Armi chimiche. Gli attivisti di San Ferdinando ”Parte del Cinque Stelle ha tradito il territorio”
La guerra civile ha rappresentato una tragedia collettiva, che ha finora portato a più di 120000 persone massacrate e a più di 4 milioni di sfollati.
Una guerra, quella in Siria, che ha assunto sempre di più tutte le sembianze di una vera “guerra sporca”, il cui simbolo sono diventate le armi chimiche. Dal 2012 ad oggi il regime di Assad è stato ripetutamente accusato di avere usato armi chimiche verso i ribelli. Ma, presto sono emerse prese di posizione, anche autorevoli, che hanno dichiarato come, in realtà, tali armi chimiche siano state usate dai ribelli o anche dai ribelli.
Gli USA, facendo propria la versione della responsabilità integrale del governo, cominciano a minacciare un intervento militare.
Il 21 agosto 2013 è una data di svolta.
A Ghouta, nei sobborghi di Damasco, avviene il più grande attacco con armi chimiche dall’inizio della guerra civile, con circa 1300 morti.
Gli USA accusano immediatamente il governo siriano per quel massacro e, dichiarando la misura colma, innescano la macchina bellica per un attacco che sarebbe dovuto partire il 2 settembre.
Gli americani però non avevano previsto l’emergere di elementi che smentivano palesemente la ricostruzione ufficiale degli eventi, ponendo non nel governo, ma nei ribelli la responsabilità per l’utilizzo delle armi chimiche in quella strage.
Secondo il giornalista Seymour Hersh, premio Pulitzer e uno dei miti del giornalismo d’inchiesta americano –suo fu il celebre reportage sul massacro di My Lai in Vietnam; suo è anche il servizio sulle torture di Abu Ghraib in Iraq nel 2004- l’attentato di Ghouta è stato provocato dai ribelli siriani sostenuti dalla Turchia a cui conveniva l’intervento militare americano in Siria. Secondo Hersh è stato lo stesso intelligence britannico, in collaborazione con i servizi russi, a fornire le prove che gli agenti chimici utilizzati non provenivano dagli arsenali del governo siriano, ma dai ribelli.
Ma non era la prima volta che emergevano le responsabilità dei ribelli nell’utilizzo di armi chimiche . A maggio 2013, un personaggio al di sopra di ogni sospetto, Carla Del Ponte -ex procuratore del Tribunale Penale Internazionale per l’ex Yugoslavia e membro della commissione sulle violazioni dei diritti umani in Siria- aveva dichiarato che dalle loro indagini era emerso che le armi chimiche in Siria, particolarmente il Sarin, era stato usato non dagli oppositori, ma dai ribelli.
Tornando all’attentato di Ghouta, anche un rapporto del Mit (MassachuttesInstitute of Technology) poneva la responsabilità dell’eccidio da ascrivere ai ribelli.
Con l’emersione di queste prove, diventa sempre più difficile per gli USA giustificare la legittimità del loro operato e il 31 agosto Obama è costretto a sospendere l’attacco programmato per il 2 settembre.
In una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza Onu si raggiunge tra USA e URSS un accordo che prevede l’obbligo per Assad di dare esecuzione alla sua dichiarata volontà di consegnare le proprie armi chimiche in tempi brevi e si prevede che queste armi chimiche debbano essere distrutti entro la metà del 2014.
L’intera operazione viene gestita dall’Organization for the Prohibition of chimicalWeapons (Opcw) -in italiano Organizzazione per la Proibizione delle armi chimiche (Opac)- il cui capo è Ahmet Uzumcu.
L’accordo internazionale prevedeva che agenti chimici venissero prelevati nel porto siriano di Latakia da alcune navi per essere trasportati -con le navi a loro volta scortate da altre navi da guerra- nel luogo in cui sarebbe stato effettuato il loro “trattamento” per renderli materiale “inerte”.
Non è stato facile per l’Opac trovare Paesi che fossero disposti ad avere concretamente a che fare con le operazioni di trattamento. Solitamente le sostanze chimiche vengono distrutte tramite combustione in aree specifiche fornite di infrastrutture adeguate. Aree di questo tipo esistono in USA, Germania, Francia, Russia e altri Paesi. Ma nessuno di essi ha ritenuto di dare la propria disponibilità. A parte l’Inghilterra che si rese disponibile al trattamento di una parte di questi agenti chimici.
Alcuni tra gli ultimi paesi tirati in ballo erano stati la Norvegia e l’Albania che successivamente espressero il loro rifiuto.
A quel punto si decide di ricorrere al metodo dell’idrolisi in mare aperto.
Per attuare l’idrolisi in mare aperto è necessario che gli “agenti chimici” vengano “trasferiti” in un’altra nave dove vi siano le strutture tecniche adatte per attuare un processo di tal genere. Diventava necessario quindi trovare un porto dove effettuare questo “trasferimento” meglio detto “trasbordo”, e individuare le acque internazionali dove concretamente porre in essere l’idrolisi.
Finché è entrata in gioco l’Italia. Non è dato del tutto capire fino a che punto il nostro Paese sia stato sollecitato in tal senso, e fino a che punto si sia offerto, magari per dimostrare “affidabilità internazionale”. Fatto sta che l’Italia ha messo prontamente a disposizione un proprio porto affinché avvenisse l’operazione di trasbordo.
Il carico consiste in circa 700 tonnellate di materiale. Non sarebbero, secondo molti esperti, tutte le armi chimiche che verranno trattate nel corso del tempo, che ammonterebbero a circa 1300 tonnellate, ma sarebbero state il primo grande quantitativo che prenderà il via verso il porto per il trasbordo e poi verso le acque “internazionali” in cui effettuare l’idrolisi. Si deve sempre tenere presente che in questa vicenda c’è tutto un elemento di “non detto”, elementi tenuti riservati fino all’ultimo ed elementi, forse, che non verranno mai chiariti. Quindi è difficile avere il quadro assoluto di tutto.
L’operazione dovrebbe svolgersi così. Delle circa 1300 tonnellate di armi chimiche siriane “ufficialmente” dichiarate come oggetto di trattamento e che verranno caricate nel porto di Latakia, circa 600 saranno quelle inviate sulle navi (norvegese e danese) Takio e Ark Futura e trasportate verso un porto italiano. Una volta che queste due navi –scortate da navi da guerra russe e cinesi- sarebbero giunte nel porto italiano, gli agenti chimici sarebbero stati trasferiti sulla Cape Ray, una super nave cargo della marina statunitense, nel frattempo partita dal porto di Portsmouth in USA.
Una volta effettuato questo trasbordo, la Cape Ray avrebbe portato gli agenti chimici in una zona del mare mediterraneo, dove avrebbero subito il trattamento mediante idrolisi. A tal riguardo sulla Cape Ray sono stati installati due sistemi Field Deployable Idrolisi System (FDHS) per lo smaltimento degli agenti chimici pericolosi, messo appunto per l’occasione dai militari americani dello US Army Edgewood Chemical Biological Center in Maryland. L’FDHS neutralizza gli agenti chimici mescolandoli con acqua ed altri reagenti come idrossido di sodio e ipoclorito di sodio e poi li riscalda fino a trasformarli. Le scorie risultanti dal trattamento mediante idrolisi, saranno inviate verso altri paesi, in primo luogo la Germania, per essere a loro volta trattate.
Tutta questa operazione richiede un investimento finanziario non da poco. Con dodici milioni di euro già raccolti, e altri venti milioni che andranno trovati. L’OPAC, inoltre, ha indetto una gara d’appalto – gara che nel frattempo si è conclusa- riservata a strutture chimiche civili, che si inseriranno in tutta la complessiva catena derivante dall’iniziale trattamento degli agenti “chimici”, con in ballo, per queste strutture, una “torta economica” non da poco.
Ben presto sono stati stabiliti i luoghi di questi due momenti essenziali dell’intera operazione.
Il luogo del trattamento delle armi chimiche mediante idrolisi: il mare al largo della costa ovest di Creta.
E il porto italiano del trasbordo: Gioia Tauro.
Tra i fattori che avrebbero giocato un ruolo sulla scelta di “quale porto italiano” tra i papabili, abbiano giocato (insieme ad altri elementi naturalmente) le resistenze locali. Questo parrebbe vero soprattutto per la Sardegna dove il presidente della regione, Cappellacci, nel momento in cui anche un porto sardo era preso in considerazione nel “toto-porto”, espresse la sua totale contrarietà, appoggiato in ciò da varie realtà sarde.
La concreta possibilità che Gioia Tauro avesse vinto il “toto porto” era presente negli organi di stampa il 14 e il 15 giugno.
Le riserve vennero sciolte il sedici gennaio, in sede di audizione presso la Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato del Ministro degli Esteri, Emma Bonino; del Ministro delle infrastrutture, Maurizio Lupi; del direttore generale dell’Opac, Ahmet Uzumcu. Gioa Tauro venne indicata come la scelta definitiva per l’operazione di trasbordo.
Da quel momento partono le agitazioni del territorio, in particolare di San Ferdinando. San Ferdinando è il comune in cui ricade l’80% del porto di Gioia Tauro. Da qui l’immediata sensibilità dei suoi abitanti verso i pericoli connessi ad un’operazione di tal genere, riguardo alla quale, fin dall’inizio, le assicurazioni governative hanno poco convinto. I più attivi nel tentare di contrastare da subito l’operazione sono gli attivisti locali del cinque stelle.
Comunque tutti i sindaci della Piana di Gioia Tauro fanno proprie le proteste, a partire dal sindaco di San Ferdinando, Domenico Madafferi e di quello di Gioia Tauro, Renato Bellofiore. Dopo avere accertato che il governo non aveva nessuna intenzione di cambiare rotta, i sindaci indicono una manifestazione, che si svolgerà il 1 febbraio. Questa manifestazione verrà preceduta, il 24 gennaio, dalla manifestazione delle madri di San Ferdinando, che, insieme con i loro bambini, mettono in scena una vera catena umana.
Queste manifestazioni non creano un ripensamento nel governo e non fermano la complessa macchina internazionale ormai messa in campo. L’inquietudine del territorio aumenta, di fronte a quello che appare come un vero muro di gomma.
Fin dal 19 gennaio, intanto, ad accrescere esponenzialmente le inquietudini già emerse, erano intervenute le dichiarazioni di una parte autorevole del mondo scientifico greco, in merito al procedimento di idrolisi da attuare in acque internazionali al largo della costa Ovest di Creta. Secondo il professor Evangelos Gidarakos del Politecnico di Creta, “Queste sostanze chimiche sono miscele di sostanze pericolose e tossiche, che non sono in grado di essere inattivate in modo da non causare danni agli organismi viventi solo con questo metodo”.
Il professor Gidarakos sostiene, inoltre, che l’idrolisi di tutto questo quantitativo pericoloso produrrà una terza componente tossica che sarà formata direttamente nelle acque marine. Nikos Katsaros, ex Presidente dell’unione dei chimici greci e collaboratore di Democritos, l’equivalente greco del nostro CNR, ha affermato: “Se tale neutralizzazione sarà effettuata tramite il processo di idrolisi, non c’è da stare tranquilli. Si tratta di un metodo estremamente pericoloso con conseguenze terribili per l’ambiente mediterraneo ed i popoli vicini. Gli effetti saranno la necrosi completa dell’ambiente interessato e l’inquinamento marino tra il mar Libico ed il mare di Creta”. E queste non sono le sole voci scientifiche del mondo greco a lanciare l’allarme rosso per il pericolo che corre l’intero Mar Mediterraneo.
Le inquietudini non diminuiscono certo se si tiene presente che è la prima volta che viene tentata l’idrolisi in mare aperto. Quindi c’è un elemento di “imponderabile” e di “non previsto” che incombe su tutta la faccenda.
Il trasbordo si sarebbe dovuto fare tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio. Tuttavia arrivati a fine aprile ancora nulla è accaduto. Il motivo di questo ritardo era stato visto, fino a poco tempo fa, nella situazione turbolenta in Siria. Dovendo i convogli con le armi chimiche essere trasportati attraverso il paese, per farli giungere al porto di Latakia, da prendere la via che abbiamo descritto in precedenza, la presenza di continui scontri e della necessità, quindi, di “difendere” queste armi, abbia inciso pesantemente sul rullino di marcia. Recentemente è emerso che ad incidere sul rallentamento sarebbe stata anche la crisi tra Ucraina e Russia, con i russi focalizzati su quel fronte, e poco attenti, quindi, a quello che dovrebbe avvenire nel Mediterraneo.
Gli attivisti cinque stelle di San Ferdinando continuano a non mollare, ma la loro indignazione cresce non sentendosi difesi dalle istituzioni e vedendo l’ignavia dei media. La loro indignazione non risparmia quanti nel cinque stelle hanno assunto una posizione “morbida” che è l’esatto opposto di quella che portano avanti.
Decido di andare a San Ferdinando. Credo che vadano sempre conosciuti quelli che stanno in “trincea”; che si debba raggiungerli nelle loro trincee. Anche solo per vederli in faccia. E poi volevo capire meglio una vicenda, per certi aspetti contraddittoria. Il confronto con gli attivisti di San Ferdinando mi avrebbe fornito l’occasione di comprendere meglio una vicenda che ormai ho compreso essere, comunque la si voglia vedere, gravida di pericoli.
Arrivo a San Ferdinando alle ore 13 del cinque aprile; è un sabato. Incontro Domenico Pirrottina -il coordinatore organizer del meet-up locale del Movimento 5 Stelle- alla stazione di San Ferdinando. Appassionato di storia, ha raccolto negli anni materiale sulla Storia di San Ferdinando, che ritiene, per certi aspetti, emblematica, dell’eterna ferita che subisce la Calabria.
“San Ferdinando è un paese giovane –mi racconta mentre siamo in macchina per muoverci verso casa sua. “Il paese vero e proprio nacque nel 1900 circa. Prima vi era un piccolo villaggio fatto di contadini, che vivevano in tante piccole casette costruite da loro. E infatti, il paese, nel linguaggio popolare, mantiene ancora il nome di “casette”. Nel 1900 diventa una cittadina. Una cittadina, naturalmente, immersa nella piana di Gioia Tauro. E all’epoca la piana era ricchissima. Questo è un territorio benedetto dalla natura, circondato da mare e montagne; le sue potenzialità sono sempre state enormi. Durante tutto l’anno i contadini accumulavano un bel po’ di denaro; soprattutto perché da ogni parte d’Italia venivano a comprare arance e mandarini. Questa ricchezza spinse i contadini ad investire “sul mattone”; facendo costruire case per se stessi e per i propri figli. Da qui prese piede l’urbanizzazione di San Ferdinando per come oggi noi la conosciamo. Un evento segnò definitivamente la storia di questi luoghi. La scelta di costruire il porto di Gioia Tauro. Era il periodo immediatamente successivo ai moti di Reggio del 1970, quando la popolazione protestò per quello che considerò un “furto”. L’attribuzione a Catanzaro del ruolo di “città capoluogo” della regione Calabria. A livello statale, per “risarcire” in qualche modo il territorio reggino, si decise di investire nella piana. Si pensava di puntare sulla metallurgia e si pensò di costruire un porto. Un porto che, come si è detto, sebbene conosciuto come “porto di Gioia Tauro”, cade per l’80% nel comune di San Ferdinando. La costruzione di quel porto portò con sé momenti drammatici, in gran parte non conosciuti nel resto della Calabria. Pensa che per costruire questo porto hanno demolito un intero paese. Ci sono video dell’epoca nei quali potrai vedere i contadini di quel paese che si ribellano, espropriati non solo della terra ma anche degli affetti. Una delle storie che più mi toccò dentro fu quella di un ragazzo sulla sedia a rotelle che non se ne voleva andare da questo paese…”.
Giunto a casa di Pirrottina, trovo anche altri attivisti del meet up di San Ferdinando. Fernanda Rombolà, Francesco Condina, Domenico Pugliese, Gino Ferraro, Rocco Petracca, Giovanni e Antonio Di Tommaso, Giacomo Polimeni, Giovanni Pantano, Ferdinando Guerrisi, Antonio Gallucci, ecc. Prendiamo subito il discorso armi chimiche. Essendoci stati parecchi interventi in questo dialogo, per semplificare la lettura, inserirò, prima di ogni intervento, il nome di chi sta parlando in quel momento.
“Prima del sedici gennaio” comincia Pirrottina “nessuno sapeva ufficialmente nulla. Anche se le prime notizie avevano cominciato a trapelare sulla stampa, soprattutto nei due giorni precedenti.
Il sedici gennaio la cittadinanza locale viene a sapere, dall’audizione tenuta alla Camera dai ministri Lupi e Bonino e dal presidente dell’Opac, Uzumcu, che Gioia Tauro sarà il porto in cui si svolgerà il trasbordo. A San Ferdinando, il paese per la gran parte ospitante, nessuno ha saputo niente fino all’ultimo. Nulla, se non qualche voce del trasbordo, ma non del porto prescelto sui giornali. Quelle voci però erano state sufficienti per allarmare noi del meet-up, pur sperando che si trattasse di una bufala giornalistica. Il giorno dell’audizione alcuni dei nostri rappresentanti cinque stelle in commissione Difesa ci informarono da Roma per permetterci di potere seguire la diretta streaming dell’audizione. A nostra volta, noi abbiamo esortato tutti a seguire questa diretta, perché c’era il fondato rischio che calasse sulla nostra testa una decisione in merito alla quale noi non sapevamo assolutamente nulla. Vedendo l’audizione i nostri peggiori sospetti hanno trovato definitiva conferma. Gioia Tauro era stata scelta come porto per il trasbordo delle armi chimiche. Fatto sta che questa audizione fu molto seguita in paese e, una volta riscontrata fuor di ogni dubbio la verità dei fatti, cominciarono i comunicati stampa, a partire dai sindaci del territorio che si dichiaravano increduli e chiedevano spiegazioni, lamentando anche il fatto di non essere stati assolutamente consultati in merito a una decisione così importante.
Nel corso dell’audizione, la nostra portavoce Cristina De Pietro ha fatto qualche domanda, ma senza manifestare una posizione nettamente critica, senza avere un approccio del tipo “sentiamo i territori e vediamo cosa dicono”.
Fatto sta che subito dopo l’audizione a San Ferdinando è partito il caos. Tu puoi immaginare la facilità con la quale una notizia del genere possa circolare in un paese che non è grandissimo. Anche se in quel momento di questo fatto se ne parlava non solo a San Ferdinando, ma in tutta Italia.
Quel giorno stesso, comunque, a San Ferdinando la gente comincia a riversarsi nel porto, che nel giro di un’ora è diventato pieno di gente. Era presente uno schieramento di giornalisti, compresi quelli inviati da televisioni straniere, che andavano a caccia di dichiarazioni. Quindi, fin da subito, quando ancora su gran parte degli aspetti della vicenda era presente il buio totale, già il territorio diceva no.
Da quel momento è cominciata la battaglia contro le armi chimiche.
Partono tutta una serie di comunicati stampa, ed arrivano le prime posizione dei sindaci, soprattutto del sindaco di San Ferdinando e del sindaco di Gioia Tauro.
Si decide di convocare l’assemblea dei 33 sindaci della piana di Gioia Tauro. Questi 33 sindaci hanno costituito, da tempo, il comitato “Città degli Ulivi”, che si riunisce per le questioni di emergenza che riguardano il territorio.
In questa storia ci sono state in particolare due assemblee dei sindaci, tutte e due in diretta streaming, e tutte e due con massiccia partecipazione di gente.
La prima assemblea si tiene il 20 gennaio. Alcuni sindaci erano su posizioni più “collaborative” verso il governo, ma la maggior parte dei sindaci, anche in virtù della pressione della popolazione presente letteralmente imbufalita, espressero una contrarietà totale che portò tutti i sindaci a confluire su questa posizione. Avendo l’ex Presidente del Consiglio Letta, dopo le prime proteste venute dal territorio, convocato i sindaci di Gioia Tauro e di San Ferdinando, a quello che venne definito un “tavolo tecnico” per discutere della questione, l’assemblea dei sindaci aveva dato mandato a questi due sindaci di esprimere a Letta la totale contrarietà del territorio al transito di queste armi.
I presenti a questo “tavolo tecnico” convocato da Enrico Letta erano, oltre a Letta e ai due sindaci su indicati, il presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti, il presidente dell’Autorità portuale di Gioia Tauro Giovanni Grimaldi, il comandante della Capitaneria di porto di Gioia Tauro, Davide Barbagiovanni Minciullo e l’amministratore delegato di Mct Domenico Bagalà. L’MCT è la società privata che concretamente gestisce il porto. Si tratta di una società tedesca.
Rombolà: tieni presente che da Letta sono andati dei sindaci già rivelatisi poco decisi sulla vicenda rigassificatore dove pubblicamente dicevano di essere contrari al rigassificatore, ma privatamente non hanno assunto una posizione netta a difesa del territorio.
Comunque, tornando alla convocazione di Letta, cosa abbiano fatto effettivamente questi sindaci a Roma non si è capito. Non si è capito se hanno fatto davvero opposizione o si siano limitati a calare la testa. L’unica cosa certa è che, quando sono tornati, non sono riusciti a dare spiegazioni né sulla missione né su altri dati tecnici. Insomma non hanno saputo dire nulla di veramente concreto. Ci è sembrato evidente che Letta abbia fatto loro capire che “l’operazione s’ha da fare” e loro hanno afferrato il messaggio. Non sappiamo se si sia offerto qualcosa in contraccambio.
A quel punto si tiene a Gioia Tauro la seconda assemblea dei sindaci.
-Quando?
Rombolà: Il 23 gennaio i 33 sindaci del comitato “Città degli ulivi” si confrontano su quanto hanno da dire i due sindaci tornati da Roma.
In quella seconda assemblea la popolazione li ha attaccati. E’ stata una assemblea anomala, con molte tensioni. Alla fine, anche questa volta, prevale, almeno dal punto di vista delle dichiarazioni ufficiali, la posizione di totale contrarietà da parte dei sindaci, e si delibera di avviare delle proteste sul territorio organizzando una manifestazione.
Pirrottina: Sì, questa manifestazione si sarebbe dovuta fare a San Ferdinando, proprio all’ingresso del porto, a 50 metri dalla dogana. Sono gli stessi sindaci che dichiarano di impegnarsi per organizzare questa.
Ma prima ancora che venga concretizzata questa manifestazione dei sindaci, viene fatta un’altra manifestazione, organizzata dalle mamme di San Ferdinando il 24 gennaio. Tieni presente che la scuola è attaccata alla zona portuale. Saranno proprio le mamme e i bambini di San Ferdinando i primi a scendere in piazza. A questa manifestazione erano presenti anche Fernanda e le nostre mogli. Nonostante ci sia stato un tentativo di boicottaggio dell’amministrazione comunale che dalla pagina ufficiale di facebook invitava le mamme a non far partecipare i bambini per i rischi alla sicurezza, lo stesso sindaco fu poi presente alla manifestazione. Ogni madre è stata presente alla manifestazione con i propri figli, senza farsi scoraggiare dalle condizioni avverse del tempo. Madri e bambini hanno fatto una catena umana che ha colpito moltissimo a livello di percezione della notizia.
Rombolà: Si tratta della manifestazione che ha avuto più rilevanza dal punto di vista mediatico. Sicuramente ha colpito di più della manifestazione organizzata dai sindaci. Puoi capire che una manifestazione organizzata con mamme e bambini colpisce molto le coscienze. E’ stata una manifestazione senza bandiere politiche. Si possono trovare su internet alcuni video con le interviste fatte alle madri.
A quel punto doveva esserci la manifestazione organizzata dai sindaci. L’idea originaria di fare la manifestazione davanti l’ingresso portuale è naufragata a causa di impedimenti legati alle autorizzazioni ecc. ecc. E quindi i sindaci concordano di fare la manifestazione nella piazza di San Ferdinando. La manifestazione si svolse il l’1 febbraio. Sebbene fossero presenti persone da tutte le parti della Calabria, soprattutto per l’attivarsi di tanti gruppi regionali del cinque stelle, la manifestazione non è stata al livello delle aspettative che avevamo.
Pirrottina: E ora arriviamo alla cosa che più ci ha lasciati di sasso. La posizione del cinque stelle, di gran parte del cinque stelle calabrese, ma non solo, in merito a questa vicenda. A dire il vero già la diretta streaming sull’audizione del 16 maggio una piccola perplessità ce l’aveva lasciata. Nonostante ciò eravamo comunque fiduciosi che presto l’intero movimento cinque stelle si sarebbe schierato compatto contro il trasbordo delle armi chimiche. Il primo a schierarsi nettamente a favore del territorio è Francesco Molinari. Francesco correrà varie volte in nostro aiuto. Il giorno in cui si viene a sapere ufficialmente della scelta di Gioia Tauro e poi in diverse altre occasioni. Essendo lui in commissione antimafia, spesso scendeva a Reggio e durante questi viaggi ci chiamava e ci diceva “avete bisogno di qualcosa?”. E se noi volevamo confrontarci con lui, scendeva dal treno e veniva ad incontrarci. Anche Sebastiano Barbanti ci avrebbe supportato, e fu con noi alla manifestazione del 1 febbraio. Noi però contavamo anche sugli altri parlamentari.
Accade però, a un certo punto, un fatto emblematico.
Il meet up di Polistena, aveva organizzato, per il 19 gennaio, uno di quegli eventi che di solito organizziamo sui territori. L’evento si sarebbe dovuto svolgere nel pomeriggio. Questo incontro era stato organizzato prima che esplodesse la questione armi chimiche. Visto che Polistena è a 20 minuti di macchina da San Ferdinando, concordiamo con il Meet-up di Polistena di comunicare la modifica al programma ai parlamentari e di farli venire la mattina a San Ferdinando, in modo di farli incontrare anche con noi.
Mettiamo avvisi ovunque, scriviamo post su facebook, avvisiamo i giornali. Insomma lo comunichiamo in tutti i modi. Avvisi del tipo “i parlamentari cinque stelle riceveranno la popolazione domenica alle 10,30”. la mattina del 19, intorno alle 10 di mattina, noi siamo già davanti l’ingresso portuale. L’orario era stato scelto proprio in virtù del fatto che a mezzogiorno si sarebbe dovuti tutti essere a Polistena. Noi naturalmente eravamo lì anche prima delle 10. E tra il vento e una leggera pioggia, l’unico che vediamo arrivare è Francesco Molinari. Sebastiano Barbanti ci aveva già comunicato che non sarebbe stato in Calabria per impegni già presi in precedenza. Alle 12 non era ancora arrivato nessuno degli altri. Alle 12,10, dopo due ore di ritardo, rassegnati e, capendo che era inutile aspettare oltre, ci mettiamo in viaggio verso Polistena dove arriviamo alle 12,30.
Quella mattina ad aspettare con noi i parlamentari c’era anche il sindaco di San Ferdinando il quale, verso le 11, ci aveva lasciato per andare a Gioia Tauro.
Quando noi siamo arrivati a Polistena, siamo stati avvisati da un altro attivista che i parlamentari erano a San Ferdinando. In pratica sono arrivati in zona porto poco dopo che ce ne siamo andati.
Si sono fermati a mangiare presso un ristorante vicino casa del sindaco.
Rombolà: Sai la stranezza dove sta? Sta nel fatto che anche se loro non avessero saputo che noi li stavamo aspettando –e questo non era possibile, perché un comunicato ufficiale c’era, e perché era fatto in modo da fargli pervenire l’invito- il modus operandi del cinque stelle prevede che il parlamentare comunichi con l’attivista del territorio. Il parlamentare che arriva a San Ferdinando, soprattutto in un contesto del genere, in una situazione del genere, la prima cosa che fa è chiamare l’attivista cinque stelle. Loro, come si è capito, pur avendo ricevuto l’invito, pur sapendo che li stavamo aspettando non solo non hanno chiamato nessuno dei cinque stelle del territorio, ma si sono incontrati con i sindaci, di un altro partito per giunta.
Pirrottina: I parlamentari sanno che ha San Ferdinando c’è un meet up operativo sul territorio. Loro ci conoscono e hanno i nostri numeri.
Comunque noi, arrivati a Polistena, ci diciamo di non fare quel giorno polemiche su quella vicenda, perché si trattava di una assemblea pubblica,si doveva parlare dei veri problemi del territorio.
In quella sede l’unica ad intervenire sulla questione armi chimiche fu Fernanda.
Rombolà: Io mi ero preparata alcuni dati su tutta questa vicenda. Feci notare ai parlamentari che come erano intervenuti la Bonino e Lupi da ministri era inaccettabile; in quanto partivano con notizie smentibili da subito. Ad esempio era stato detto che il trasbordo sarebbe avvenuto in mare. Mentre subito gli operatori portuali hanno smentito questa dichiarazione, sostenendo come le armi chimiche, il giorno del trasbordo, dovranno essere posate sulla banchina per poi essere caricate sull’altra nave. Altra cosa che veniva detta è che questi “agenti chimici” non erano “armi chimiche”, ma semplici “precursori”, elementi “scomposti” che, presi da soli, non erano pericolosi. Questa cosa l’ha detta anche la Bonino. E invece poi è stato provato, fuor di ogni dubbio, che alcune di quelle sostanze sono armi chimiche a tutti gli effetti. Io feci presente loro le molte ambiguità e contraddizioni della vicenda e li esortai a non prendere una posizione morbida.
-Ti riferisci al comunicato che il sedici gennaio stesso, sottoscrissero i parlamentari cinque stelle della camera?
Rombolà: Sì..
Puoi leggermelo?
Rombolà: Eccolo… “E’ opportuno che i ministri Bonino e Lupi si rechino a Gioia Tauro per incontrare il consiglio comunale della città e riferire alle autorità locali. Un gesto forte di vicinanza delle istituzioni alla comunità gioiese e della costa tirrenica interessata, sarebbe la migliore risposta alle legittime preoccupazioni della popolazione. I ministri si facciano garanti del fatto che la neutralizzazione non avvenga nel mar Mediterraneo. Il direttore generale dell’Opac – prosegue la nota – ha dato oggi rassicurazioni che il trasbordo dalla nave cargo danese Ark Futura alla nave laboratorio della marina militare statunitense Cape Ray avverrà rapidamente e in massima sicurezza. La nostra preoccupazione, che è quella della popolazione di Gioia Tauro, nel cui porto avverranno queste operazioni, è rivolta a chiedere che queste misure di sicurezza siano le più rigide possibili e che si eviti, come ci è stato assicurato, lo stoccaggio di queste armi a terra. Da parte nostra – concludono i deputati del M5s – vigileremo su ogni passaggio, dalle operazioni di sbarco alle operazioni di distruzione per idrolisi fatte in acque internazionali sulla Cape Ray. In particolare chiediamo all’Opac di monitorare costantemente la situazione e di certificare fino all’ultima scoria che lo smaltimento finale non finisca in mano ai trafficanti di rifiuti. Il disarmo chimico della Siria è un fatto molto positivo – prosegue la nota – e va nella direzione da noi auspicata di un Mediterraneo mare di pace in cui siano bandite le armi di stermino di massa. In questa ottica la cooperazione dell’intera comunità internazionale rappresenta un fatto inedito e importante. Saremo una sentinella vigile affinché tutti i procedimenti per il trasbordo vengano svolti secondo la procedura prevista. Il nostro ruolo sarà questo a tutela dei cittadini del territorio che vanno protetti nel modo più sicuro possibile”.
L’audizione era avvenuta il 16 maggio e gli intervenuti erano membri del governo e il rappresentante dell’Opac, tutti soggetti ben interessati a fare apparire positivamente l’operazione trattamento armi chimiche. Non è probabile che il giorno stesso dell’audizione i cinque stelle della Camera abbiano intrapreso e concluso un approfondito lavoro di inchiesta. E invece si nota quasi una fretta ad aderire alle posizioni del governo.
Rombolà: E poi, nello specifico, c’era la nota stampa dei quattro parlamentari calabresi..
-Mi leggi anche questa?
Rombolà: Eccola.. “Vogliamo sapere perché viene sempre scelta la Calabria per certi lavori e non per altri. Al momento occorre frenare il terrore diffuso provocato dalla tardiva e improvvida comunicazione del governo e da dichiarazioni politiche di pancia, anche di nostri colleghi. Si tratta di un’operazione internazionale di pace che riguarda il passaggio in mare da nave a nave di container con gas per uso bellico. Abbiamo sentito degli esperti, che ci hanno spiegato l’assenza di rischi nell’operazione, se adeguatamente condotta e gestita logisticamente. Tuttavia – sottolineano i parlamentari Cinque Stelle – ciò non solleva il governo dal dovere di riferire compiutamente ai sindaci, che sono i responsabili della salute sui territori, e di fornire tutte le informazioni necessarie perché la popolazione comprenda i fatti . La Calabria non può essere utilizzata per il trasbordo di armi chimiche e dimenticata, ad esempio, per lo smaltimento della nave ‘Concordia’, che potrebbe avvenire nel porto di Gioia Tauro, portando lavoro ed economie. Concordiamo sul punto con Renato Bellofiore, sindaco di Gioia Tauro, auspicando che il governo compensi la popolazione calabrese per l’agitazione che sta subendo, magari annullando il progetto del rigassificatore nell’area”.
-Sconcertante. Non credo che i parlamentari abbiano a loro volta fatto approfondite attività di inchiesta per un evento di cui, tra l’altro, lo ripeto, si è venuti a conoscenza il giorno prima. Sarebbe anche interessante capire chi sarebbero questi “esperti” citati nella nota stampa, a meno che non ci si richiama ai soggetti presenti in sede di audizione parlamentare. Un passaggio davvero da “incorniciare” è questo “Vogliamo sapere perché viene sempre scelta la Calabria per certi lavori e non per altri. Al momento occorre frenare il terrore diffuso provocato dalla tardiva e improvvida comunicazione del governo e da dichiarazioni politiche di pancia, anche di nostri colleghi.”
Di fronte a una vicenda di cui non si sa sostanzialmente nulla, se non quelle poche cose dette da soggetti “interessati”; di una vicenda che coinvolge il tuo territorio; di una vicenda che riguarda, comunque la si vuole vedere, armi chimiche… il tuo primo “moto” è quello di “rassicurare” la popolazione? La tua prima certezza è che è tutto ok, quando, lo ripeto, ancora non sai sostanzialmente nulla, non hai approfondito fino in fondo l’idrolisi, non hai visto un piano di emergenza in caso di danni, non hai studiato davvero tutta la “storia” che ha portato a questo passaggio.. non sai se altri (come poi è emerso) si sono rifiutati di far fare il trattamento delle armi chimiche nel loro territorio e perché.. non hai ascoltato nessun scienziato indipendente?
Rombolà: Di fronte ad una vicenda che riguarda il territorio, la prima cosa da fare era accorrere sul territorio. E non fare calare comunicati dall’alto con la promessa di .. vigilare… Che poi, una volta che un danno si verifica, il tuo vigilare serve a ben poco.
Tornando all’incontro di Polistena, il mio intervento si è concluso con questo invito.. ovvero.. visto che non ci sono tutti gli elementi per la sicurezza, a non intervenire con una posizione garantista. A rispondere è stata Dalila Nesci dicendo: “stiamo raccogliendo tutte le informazioni possibili e faremo in modo che tutto avvenga nel modo più sicuro possibile”. Gli altri hanno bene o male fatto capire che in quel momento erano impegnati soprattutto sulla questione banche, ma che c’erano persone che si stavano occupando della vicenda.
Gino: Guarda caso, però, Dalila Nesci, un paio di giorni dopo l’incontro di Polistena va a Pizzo e fa una conferenza sulle armi chimiche. Lei ha poi pubblicato su You Tube un video con lo stesso ritornello del “vigileremo.. controlleremo..”. Questo video ha dovuto rimuoverlo due volte, tanto era bombardato da commenti negativi.
Pirrottina: Comunque, dopo un po’ avviene un altro passaggio importante. Entra più direttamente in gioco Massimo Artini. Massimo Artini è, con Tatiana Basile, uno dei parlamentari cinque stelle presenti in commissione difesa. Sarà a Massimo Artini che, a un certo punto, viene “affidato” lo studio e l’interpretazione della questione. Pochi giorni dopo l’incontro di Polistena, Artini fa delle dichiarazioni, in una intervista su “zoom a cinque stelle” che riprende la solita minestra del “vigileremo, valuteremo” e che, quindi, non rispecchiava affatto la nostra posizione. Era una intervista in diretta streaming e, mentre lui parlava, l’ho bombardato di messaggi dove gli manifestavo la contrarietà del territorio sulla posizione che stava esprimendo e l’invito a rivederla. Comunque, finita l’intervista, dopo due ore ci scambiamo con lui i numeri di telefono. Quando ci si è sentiti al telefono, gli specifico ulteriormente la divergenza totale tra quanto esprimeva lui e quanto esprime il territorio, dicendogli che, se aveva dei dubbi, poteva venire nel territorio e ci saremmo confrontati. Lui dà la sua disponibilità e si rivela di parola. Neanche due giorni e prende l’aereo per arrivare da noi. Arriva di sera, e la mattina dopo va a fare un sopralluogo all’interno del porto. Alle tre del pomeriggio mi chiama per incontrarci; e io lo raggiungo con gli altri del meet up, una quindicina di persone circa. Ci siamo confrontati serenamente. Massimo è una persona molto umana, e molto gradevole. Sarà l’accento toscano, ma non riesci ad andargli contro. Gli ribadiamo, comunque, che abbiamo un’altra posizione. Lui ci diceva che le carte sono a posto, che possiamo stare tranquilli anche se non può dirci tutte le cose perché alcune carte sono coperte da segreto militare, che il porto di Gioia Tauro è una eccellenza, che salirà lui sulla nave a vigilare.
Rombolà: lui si è fatto una visita al porto di una o due orette. Ha detto che è un porto ottimo rispetto ad altri porti che ha visto, come quello di Civitavecchia e di Taranto; tra l’altro un porto pulitissimo. E comunque, con una visita di un’ora o un’ora e mezza non so se davvero puoi capire tutta una questione come questa.
-Anche perché le problematiche connesse a questa vicenda, prescindono in parte anche dalla “qualità” di un porto. Fosse il miglior porto del mondo, alcune di queste problematiche non sono risolvibili dall’esame del porto. Fermo restando le tue perplessità .. su cose quali la certezza sulla validità dell’operazione in quel porto in virtù della visita di un’ora o poco più.
Rombolà: Sì.. ci ha detto che le carte gli sembravano a posto. Ci ha spiegato come sarebbe andato il trasbordo, e che la banchina che sarebbe stata interessata. Ha detto che “le sostanze sono separate”, e che ci saranno i vigili del fuoco a provvedere. Poi avremmo scoperto che i vigili del fuoco si sono allarmati per questa vicenda, dichiarando di non essere affatto adeguati per una operazione di questo genere, e di non avere neanche la maschera antigas omologata.
Pirrottina: Artini, una volta tornato a Roma, fa un comunicato in cui afferma di avere rassicurato gli attivisti“sono andato sul territorio, ho incontrato gli attivisti, li ho tranquillizzati”. Ma io gli ribadisco che non siamo più tranquilli.E io di nuovo a bombardarlo di messaggi per dirgli “Non è così.. non siamo affatto più tranquilli di prima”.
A quel punto il collaboratore di un parlamentare calabrese, tra quelli mancati all’appuntamento, comincia a contattarmi con insistenza per farci cambiare posizione, per convincerci che ci stavamo allarmando inutilmente, sottintendendo che fosse l’ignoranza sull’argomento a guidarci, e questa insistenza durata giorni fu a tratti arrogante, autoritaria. E Comincia a quel punto una seconda fase “allucinante”, dove il parlamentare Morra cerca di avviare il “recupero” del territorio. E manda alla carica il suo assistente, a cui si sono aggiunte altre due persone. Queste persone iniziano un bombardamento di telefonate. “Bombardamento” non è una parola esagerata. Hanno fatto un pressing che è durato giornate intere. Ci ripetevano costantemente cose come “Vi state sbagliando.. non siete informati.. voi non avete niente in mano.. voi non capite. Siete ignoranti..”.
-“Siete ignoranti”? Un linguaggio di questo tipo?
Rombolà: Sì.. Avevano un approccio arrogante e presuntuoso, autoritario.
Hanno talmente superato il segno che a un certo punto a uno di loro ho detto “ma sto parlando con un troglodita o con gente che si vuole confrontare?”.
Pirrottina: Mi contattò il parlamentare Morra, al quale dico che quella che loro sostenevano non era la posizione del territorio. Lui ci dice che si sarebbe organizzato per venire sul territorio e confrontarsi con noi. Dopo tre, quattro giorni, tramite un nostro amico ci manda un messaggio. In questo messaggio diceva che visto che in una data prossima ci sarebbe stato un evento del movimento a Gioiosa Ionica alla quale lui avrebbe partecipato, avremmo potuto incontrarci allo svincolo dell’autostrada… Non abbiamo avuto una bella percezione di questo messaggio. Gli facciamo sapere che una questione così importante non può essere trattata con superficialità, in poco tempo, per strada, che avremmo preferito che lui venisse in paese, quando fosse stato libero da impegni, confermandogli comunque la nostra posizione nettamente contraria. Non lo sentimmo più. In seguito qualcuno ci tacciò di aver rifiutato un incontro con un parlamentare.
Pirrottina: Col passare dei giorni tramite web riceviamo tanti messaggi da persone che ci esprimono appoggio, solidarietà, vicinanza. E che ci danno anche un aiuto concreto, come Marco Valiani di Livorno che ci ha spronati a comporre un documento sulla questione di cui lui tra l’altro ci forni la bozza già firmata da alcuni meet-up toscani. Ma abbiamo subito voluto che questo documento non venisse visto come una cosa di San Ferdinando, perché si tratta di una battaglia di tutta la Calabria. Una volta preparato il documento, lo mettiamo nella nostra bacheca Facebook, dando a tutti la possibilità di intervenire per proporre e attuare miglioramenti. Una volta che si addiviene al documento definitivo lo mandiamo più o meno ovunque. Ci siamo impegnati a ricercare i vari meet-up della Calabria, dato che non esiste un elenco ufficiale dei meet-up a cui prontamente ricorrere. Una volta trovati, mandiamo a loro questo documento, e lo mandiamo anche a qualche altro meet up fuori Calabria. In totale sono 43 i meet-up a sottoscriverlo, di cui 27 sono calabresi; il che vuol dire che il documento è stato sottoscritto da più del 50% dei meet-up calabresi. Uno dei dati più significativi è che tutte le maggiori città calabresi hanno dato l’adesione a questo documento. Unica eccezione Catanzaro, dove il meet-up storico non dà l’adesione, mentre il meet up sorto successivamente, “Non solo Catanzaro”, la dà.
-Quindi si può sostenere che, a conti fatti, la maggioranza dei meet-up calabresi non condivide la posizione del “vigileremo.. valuteremo..” di Artini e dei quattro parlamentari calabresi prima detti, ma è per una contrarietà senza se e senza ma al trasbordo?
Pirrottina: Esattamente. Successivamente il documento va nelle mani di Artini, il quale ci fa avere le sue obiezioni,contro risposte. Non le gira, però, direttamente a noi, ma ad un attivistadicatanzaro che le inserisce su internet. Noi comunque abbiamo inviato il nostro documento a tutti i parlamentari cinque stelle di Camera e Senato. Il loro approccio è stato deludente. Hanno quasi tutti demandato ad “Artini”, dicendoci che era lui che si stava occupando della questione, di parlare con lui, ecc. E comunque l’assemblea congiunta dei parlamentari non si è mai riunita.
Rombolà: Alfredo, fa davvero pensare che su una cosa così importante non vi sia stata l’assemblea. Pensa che loro si riuniscono in assemblea congiunta ufficiale tutti i lunedì, per discutere sugli argomenti più importanti della settimana sui quali eventualmente votare. Eppure su un argomento così importante, non c’è ancora stata una assemblea.
Pirrottina: Da quel momento in poi non ci sono state particolari novità. Abbiamo incontrato Massimo Artini a Catanzaro, quando è sceso nell’ambito del “Non ci fermate tour” insieme ad altri dodici parlamentari cinque stelle. Sempre la stessa disponibilità all’ascolto da parte sua. Sempre la stessa distanza nel merito rispetto a ciò che noi affermiamo.
Gino: E io mi chiedo quello che si chiedono tutti. Se 33 sindaci del territorio interessato dicono no, se la maggioranza dei MeetUp calabresi dice no, perché su sei parlamentari cinque stelle calabresi, quattro ignorano il territorio si schierano a favore,e due no? Perché non si incontrano con noi, ma vanno dal sindaco del PD? .
Domenico Pugliese: “Al di la delle vicende politiche, ritengo che una parte di popolazione non reagisca o sia tranquilla perché disinformata. La vicenda dovrebbe sdegnare anche le regioni limitrofe. Premesso che l’unico vantaggio di tale operazione, per noi abitanti di San Ferdinando e della Piana a detta dell’opuscolo informativo fornito dallo stato, è la visibilità internazionale, il rischio seppur minimo che accada qualcosa sarebbe catastrofico nelle conseguenze, qui ci sarebbero vari modi per intervenire dando visibilità e lavoro, come investire nel turismo, ed invece si pensa ad inceneritori, porto, rigassificatore e nave chimica, quando qui c’è tanta gente senza lavoro e tanta gente che muore di tumore, sarebbe un modo per risollevare il morale a noi che ci sentiamo abbandonati e ricordati solo per cose negative. Proprio questi giorni c’è un lungo sciame sismico. Ho provato a sensibilizzare alcuni programmi nazionali di tv, ed alcuni personaggi famosi, tramite mail ma invano. Il fatto che in questi giorni cercano di calmarci promettendoci la ZES in zona e la nave Concordia, vuol dire che vogliono tenerci buoni con false promesse. Siamo poco aiutati a livello europeo quando ci sono sbarchi clandestini, ed invece dobbiamo essere le vittime di forti giochi di potere internazionali.”
Francesco Condina è un attivista che lavora proprio nell’ambito del porto di Gioia Tauro. Ha con sé tutto un fascicolo con atti e documenti. Gli chiedo di dirmi le sue riflessioni sulla vicenda.
“Vorrei partire ricordando le rassicurazioni propinatici dal governo in risposta alla nostra protesta e alle nostre paure riguardo il trasbordo delle armi chimiche nel porto di Gioia Tauro:il governo dice che non si tratta di armi chimiche ma di prodotti chimici, dice che sono sostanze che transitano normalmente a Gioia Tauro anche da diversi anni e quindi non ci dobbiamo ne preoccupare ne lamentare. Il sindaco di San Ferdinando rispose lanciando una provocazione dicendo “chiudiamo il porto, il ministro Lupi ribatté “allora lo chiuderemo tutto l’anno”. Un ennesimo schiaffo per un terra martoriata costretta a subire ricatti e offese.
Ma se davvero è così perché oggi viene data tutta questa attenzione ad un’operazione che sembra essere di normale amministrazione per il nostro porto? mobilitando sei o più navi da guerra armate fino ai denti, sommergibili, militari delle forze internazionali, vigili del fuoco, personale civile, ambulanze cinesi, e quant’altro. Forse perché NON E’ UNA NORMALE OPERAZIONE e lo stato lo sa esponendo però il nostro territorio senza preoccuparsi delle conseguenze che una tale operazione potrebbe comportare.
L’aver scelto questa nave, costruita 37 anni fa e con uno scafo soltanto, a me sembra una scelta presa un po’ alla leggera, dettata dall’emergenza scattata dopo i fatti di Damasco dell’agosto scorso, e questo possiamo capirlo, ma anche, è questo non è accettabile, dal fattore economico. Forse è stato più economico trasformare in laboratorio galleggiante la Cape Ray, munendola di due reattori al titanio e di un sistema dislocato in tre piani. Ma francamente a noi non interessa il loro risparmio; a noi sta a cuore la sicurezza nostra e del nostro territorio. Perciò ci chiediamo: non sarebbe stato più sicuro attrezzare una nave diversa, di ultima generazione, più sicura, più robusta, più giovane,magari a doppio scafo con paratie rinforzate!? Volevate risparmiare? bastava mandarla direttamente in Siria a prendere questi prodotti, evitando trasbordi superflui, visto che dovrebbe fare solo questa operazione… riducendo anche il rischio di incidenti. Invece viene inviata l’Ark Futura, che può rimanere tanti mesi ormeggiata a Latakia, senza problemi mentre invece dicono che inviando direttamente il Cape Ray a caricare, sarebbe stato pericoloso! Mi chiedo ancora il perché caricare sul Cape Ray risulta essere pericoloso e invece tenersi 4-5 mesi una nave carica di queste armi, l’Ark Futura li, non è pericoloso!?! Qual è la differenza?
Ma questo lasciatemelo dire, fa parte del destino di noi italiani, un destino da alleato a cui dare ordini e che serve a far raggiungere gli scopi degli altri, rimettendoci anche grossi contributi, oltre a un dispiegamento di forze militari e civili, infrastrutture portuali, rischi ecologici. A noi solo il lavoro sporco e il trattamento delle sostanze più pericolose, sembra essere il destino del sud, visto le molteplici cose negative attribuitegli.
Ci si ricorda della Calabra solo quando c’è da depredare qualcosa.
Io penso per esempio a quante famiglie siriane avremo potuto aiutare con i soldi che ha messo a disposizione l’Italia assieme agli altri stati che proclamano la missione umanitaria, inviando aiuti direttamente li sul posto, cercando soluzioni per loro stessi aiutandoli veramente a risolvere i loro problemi.
Adesso vorrei soffermarmi sulla definizione di “sostanze chimiche” usate dal governo nel descrivere l’operazione, citando la trascrizione dell’audizione alla Commissione Difesa della Camera del sedici gennaio, alla quale avevano partecipato con Lupi, ministro delle infrastrutture; Emma Bonino, ex ministro degli affari esteri, e Uzumcu, direttore generale dell’Opac. In un passaggio del suo intervento Uzumcudice“Queste sostanze chimiche sono state divise in due categorie, quelle di priorità 1, che includono l’agente mostarda e precursori chimici immediati, e sostanze di priorità 2, che riguardano materie prime chimiche meno preoccupanti. I precursori chimici devono essere combinati con altri precursori per produrre agenti nervini letali,come il sarin, che possono essere poi utilizzati per riempire le munizioni. Questo si fa generalmente poco prima dell’uso”.
-In pratica lo stesso Uzumcu ha riconosciuto, fin dall’inizio, che perlomeno siamo in presenza del gas mostarda (iprite) tra gli agenti chimici interessati, ovvero di un’arma chimica a tutti gli effetti, oltre a “precursori” che debbano essere combinati per produrre agenti letali e viene considerato molto probabile, che ci siano altre “armi chimiche” a tutti gli effetti, oltre il gas mostarda.
Condina: Le merci pericolose nei porti sono controllate dalla capitaneria e dai consulenti chimici del porto, che verificano, secondo le normative nazionali, comunitarie ed internazionali vigenti, la classificazione delle merci pericolose da imbarcare, sbarcare, trasbordare ed in transito. Queste merci sono divise in nove classi. A Gioia Tauro non risulterebbero mai transitate le merci di classe 1, 6.2 e 7 che sono vietate. Nella classe prima troviamo gli esplosivi, sia gassosi che liquidi, nella classe 7 materie radioattive e nella 6.2 prodotti chimici infettanti. Quest’ultima è quella che più si avvicina ai prodotti chimici di classe 6.1 che sono tossici, con la differenza che i 6.2 contengono materiali biologici, virus di tutti i tipi ed è per questo che sono pericolosissimi e vietati dalla legge. Nel momento in cui ci dovessimo trovare questa sostanza,magari non dichiarata ma presente a bordo, come affronteranno la situazione gli addetti al controllo e verifica sulla classificazione delle merci arrivate a Gioia Tauro? Il rischio sarà altissimo, e l‘idrolisi risulterà più lunga è complicata, sempre se ci siano le condizioni per poterle neutralizzare magari non riuscendo a debellare i virus contenuti, non voglio neanche immaginare.
-Fai una breve descrizione del gas mostarda o iprite e del VX:
Condina: L’iprite è una sostanza che penetra in profondità nello spessore della cute. Dopo che gli strati superiori, ancora sani, sono andati incontro al fisiologico ricambio, si presentano sulla superficie cutanea le cellule colpite e non proliferanti, cosicché si aprono devastanti piaghe. Concentrazioni di 0,15 mg d’iprite per litro d’aria risultano letali in circa dieci minuti; concentrazioni minori producono le gravi lesioni di cui si è detto, dolorose e di difficile guarigione. La sua azione è lenta (da quattro ad otto ore) e subdola; perché nel momento del contatto non si avverte dolore.
A temperatura ambiente è liquida, ma come arma viene utilizzata sotto forma di vapore, deve essere riscaldata. E’ un’arma della prima guerra mondiale. Il nome “gas mostarda” veniva usato per via del suo odore simile alla senape. Per affrontare queste operazioni ci vogliono reparti specializzati, preparati a qualsiasi evenienza o incidente, addetti addestrati al contatto con prodotti NBCR.
Il VX è unagente nervino di ultima generazione. La dose letale percutanea per un uomo di 70kg corrisponde a 10 mg di VX.L’esposizione può risultare fatale nel giro di alcuni minuti. L’esposizione può avvenire per inalazione, ingestione (poco comune), contatto con la pelle o contatto con gli occhi.È stato classificato dalla Nazioni Unite come arma di distruzione di massa e la sua produzione e approvvigionamento è stata posta al bando con la convenzione sulle armi chimiche del 1993.
Intanto sopraggiunge Pino Romeo, urbanista, esperto di pianificazione del territorio e coordinatore del Tavolo Tecnico Ambientale della piana di Gioia Tauro. Anche lui si è occupato di questa vicenda fin dalla prima ora.
Romeo: La piana di Gioia Tauro è una sorta di coacervo di infrastrutture dannose, tutte riunite nel giro di pochi chilometri. Abbiamo l’unico inceneritore della Calabria, in avanzata fase di raddoppio. Abbiamo una centrale a turbo gas a pochi km. Abbiamo un elettrodotto che collega Rizziconi fino a .. , abbiamo un megadepuratore che riunisce 20-30 comuni, avremo fra non molto il più grande rigassificatore d’Europa che verrà sistemato su quattro faglie sismo genetiche attive. E da una di queste è nato il terremoto del 1783 che ha distrutto mezza Calabria.
Da quando è finita la manifestazione pubblica a San Ferdinando, non è successo più nulla. Io avevo proposto pubblicamente di opporre il “principio di precauzione”, che dava la possibilità ai sindaci, quali primi cittadini, visto che sono i garanti della salute del territorio stesso. E’ un atto politico che deriva da una raccomandazione dell’unione europea. Il Sindaco si può opporre a qualunque situazione lui ritenga non opportuna dal punto di vista del rischio. “Io non mi fido di quello che mi dici e per il momento blocco tutto”.
San Ferdinando e Gioia Tauro sono i territori che rientrano nell’ambito del Porto. Però tecnicamente il porto di Gioia Tauro fa parte dell’autorità portuale.
-Giuridicamente, i sindaci possono fare chiudere il porto?
Romeo: Non lo possono fare chiudere. Quella del sindaco di San Ferdinando è stata una boutade. Nella realtà è l’autorità portuale che ha giurisdizione sui porti. Il mio voleva essere un grimaldello tecnico per potere quantomeno provare a mettere i bastoni tra le ruote. Nulla di tutto ciò è stato fatto. Poi uscì fuori che la prefettura aveva raccomandato ai sindaci “un contegno istituzionale”. Tanto è vero che a questa manifestazione conclusiva non è venuto nessuno. I sindaci sul palco non si sono portati dietro la popolazione. Questo vuol dire che non gliene frega assolutamente nulla. Io mi ero messo in contatto con uno dei rappresentanti di Democritos, l’equivalente greco del nostro CNR. La faccenda dell’idrolisi in mare aperto e dei suoi grandi pericoli, l’ho fatta presente per la prima volta io in Italia, e poi l’ha ripresa Stefano Messinese sul Manifesto con il primo articolo che straccia il velo su questa parte decisiva della questione.
-Per chi dava un qualche credito alla verità ufficiale, dichiarazioni come quelle dei rappresentanti del Democritos sono sconvolgenti.
Romeo: Eppure, al di là di una certa diffusione iniziale della notizia, non è stato dato peso a ciò che è stato detto dal Democritos.. Come se dicessero cazzate. Come se fossero dei poveri mentecatti. Te ne dico un’altra.
-La Bonino, Lupi, chi ha “sdrammatizzato” in merito alla pericolosità della questione ha anche detto che vi sarà “personale specializzato” che..
Romeo: Ma quale personale specializzato? Le persone che dovrebbero essere il baluardo del territorio, in queste operazioni, a livello di baluardo, per la sicurezza, sono l personale specializzato in questi casi sono i vigili del fuoco del nucleo NBCR (Nucleare, Batteriologico, Chimico, Radioattivo).
Antonio Jiritano, responsabile del sindacato dei vigili del fuoco USB – Unione Sindacale di Base- ha denunciato, in merito alle operazioni di trasbordo a Gioia Tauro, che i nuclei NBCR di Catanzaro e Reggio Calabria deputati alla sicurezza non erano pronti, sotto nessun aspetto, che le tute protettive erano scadute, che la strumentazione per la decontaminazione era in stato di abbandono, che non c’era nessun piano con le Asl per un intervento di emergenza. Jiritano nel corso di una trasmissione televisiva, mostrò delle foto fatte presso il deposito di Catanzaro, da dove emerge la presenza di questo tipo di materiale scaduto e abbandonato.
Due sue frasi mi sono rimaste particolarmente impresse. Quando ha detto: “Ci stanno mandando al massacro per fare bella figura a livello internazionale”. E quando ha detto: “Non vogliamo morire come i canarini nelle miniere di carbone”. Col riferimento ai canarini, Jiritano si è richiamato a quanto accadeva nelle miniere di carbone in Gran Bretagna, dove i canarini venivano portati in galleria dai minatori per segnalare le fughe di grisù, terribile gas esplosivo. Quando il canarino smetteva di cantare e barcollava, loro lasciavano la miniera”.
Jiritano e alcuni dei vigili del fuoco NBCR che hanno manifestato pubblicamente queste preoccupazioni, sono stati esautorati.
Devi sapere che quando anno fatto le prove i responsabili che saranno adibiti alle operazioni fisiche all’interno del porto (non si tratta dei vigili del fuoco questa volta) , con soggetti cono sono stati promossi a capi reparto all’uopo (soggetti che prima non lo erano, improvvisamente sono diventati capi reparto), hanno fatto la prova di sollevamento dei container. Immagina che i container vengono presi, sollevati a sette, otto metri di altezza, ecc. Bene, durante queste prove uno dei container è caduto. Sono stati convocati direttamente in prefettura. Te lo dico io, siamo nelle mani di perecottari.
-Fin dall’inizio è stato assicurato che le operazioni di trasbordo sarebbero state effettuate in mare, non in terra.
Romeo: Un’ altra menzogna; che viene smentita da molti esperti. Al riguardo, mi sono consultato anche con un noto ingegnere dei trasporti, Domenico Gattuso: per fare il trasbordo si dovrebbero mettere prua contro prua e formare una sorta di anello ad U sulla banchina, per cui i container scendono dalla nave, si piazzano su questa sorta di tapis roulant e quindi entrare nella stiva della Cape Ray.
Il trasbordo – al contrario di ciò che affermò l’ex presidente della regione Calabria Scopelliti – deve necessariamente essere fatto sulla terraferma.
Nel 2012 e 2013, dunque, i container , con materiale “analogo”, che sono stati movimentati a Gioia Tauro sono stati 3.000, per un totale di 60.000 tonnellate. -Un’altra delle cose che l’ex ministro Lupi –e con lui tanti altri- ha sostenuto è che materiale “analogo” è già passato dal porto di Gioia Tauro.
Romeo: Lupi è stato bravo a suo tempo ad annacquare il vino con l’acqua, dicendo che materiale di questo tipo è già transitato dal porto di Gioia Tauro.
Ma vanno considerate alcune cose in merito a ciò che dice. Se consideriamo solo le tonnellate di materiale “analogo” transitate nel 2013, siamo a 29000 tonnellate. Possiamo già dire che se si fa una media per giorno di questa cifra, escono 80 tonnellate al giorno. Mentre qui si parla di circa 600 tonnellate per una operazione che dovrebbe arrivare massimo alle 48 ore. Con un trasbordo, quindi, di 300 tonnellate in una giornata, se non di più.
Inoltre, di queste 30000 tonnellate di sostanze di questo tipo, quelle trasbordate da nave a nave a Gioia Tauro sono state 817 per l’intero 2013. Insomma, in massimo due giorni, il porto di Gioia Tauro dovrebbe smaltire il 75% dei prodotti analoghi movimentati nel corso di un anno.
Lupi e altri, anche nello stesso cinque stelle, si sono arrampicati su tutti gli specchi per fare passare questa operazione come una “operazione di routine”. Ma se si tratta di routine, che passa tutti i giorni, come mai si prevedono centinaia di militari di appoggio, zona rossa, navi da guerra di supporto che devono accompagnare le navi coinvolte nell’operazione ?
-Tutto un ambaradan davvero singolare per una “operazione di routine”…
Romeo: Già.. che poi il problema più drammatico è un altro.
-L’idrolisi nel mare di Creta…
Romeo: Esatto. E l’idrolisi in mare aperto non è mai stata tentata. Il metodo che si utilizza regolarmente per distruggere sostanze di questo genere è la combustione. E le volte in cui è stata attuata l’idrolisi, lo si è fatto sulla terraferma. Quindi, quando tu vai a fare quello che hanno predisposto in questo caso, non sai a cosa vai incontro. Inoltre la Cape Ray è una nave vecchia; anno di fabbricazione 1977. E’ un catorcio riadattato che va a fare questa operazione non nell’Oceano, ma nel Mediterraneo che è noto per essere un mare chiuso, ma nella realtà come ci diceva Flavia da Creta, lì il vento soffia forte, a oltre 5 nodi. Loro dicono che se il vento dovesse soffiare a più di tre nodi sospendono le operazioni. Teoricamente, quindi, le operazioni non le potrebbero proprio fare, oppure devono portare la nave – con le operazioni in corso, e sottolineo in corso, nel primo porto utile. Qui dovremo ringraziare Dio se non succederà nulla.
-Che poi in tutta questa vicenda ci si muove sapendo che alcuni tasselli ci mancano..
Romeo: Infatti. Molti aspetti della questione non vengono raccontati. Noi non sappiamo tutto. C’è la volontà di lasciare questo alone di mistero, per cui tu non sai neanche come preparare la popolazione, non esiste un piano di evacuazione, al di là di un depliant idiota con inrere frasi ripetute da una parte all’altra. Non esiste un piano di evacuazione. Non esiste nulla di nulla. Ora ti faccio ridere.. Tu sai che ogni nazione che partecipa a questa operazione “smaltimento armi chimiche” mette qualcosa. Una nazione mette degli idrovolanti. Una nazione mette delle fregate. Anche la Cina vi partecipa, e indovina cosa mette la Cina? La Cina mette dieci ambulanze. Ora tu mi devi spiegare se siamo a Zelig o scherzi a parte. Qualora ci fosse davvero un incidente.. queste ambulanze dove vanno? Verso quale centro in grado di supplire eventuali problemi che derivano non dal Sarin attenzione, che col Sarin in pochi minuti sei morto, ma dall’iprite almeno? Ma non esiste, nella zona limitrofa al porto di Gioia Tauro, nessuna struttura attrezzata per casi del genere.. Il generale Termentini che è in contatto col meet-up di San Ferdinando, ha chiesto “sono già previste le dosi di atropina nel caso di insorgenza di problemi con l’iprite?” Ma non esiste risposta a tutto questo. L’unico messaggio che deve passare è che queste navi devono arrivare qui, devono fare l’operazione e se ne devono andare. E nessuno deve rompere i coglioni. Punto. Stop. La vicenda si chiude qui.
-Mi ha colpito la dichiarazione che alcuni, Di Battista compreso, hanno fatto e che suona grossomodo così “ma insomma volete la guerra?”. Sembra una banalizzazione estrema, come se si trattasse di un fumetto. E quindi o accetti supinamente tutti i termini di questa questione.. o sei uno che vuole la guerra.
Questo è un vero oltraggio. Io ho fatto anche dei pezzi su Gazzetta del Sud a questo proposito. Alla fine che cosa esce fuori? Che noi siamo quelli brutti, sporchi e cattivi che non vogliono la pace nel mondo. E la stessa Bonino ha detto “eh ma queste cose si devono fare.. se no siamo contro la storia..”. Nella realtà non è così.
-E’ una banalizzazione sciocca… che qualunque persona in sana fede capirebbe. Se anche tutti gli attori di questa vicenda fossero in buona fede –cosa niente affatto scontata- una operazione così complicata non andrebbe mai affrontata con posizioni di quel tipo; perché vorrebbe dire presumere che tu sai tutto… tu di fronte ad una ambiguità dove sai che i governi mentono sempre per natura, con che facoltà puoi dire queste cose? Se il rischio è tale che se si verifica provoca un danno di incalcolabili proporzioni, quel rischio vale di più del fatto che è improbabile. Fosse anche un rischio del 5%, è talmente enorme, che non puoi correrlo.
Romeo: Sarebbe già un po’ meno peggio se venissero prese delle precauzioni vere e proprie.
A un muratore si dice di mettersi la cintura di sicurezza, di mettere il casco, l’elmetto, di prendere le precauzioni adeguate. Qui invece si fa senza cintura di sicurezza, senza elmetto, con le passerelle inadeguate
Ma qui non si è fatto nulla di tutto questo. E quando tu Prefettura di Reggio Calabria ti lavi la coscienza inviando un volantino con quattro informazioni facili facili, vuol dire che ti sei semplicemente messa a posto la coscienza.
-Che poi, se il danno sarà eclatante, non se ne potrà non parlarne. Ma credo che, se il danno è piccolo, se la perdita è piccola, pur volendo dire questo comunque una grave contaminazione, non credo si affretterebbero a comunicarlo a tutti.
Romeo: Non lo comunicheranno mai. Ecco perché ci vuole una sorveglianza ai massimi livelli da parte delle popolazioni prossime a quel mare. Io li ho visti molto combattivi. Ma tutti dovremmo intervenire, sorvegliare, agire.
Prima di andarmene, gli attivisti di San Ferdinando sottolineano ancora una volta loro delusione per la scollatura che, in merito a questa vicenda, si è creata tra rappresentanti del Movimento 5 Stelle (o parte di essi) e il territorio.
Pirrottina: I principi del movimento li conosciamo tutti. Questi principi dicono al parlamentare “devi essere il portavoce del territorio”. In questo caso il territorio siamo noi. E non solo “noi” San Ferdinando; ma “noi” tutta la Piana, sindaci compresi. “Noi” la maggior parte dei meet-up calabresi.
E allora “voi” portavoce, avete il dovere di recepire la voce del territorio.
Rombolà: Da una cosa che doveva essere scontata per il movimento e per tutti i calabresi siamo finiti all’interno di una cosa che non ha davvero alcun senso. Perché tutto questo?
E’ una cosa che non ci spieghiamo nemmeno noi.
C’è qualcosa di misterioso in tutta questa storia, davvero di inspiegabile. Quando mai il cinque stelle è stato così morbido, così accondiscendente verso il governo?
Pirrottina: “Noi non ci fermeremo. Andiamo avanti fino alla fine. Su questo non ci sono dubbi”.
Successivamente a questo incontro, gli attivisti di San Ferdinando non sono stati con le mani in mano. Hanno organizzato -con la collaborazione di Luigi Quintavalle e del canale you tube di Orso Bianco- due live sulla questione armi chimiche; . Hanno scritto una lettera-appello rivolta a ogni persona (per leggerla vai al link http://armichimiche.wordpress.com/2014/05/12/lettera-da-san-ferdinando-contro-le-armi-chimiche-nel-mediterraneo/). Hanno organizzato un notevolissimo convegno che si è tenuto, l’11 maggio, a San Ferdinando.
Ciò che io ho avuto subito chiaro, vedendo queste persone, quel sabato cinque aprile, è che, comunque vada, se saranno soli o se riceveranno il sostegno che finora non hanno avuto, se le comunità locali li seguiranno o se continueranno a sonnecchiare.. comunque.. vada.. loro non molleranno la presa.