Il diario di Aldo Alessio* 7° parte: Demolire è meglio che costruire

 

La Costa Concordia, una tra le più belle e lussuose navi da crociera esistenti al mondo oggi è diventata semplicemente un “rifiuto” da smaltire e come tale va trattato e considerato.

Precedentemente abbiamo evidenziato che il solo fatto di utilizzo della nave-bacino “Vanguard”, il cui contratto è stato firmato dalla Costa Crociere con l’olandese Dockwise per un importo di 30 milioni di dollari, implicava la volontà da parte dell’armatore di demolire la Concordia all’estero.

Nei giorni scorsi è stato il capo della protezione Civile Franco Gabrielli, in audizione alla Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, a comunicare la soluzione della Turchia. Quindi, per lo smantellamento del relitto, ci sono due soluzioni: una italiana e l’altra turca. Le offerte pervenute alla Costa Crociere sono state complessivamente tredici; quattro porti sono italiani: Civitavecchia, Genova, Piombino e Palermo. Le altre provengono dalla Turchia, Gran Bretagna e Norvegia. Da evidenziare che la richiesta più bassa è stata quella della Norvegia, ma, che non è sostenibile per la grande distanza e i lunghi tempi di percorrenza. La Turchia ha presentato un’offerta di 40 milioni di euro, dimezzata rispetto agli 80 milioni di euro chiesti da Genova e Piombino. Invece Civitavecchia ha presentato una proposta di 200 milioni di euro, quindi, esorbitante e completamente fuori mercato. Palermo si è ritirato. Da sottolineare che Piombino non è ancora pronto perché non ha un bacino adeguato per ricevere il relitto e non è ancora attrezzato per questo tipo di operazioni, mentre Genova, per problemi di fondali, deve eseguire il lavoro in due tempi: il primo che prevede l’attracco nella banchina nel molo foraneo perché il relitto pescherà inizialmente 18 metri, il secondo in bacino dopo essere stato alleggerito e portato ad un pescaggio di 10 metri.

 

 

La Calabria sta a guardare

A Gioia Tauro, negli anni ‘80 fa abbiamo fatto, con il sindacato, le battaglie per la costruzione dei bacini di carenaggio e per l’insediamento di imprese, come la Smeb di Messina, specializzate nel settore della manutenzione e riparazione navale, ma nonostante quegli scioperi sostenuti dai lavoratori del porto, quelle battaglie e quelle lotte che abbiamo condotto, siamo stati sconfitti proprio da quella stessa “classe politica” che almeno a parole sosteneva la “polifunzionalità” del porto di Gioia Tauro. Ecco perché oggi non è possibile candidare Gioia Tauro per la demolizione della Concordia, perché non è attrezzato per questi lavori, non ha le infrastrutture necessarie, non ha le imprese competitive nel settore della demolizione delle navi, non abbiamo nessuna storia nel settore della demolizione e smaltimento delle navi.

Per il porto di Gioia Tauro, mi domando, chi avrebbe dovuto presentare l’offerta? Forse il Sindaco, oppure quegli stessi europarlamentari del centro destra che con la loro proposta hanno solo dimostrato di non conoscere il territorio che dicono di voler rappresentare? Le offerte italiane, che raddoppiano rispetto a quella turca, hanno una loro giustificazione dovuta soprattutto al fatto che i nostri porti sono specializzati nella costruzione navale, ma non nella demolizione che prevede impianti, strutture ed una organizzazione diversa dalla costruzione ed anche perché non sono ancora, attrezzati per lo smaltimento di questo tipo di rifiuti. Il relitto della Concordia essendo oggi esclusivamente un rifiuto da smaltire, va trattato e considerato come tale e questo implica una maggiore offerta. Se a ciò aggiungiamo il costo del lavoro italiano che è maggiore di quello turco e non solo per il “cuneo fiscale”, i diritti acquisiti dai lavoratori e una migliore qualità della vita dei nostri lavoratori, allora è spiegabile il perché abbiamo costi maggiori rispetto a quelli turchi.

Qualche anno addietro ho portato una nave in Turchia, nei cantieri di Tuzla, per lavori di riparazione e manutenzione, e, personalmente, ho avuto modo di conoscere l’organizzazione esistente nei cantieri turchi, specializzatisi nella manutenzione e riparazione navale, nonché nella demolizione delle navi. La Turchia negli ultimi 40 anni ha investito molto in questo settore, mentre in Italia smantellavamo la flotta e la cantieristica pubblica, privandoci anche delle elevate professionalità acquisite nel settore. Nell’intera regione della Marmara, in particolare nella baia di Izmit, ci sono numerosi porti, e in particolare quelli di Tuzla, Yalova e Izmit, che svolgono queste attività a pieno ritmo. Bisogna aggiungere che in Turchia le problematiche ambientali non sono particolarmente sentite come in Italia e, quindi, noncuranti dell’ambiente, riescono a contenere di più i loro costi rispetto a quelli di un paese più evoluto e ambientalista. Da un trentennio gli armatori italiani si servono di questi porti ed anche la Marina Militare Italiana da oltre 25 anni demolisce le nostre navi militari in Turchia. Allora perché meravigliarsi, o scandalizzarsi, se il relitto dovesse andare proprio in Turchia?

 

 

Quando il nazionalismo è infondato

Giova ricordare che la demolizione è a carico della Costa Crociere, cioè di un soggetto privato, e che sino ad oggi ha speso oltre un miliardo di euro per il recupero del relitto. Non esiste una ipotesi pubblica per la demolizione, perché non prevista e comunque non sostenibile economicamente. Certamente anch’io avrei preferito che, dopo la tragedia avvenuta nel nostro mare, con vittime e danni ambientali, ci fossero opportunità economiche per l’Italia, e in particolare ricordo che dobbiamo trovare un corpo e che potrebbe essere ancora dentro le viscere del relitto.

Sappiamo che in Europa il paese meglio attrezzato per la demolizione delle navi è la Norvegia. Ma, qual è stata la “politica marinara” dei nostri governi negli ultimi 40 anni? Perché solo oggi ci ricordiamo di questo settore? I nostri governanti devono solo prendere atto che noi continuiamo a smantellare quel poco che ci è rimasto della cantieristica, mentre una volta, ai tempi della costruzione della Michelangelo e della Raffaello, eravamo i migliori nel mondo. E’ chiaro che tutto ciò che noi abbiamo abbandonato nel passato viene recuperato dagli altri paesi. Allora, dov’è lo scandalo? Deve essere chiaro però che la scelta che si farà dovrà prevedere i rischi e le problematiche legati ad entrambe le soluzioni, perché quella turca prevede l’utilizzo della nave-bacino “Vanguard”, mentre quella italiana del traino e cioè del rimorchio. Non solo, ma dovremmo, altresì, pretendere che la demolizione avvenga sia nel rispetto dell’ambiente che dei diritti dei lavoratori.

Su questo problema personalmente ritengo che, quanto prima, si dovrebbe aprire una discussione planetaria sul concetto di “globalizzazione” e di “libero mercato”. Una globalizzazione senza regole non aiuta a far crescere il “vero” libero mercato, ma un mercato drogato che punta alla disumanizzazione del lavoro. Un mercato globalizzato senza regole dà origine a nuove forme di sfruttamento dei lavoratori, a nuove forme di schiavitù dal lavoro, a discapito dei diritti e della qualità della vita.

 

 

La globalizzazione si fa sul serio

E’ questo il nuovo modello sociale che vogliamo costruire? Credo proprio di no! Su questi temi bisognerebbe istituire una “governance” mondiale che sia in grado di fissare le regole. Possiamo definire libero mercato un mercato nel quale la concorrenza si gioca solo sull’abbattimento del costo del lavoro e che, nei tempi moderni, significa zero investimenti sulla sicurezza del lavoro e per le maestranze sottosalari da fame? Se oggi fosse ancora esistito il “Faraone” con i suoi schiavi, anche quello sarebbe considerato libero mercato?

Ed ancora è libero mercato quello in cui i lavoratori non hanno diritti da rivendicare e non c’è la qualità della vita? Oppure è libero mercato quello in un paese evoluto dove i lavoratori per tenere testa alla concorrenza di altri paesi meno evoluti sono costretti a rinunciare a parte dei loro diritti? E’ libero mercato quello in cui ci sono imprese che, per tenere testa alla concorrenza leale, utilizzano i fiumi di denaro sporco proveniente dalle attività criminali ed illecite della ‘ndrangheta e della mafia? Oppure trasferire le fabbriche da un paese dove il lavoro è più umanizzato in un altro dove ci sono nuove e più moderne forme di sfruttamento, questo può essere ancora definito libero mercato?

Così come l’economia non dovrà più essere lasciata solo nelle mani della “finanza”, e, quindi, la politica, quella con la P maiuscola, dovrà saper svolgere bene il suo ruolo nella programmazione economica, così anche nel libero mercato l’offerta dovrebbe tenere conto, innanzitutto, della qualità del prodotto, della professionalità e della capacità organizzativa dell’imprenditore di fare intrapresa, ma, contestualmente, dovrebbe garantire la qualità della vita e i diritti dei lavoratori che producono la merce all’interno di un quadro complessivo di tutela e di rispetto dell’ambiente. Se non sarà così, si creeranno nel mondo nuove e più moderne forme selvagge di schiavitù e di sfruttamento disumano nel nome del libero mercato, mentre l’uomo dovrebbe essere posto, sempre e comunque, al centro del mondo! Se così non sarà, se il denaro e il raggiungimento del massimo profitto, continueranno ad avere ancora un posto sopra il valore dell’uomo, se questo è il libero mercato imposto dalla globalizzazione senza regole credo che la risposta che dobbiamo dare sia una sola: No grazie! Io non ci sto!

 

 

Aldo Alessio*

Capitano

già sindaco di Gioia Tauro