei pochi che rifiutavano tutto mi ricordo certi atteggiamenti e certe facce giuste che si univano come un’ondata che rifiuta e che resiste. Ora il mondo è pieno di queste facce è veramente troppo pieno e questo scambio di emozioni di barbe di baffi e di chimoni non fa più male a nessuno”.
La chiosa del finale è Suicidio che lascia il pubblico sul filo di una riflessione profonda poiché “C’è una fine per tutto. E non è detto che sia sempre la morte”, ed infatti il monologo conclusivo termina con la ricerca, ancora in corso, di quella parola qualunque che non sia scritta nel copione.
Una performance impegnativa, resa da Giulio Casale tutta d’un fiato, che brevemente l’attore commenta con il pubblico al momento dei saluti, regalando a cappella l’interpretazione de L’impotenza, tratto dallo spettacolo Far Finta di essere sani, di qualche anno prima rispetto a Polli d’allevamento. «Gaber – spiega Casale – indaga in questa canzone lo squilibrio e la ricerca sempre difficile di un equilibrio psichico e, dunque, la mancata interezza dell’individuo».
“Io ti sfioro e non so quanto sia emozionante, tu mi guardi e mi chiedi se sono presente. io penso alla nostra impotenza, ad un gesto d’amore.. Sì quel senso vitale che un po’ si conosce qualche cosa di dentro che affiora, che cresce la voglia di credere anche ad un gesto d’amore. No, non dico l’amore che sappiamo un po’ tutti, no, non dico l’amore che ci capita spesso. Per amare io devo conoscere me stesso”.
Un amore antico quello per Giorgio Gaber a cui Giulio Casale è rimasto fedele nei testi, nelle movenze e nel timbro di voce, e al quale lo stesso attore trevigiano ha dedicato un’approfondita disamina critica nel libro epistolare ‘Se ci fosse un uomo – gli anni affollati del signor Gaber’, dedicandosi al suo cammino musicale compreso tra “Il Signor G” del 1970 e “Io non mi sento italiano” del 2003.
La rassegna promossa dall’associazione Amici della Musica Nicola Antonio Manfroce di Palmi, proseguirà la prossima settimana, venerdì 24 gennaio 2020, sempre presso l’auditorium comunale di Polistena, con Stupidorisiko. Una geografia di guerra, spettacolo promosso da Emergency, scritto e diretto da Patrizia Pasqui e interpretato da Mario Spallino.
Palmi, 18 gennaio 2020