Il diario di Aldo Alessio* 4 parte Il lavoro tra quel senso di morte
La forza del mare
Il primo di Aprile 2014, quando sono arrivato all’Isola del Giglio, il relitto della Costa Concordia si presentava già in perfetto assetto verticale.
Il primo sguardo alla Concordia è stato desolante, indimenticabile ai miei occhi, perché 26 mesi di intemperie e di acqua di mare l’hanno ridotta irriconoscibile, un vero e proprio ammasso di lamiere contorte consumate dalla ruggine, dalla salsedine e dalle alghe. I colori sono stati cancellati, lasciando spazio solo ad un marrone di ruggine uniforme e triste. Ogni finezza, lineamento o ricamo della nave, esistenti al suo primo viaggio inaugurale, è completamente sparita.
I suoi lineamenti e finimenti, i suoi addobbi, gli arredi, le sue opere d’arte, le sue sculture, i suoi mobili, le sue suppellettili intarsiate, le sue “bellezze” tutti distrutte o inghiottite dal mare. Dall’esterno si vedono materassi invecchiati, brande arrugginite, pezzi di soffitto pendenti, parti di arredi, di tende, di sedie, di poltrone e di mobili che ne ostruiscono ancora il passaggio delle porte esterne e dei finestroni posizionati sulla fiancata dell’opera morta della nave. Dal lato dritto, quando c’è mare, si vede fuoriuscire dalle aperture, situate a pelo d’acqua, la schiuma bianca di un’onda di risacca proveniente dalle onde esterne che si abbattono e si infrangono sulla murata opposta e l’attraversano, tramite le aperture, da una parte all’altra.
Sembra che il mare vuole continuare a ricordarci, con la sua forza e la sua potenza distruttrice, di aver preso pienamente il possesso del relitto e che se ne sia impadronito con un abbraccio mortale, senza volerlo lasciare, continuando a sbattere continuamente e senza sosta, contro quelle finestre e quegli infissi rotti, le brande arrugginite, i materassi inservibili, le suppellettili e quant’altro è ancora presente all’interno della nave. Nella parte più alta pochi finestroni sono rimasti integri.
La tragedia è ancora integra
Le belle verande e gli invidiabili attici, a servizio delle cabine più lussuose, sono irriconoscibili, avendo oramai la nave perso tutta la sua finezza e bellezza. Quella che una volta era la grande plancia di comando, “off limits” per il personale non autorizzato, ove impeccabili ufficiali di navigazione, con le loro splendide divise, rappresentavano il cervello operativo e il cuore pulsante della nave e che, con la loro alta professionalità, infondevano fiducia e assicuravano ai passeggeri e ai numerosi componenti l’equipaggio la sicurezza della navigazione, adesso giace lì abbandonata, a pochi metri dal livello del mare, con quasi tutti i finestroni integri e sporchi e dai quali nulla dovrà essere più osservato.
Nel guardare quel relitto sembra di ammirare un quadro desolante, raffigurante un dipinto di un’era post atomica dove tutto il benessere dell’umanità è stato perso a causa dell’uomo e della sua straordinaria “follia”.
Ancora oggi è difficile chiedersi come mai tutto ciò è stato possibile. Ma è accaduto! Il tempo continua a scorrere inesorabilmente in avanti, e una volta passato non torna più indietro. Questa non è la storia a lieto fine del “brutto anatroccolo” trasformatosi in cigno e neppure quella della “Bella e la bestia”, semmai questa è la storia della “grande bellezza” trasformatesi nel giro di qualche ora nella grande bruttezza. E’ la storia della inconsapevole “pazzia” umana che piano piano si insinua, si infila, penetra e si fa strada nella mente, giorno dopo giorno, senza che ce ne accorgiamo.
Il progetto di recupero
In data 18 Maggio 2012 a Roma, la “Titan-Micoperi” aveva illustrato il suo progetto per il recupero del relitto che prevedeva le seguenti quattro fasi operative:
1) La stabilizzazione della nave, attraverso la costruzione di una piattaforma subacquea e l’applicazione, sul lato emerso della nave (fianco sinistro), di cassoni capaci di contenere acqua;
2) L’utilizzo di due gru, fissate alla piattaforma, per il raddrizzamento della nave con l’aiuto del riempimento dei cassoni d’acqua;
3) Una volta posizionata la nave in assetto verticale, bisognava applicare i cassoni anche all’altro lato;
4) I cassoni di entrambi i lati sarebbero stati svuotati dall’acqua, non prima di averla opportunamente trattata e depurata a tutela dell’ambiente marino, e successivamente riempiti di aria.
Riportato il relitto nelle condizioni di poter galleggiare, sarebbe stato trainato in un porto italiano.
Il suddetto progetto di recupero è stato scelto tra le sei imprese concorrenti che hanno partecipato alla gara e che è stato anche accettato ed approvato da un comitato tecnico di valutazione, composto da esperti in rappresentanza di Costa Crociere, Carnival Corporation & plc, London Offshore Consultants e Standard P&I Club, con la collaborazione del RINA e di Fincantieri, in accordo con le prescrizioni e raccomandazioni espresse dalle Autorità Italiane.
Il piano di recupero, naturalmente, rispondeva anche ai principali requisiti richiesti e cioè la rimozione intera del relitto, il minor rischio possibile, il minor impatto ambientale possibile e la salvaguardia delle attività turistiche ed economiche dell’Isola del Giglio, con la massima sicurezza degli interventi.
Prima ancora che “Titan Salvage” e “Micoperi” iniziassero i loro lavori si è dovuto procedere alla fase del “defueling”, ovvero l’estrazione del carburante dai serbatoi della nave, questa fase è terminata con successo il 24 marzo 2012 con la preziosa collaborazione di personale olandese altamente specializzato per queste operazioni. A seguire c’è stata la fase del “caretaking”, che prevedeva la pulizia del fondale marino e il recupero di materiali e detriti usciti dalla nave in seguito all’incidente.
Tra le prime operazioni effettuate dai sub vi è stata quella dell’esplorazione dei fondali, dalla quale si è potuto notare che la nave poggiava su due scogli, uno a prora e l’altro a poppa e che non rappresentavano però un intralcio alla rotazione del relitto. Le ancore a mare risultavano entrambe a picco, a 46 metri di fondale sotto la prora, con le lunghezze di catena filate in acqua lì vicino alle rispettive ancore; ciò è il segno evidente che quelle ancore non sono state mai usate dal comandante Schettino per una eventuale manovra della nave e che l’ordine di dare fondo è avvenuto solo dopo l’incaglio. Successivamente, dopo aver pianificato tutto il lavoro da fare, è stato levato il pezzo di scoglio delle “Scole” che nell’urto si era staccato dal fondale e si era conficcato nello scafo come un arpione. Il suddetto scoglio aveva le seguenti dimensioni: 8 metri di altezza, 16 metri di diametro e pesava 110 ton., è stato tagliato in tre parti e depositato in un’area di parcheggio sul fondo del mare. Se fossi stato io sindaco dell’Isola del Giglio, avrei fatto portare quello “scoglio”, che la nave ha speronato, davanti al piazzale antistante il Comune, o in un’altra significativa piazza dell’isola per farne un monumento alle 32 vittime e a futura memoria, di quel tragico evento. E’ stata riparata l’intera falla lunga 70 metri sul fianco sinistro.
La fase preliminare di preparazione del relitto ha compreso anche semplici lavori di carpenteria e taglio per rimuovere alcuni elementi esterni della nave (antenna OVI SAT, albero fanali di prua, scivolo, etc.) per facilitare le successive operazioni.
L’intervento
A fianco al relitto sono state realizzate sul fondo del mare sei piattaforme di ferro le cui zampe di sostegno (sei per le prime tre e quattro per le successive – site a 33metri di profondità) che poggiano su un fondale lato mare di circa 50 metri, e servite per la realizzazione di un “falso fondale” completato con un “materassamento” composto da circa 4.000 sacconi, all’interno dei quali sono state versate complessivamente 22.000 m3 di cemento, sul quale doveva poggiarsi la chiglia del relitto della Costa Concordia, una volta sollevata e fatta ruotare.
La Fincantieri ha realizzato i 30 cassoni di acciaio (sponson), dal peso complessivo di 11.500 ton., che servono per portare il relitto in galleggiamento.
I cassoni sono enormi strutture in acciaio dalle dimensioni di un grande edificio (alcuni di sette piani, altri di undici), 19,5 metri per 11,5 metri, per 20 o 30 metri di altezza, che saranno svuotati dall’acqua e poi riempiti d’aria per dare la spinta di galleggiamento richiesta per la navigabilità. Una volta che il relitto è stato messo in sicurezza, sono stati posizionati, sul lato emerso della nave i primi 15 cassoni e allestiti con dei martinetti idraulici (strand jack) e con sistemi elettrico-pneumatico per la movimentazione della zavorra.
Dalla parte opposta e centrale della nave, a circa 60 metri, sono stati installati a mare 10 speciali torrette in acciaio contenente le potente pompe in grado di azionare 36 tiranti di fune di acciaio flessibili per la trazione necessaria al raddrizzamento del relitto e azionate da un insieme di martinetti fissati alla piattaforma subacquea di appoggio, chiamati “strand jack”. Ogni pompa ha una capacità di tiro pari a 400 ton. La nave era inclinata di 24 gradi.
Quando tutto fu pronto, il “parbuckling”, questo strano nome americano che sta a significare la rotazione della nave per riportarla in assetto verticale, parte alle 9 del mattino del 16 Settembre 2013. Qualche ritardo dovuto al temporale della notte precedente che si era abbattuto sull’isola e successivamente qualche ulteriore problema di natura tecnica, perché si era dovuto intervenire su 4 dei 36 cavi che tirano il relitto, ha posticipato i tempi delle operazioni. In 12 ore di trazione la nave aveva già ruotato di 13 gradi e doveva ancora essere ruotata di altri 11 prima che gli esperti della “Titan-Micoperi” potessero aprire le valvole per riempiere d’acqua i cassoni, facilitando così il suo ritorno in asse.
All’alba di martedì 17 Settembre 2013 il relitto è stato riportato finalmente in asse e tutti ebbero un sospiro di sollievo. All’annuncio dato seguì un fragoroso applauso di liberazione.
L’evento della lenta risalita della Concordia fu seguito in tutti i cinque continenti, istante per istante, con dirette non stop sui canali “all news” e sui siti internet, inoltre ci furono milioni di Tweet. Dall’Isola tutti punti di affaccio, in bella vista, erano buoni per seguire con i propri occhi o con i binocoli quell’evento straordinario di ingegneria idraulica, che ha fatto rinascere in tutti noi “l’orgoglio di un nuovo miracolo italiano”.