Il diario di Aldo Alessio* 3° parte

 

L’organizzazione imponeva una pianificazione perfetta sulle procedure da seguire, sulla tecnica da utilizzare e sulla qualità del lavoro da fare nella massima sicurezza e con i minimi danni all’ambiente.

La pianificazione era importante perché tutta l’operazione doveva servire, dopo la brutta figura che abbiamo fatto a seguito del sinistro marittimo della Concordia, al rilancio nel mondo di una nuova positiva immagine dell’Italia, dimostrando che eravamo in grado di vincere in prima persona quella nuova più importante e impegnativa sfida che rappresentava per tutti noi la nuova frontiera, da raggiungere attraverso l’impiego di ingenti risorse economiche, di sofisticate tecnologie innovative e di software all’avanguardia, che si sarebbero rese necessarie, insieme alle professionalità e alle capacità di uomini e mezzi, per vincerla.

Era la nostra chance, la nostra occasione di riscatto, il nostro modo nuovo e diverso per porre l’Italia all’avanguardia in Europa e nel mondo sul fronte del recupero e della demolizione in sicurezza delle grandi navi, attraverso l’utilizzo anche di nuove normative europee sull’eco-smantellamento di imbarcazioni di grossa stazza. Era, assolutamente, vietato fallire!

Il cantiere non è un normale cantiere terrestre, ma un cantiere dove mare e terra è un tutt’uno, un “unicum”, nel quale tutto deve funzionare in perfetta simbiosi e sincronia. Al mio arrivo il relitto della Costa Concordia era già in perfetta posizione di assetto verticale, ottenuto grazie al lavoro di intelligence svolto negli ultimi due anni con una pianificazione perfetta.

 

Così la nave galleggerà

L’operazione che in questa fase rimane da fare è quella di sistemare lateralmente alla fiancata dritta del relitto i cassoni d’aria per portarlo in galleggiamento, e poterlo trasferire, altrove, per la sua demolizione. Motopontoni, rimorchiatori, battelli, grandi e piccoli e di ogni genere e di diverse nazionalità affiancano lateralmente, come una grande ragnatela, il relitto per i lavori in corso e per i servizi di assistenza. A bordo sono posizionati gruppi elettrogeni e compressori di tutti i tipi, camere iperbariche, pacchi di bombole d’aria, container “diving”, gruppi elettrogeni predisposti con torre faro variabile a cannocchiale per illuminare l’area di lavoro, pacco bombola da 12 bombole in acciaio da 50 litri, etc.. Squadre di subacquei composte da 12 sub, che si alternano giorno e notte, attrezzati con le più moderne apparecchiature e con le più avanzate tecnologie nel settore per l’assistenza al lavoro subacqueo. Numerose piccole imbarcazioni uniscono terra e mare e trasportano continuamente uomini e materiale per il proseguo del lavoro giorno e notte, senza sosta alcuna.

Qui ho incontrato un sub palermitano che già conoscevo perché, precedentemente, abbiamo lavorato insieme in Algeria durante i lavori a mare per la costruzione di un porticciolo rifugio nel territorio di “El Aouana”. Osvaldo è stato tra i primi sub ad arrivare in cantiere ed ha già effettuato lavoro subacqueo con oltre 200 immersioni, di fatto è diventato per me una fonte importante e inesauribile di dati che tiene tutti nella sua memoria e che sono fondamentali per una sommaria ricostruzione dell’attività svolta in questi due anni, prima del mio arrivo sull’isola.

Un’altra curiosità è quella rappresentata della presenza in questo cantiere del rimorchiatore di altura “off shore” denominato “Buccaneer”. Ve lo ricordate? In data 11 Aprile del 2009, in navigazione a 10 miglia dalla costa nel Golfo di Aden, è stato assaltato e sequestrato dai pirati somali e dirottato sulla costa della Somalia. Il rimorchiatore fu tenuto sotto sequestro per ben quattro mesi, con a bordo 16 marinai di cui 10 italiani.

Oltre 500 uomini tra tecnici, esperti, professionisti, marinai, operai partecipano alla grande impresa. A differenza degli uffici a terra, in questo tipo di lavoro a mare non ci sono lavoratrici, fatta salva la piattaforma “Micoperi 61” dove per i lavori di pulizie, cabine e cucina ci sono sei ragazze romene, ciò dimostra che in questo tipo di attività la strada per la par condicio della “donna” è ancora lunga da seguire.

 

La sicurezza

Le procedure di sicurezza sul lavoro sono rigidissime, ma utili e necessarie.

La piccola Isola del Giglio si è dovuta improvvisare per ricevere tutte queste maestranze che non sono turisti, ma uomini impegnati a liberare l’isola dal relitto. Camere di albergo, abitazioni di privati cittadini, ristoratori, negozi e punti di vendita sono rifioriti per dare alloggio, ristoro e rifornimento di ogni genere alle numerose persone che hanno riempito un’isola, che prima del sinistro si presentava letteralmente deserta nel periodo invernale.

Il vincitore della gara, incaricato dell’esecuzione dei lavori per il recupero del relitto è il Consorzio italo americano “Titan-Micoperi”, nato dalla composizione tra la “Titan Salvage”, che è una società statunitense, appartenente a Crowley Group, leader mondiale nel settore del recupero di relitti e la “Micoperi”, che è una società italiana, specializzata nella costruzione e ingegneria subacquea, che vanta una pluriennale esperienza nel settore marittimo. Due colossi nelle rispettive competenze che partecipano assieme per vincere la grande sfida di rimettere in galleggiamento l’intero scafo della Concordia, garantendo il minor impatto ambientale, la salvaguardia delle attività turistiche ed economiche dell’Isola del Giglio, nella massima sicurezza degli interventi. Una impresa di recupero “ciclopica”, mai tentata prima al mondo e che una volta completata, se tutto andrà bene, farà diventare la “Titan-Micoperi” leader nel mondo sui recuperi dei relitti di grandi dimensioni. Dopo la rimozione si dovrà alla fine provvedere alla pulizia dei fondali e al ripristino della flora marina. Tutto dovrebbe ritornare com’era prima del disastro.

La base operativa è fuori dall’isola, nei pressi di Piombino, dove sono state sistemate e posizionate apparecchiature e materiali per gli interventi, in modo da ridurre al minimo qualsiasi impatto ambientale sulle attività del porto turistico del Giglio. Gli uomini impegnati nelle operazioni di recupero si alternano in turni di lavoro di 12 ore al giorno senza sosta, compresi domenica e festivi, sino alla fine dell’impresa.

Quasi tutto il lavoro si svolge in acqua e richiede l’intervento di numerose squadre formate, generalmente, da 12 sub specializzati che si alternano tra di loro. Le squadre dei sub presenti nel cantiere sono di diverse nazionalità: italiani, americani, olandesi, scozzesi, messicani e sudafricani. Il lavoro di immersione di un sub, che indossa anche lo scafandro per la comunicazione vocale con la base operativa e che porta con sé solo una bombola di ossigeno, per questa profondità di 30 metri, dura circa un’ora, variabile a un’ora e mezza – giusto il tempo necessario per fare la decompressione prima di risalire. L’immersione successiva per lo stesso sub avviene dopo 24 ore, o comunque, in casi eccezionali, non prima delle 12 ore. I tempi di immersione sono variabili e dipendono da diversi fattori quali: la profondità, il numero di sub a disposizione e la tipologia del lavoro da fare. Un piccolo robot riporta sugli schermi video della base operativa, allestita all’interno di un container, le immagini del lavoro che svolge il sub e che a sua volta è seguito con cura e attenzione da tutto il numeroso personale presente nella base operativa. Mentre un sub opera in immersione, sulla piattaforma di assistenza c’è né un altro pronto a intervenire immediatamente per qualsiasi ulteriore necessità. Saltuariamente viene a bordo un medico iperbarico per controllare lo stato di salute dei sub.

 

Il lavoro

Tutto appare come la visione di un film di fantascienza che racconta la storia di una piccola comunità di 500 persone impegnate, con il loro lavoro, a raggiungere una nuova frontiera per il bene dell’umanità. Uomini che indossano mute e scafandri, cordoni ombelicali che li collegano alla nostra base; tubi contenente aria compressa che si immergono nel mare, robot che li accompagnano in profondità e che riportano in superficie immagini surreali di video e suoni particolari; una gru che li assiste nel lavoro di profondità per gli spostamenti e la messa in opera di pezzi pesanti, una strumentazione che permette la comunicazione vocale e che interfaccia con le diverse funzioni, quella del sub e dell’operatore della gru con il capo operativo che, dalla centrale, segue tutte le operazioni da eseguire. La differenza è che, in questo film, gli attori e i registi siamo tutti noi, messi insieme, che lo stiamo girando e realizzando quotidianamente, nella nostra realtà lavorativa, in prima persona.

A bordo al relitto della “Concordia” c’è, inoltre, un vero e proprio cantiere di lavoro, con numerosi tecnici ed operai che vi lavorano e al centro nave, nella parte più alta, è stata installata una grande gru con un lungo braccio, in grado di sbracciare circa 60 metri per la necessaria attività di movimentazione dei pezzi pesanti a bordo al relitto.

Sulla fiancata dritta dal relitto, verso proravia, a un centinaio di metri lato isola, è stata posizionata una media piattaforma denominata “Micoperi 61”, che attraverso il collegamento di numerosi cavi elettrici subacquei rifornisce tutta l’energia elettrica necessaria al funzionamento dell’attività di cantiere che si svolge a bordo al relitto. La piattaforma è affiancata dal rimorchiatore d’altura “Buccaneer” che gli garantisce tutta l’assistenza dovuta.

A terra alle sei del mattino, così pure la sera dopo le ore diciannove, c’è una numerosa presenza di lavoratori che indossano gli indumenti protettivi e la tuta gialla sulla quale c’è marcato in evidenza il nome dell’impresa di appartenenza. Gli stessi, prima di salire sui battelli per essere trasportati a bordo, indossano tutti il proprio “offshore”, un salvagente di sicurezza che si gonfia in acqua, tramite un dispositivo manuale, in caso di caduta a mare. “Security First”. Primo la sicurezza. I bar, che si affacciano davanti al molo del porto, la mattina sono sempre affollati dai numerosi operai italiani e delle altre nazionalità presenti sull’isola. Quando si incontrano, si salutano scambiandosi le lingue di appartenenza e al “Good morning” degli italiani, gli stranieri rispondono, educatamente, con un buongiorno, pronunciato con l’inflessione della loro lingua di origine; conversano tra di loro quando entrano nei bar per ordinare il caffè, il caffellatte e le brioche, o per ordinare semplicemente una colazione da portarsi dietro e consumare durante la loro giornata di lavoro, o per seguire per alcuni minuti le notizie della tv mattutina.

 

La vita sull’isola

Nell’isola il costo della vita è alto. Questa è l’occasione buona per gli isolani di fare un po’ di soldi. Nessuno è obbligato a fare spesa, ma vivendo su un’isola è difficile pensare che se ne possa fare a meno visto ciò che passa il convento.

Qualcuno sostiene che, alla fine di questa imponente operazione di recupero, gli isolani dovrebbero innalzare una statua a Schettino. Sono solo punti di vista, che non meritano nessun commento. E’ difficile immaginare che questa tragedia possa essere facilmente dimenticata dai passeggeri sopravvissuti della Concordia, dai familiari delle 32 vittime e in particolare dagli stessi isolani che, quella notte, hanno assistito con trepidazione alla tragedia della Concordia e che hanno saputo incarnare con i loro comportamenti umanitari il valore della solidarietà e dell’assistenza, avendo aperto persino le porte delle loro case ai naufraghi senza nessun indugio e alcun timore.

Quella medaglia d’oro al merito civile gli isolani se la sono conquistata la notte di quella immane tragedia, con i fatti concreti dei loro comportamenti etici e civili, a futura memoria dell’intera umanità.

 

 

Aldo Alessio*

Capitano

già sindaco di Gioia Tauro