Nino Lo Giudice e i politici “Ecco per chi votava e faceva votare il clan”
Un dibattimento che potrebbe creare grane e rossori a non pochi alti papaveri del centrodestra calabrese, che la cosca avrebbe aiutato fin dal 2002. Primo fra tutti, l’attuale governatore Giuseppe Scopelliti. Quando la presidenza della Regione era ancora un orizzonte lontano e le ambizioni dell’attuale presidente della Regione Calabria si limitavano a Palazzo San Giorgio, racconta Nino Lo Giudice, la cosca si impegnò a raccogliere i voti per quello che sarebbe diventato sindaco di Reggio Calabria, su richiesta – si legge nel verbale di interrogatorio – “di tale Romeo di Santa Caterina dell’Ufficio del Capo Gabinetto a tale Stillitano Giovanni (fotografo della zona di Tre Mulini), il quale aveva poi chiesto a Lo Giudice Antonino: quest’ultimo, Lo Giudice Domenico, Domenico, Giovanni ed altri loro parenti di Ravagnese avevano dato i voti e in cambio i cugini di Lo Giudice Antonino avevano ricevuto qualche favore, quale un impiego lavorativo”. Una storia che, secondo quanto raccontato dal collaboratore di giustizia ai magistrati, si sarebbe ripetuta qualche anno dopo, quando in ballo ci sarebbe stata la conferma di Scopelliti alla guida di Palazzo San Giorgio. “Romeo – scrivono i magistrati – aveva fatto a Lo Giudice Antonino promesse sulle autorizzazioni relative al chiosco della frutta della Pineta Zerbi, che poi non aveva mantenuto”. Ma l’attuale governatore non è l’unico alto papavero del centrodestra reggino per il quale la cosca Lo Giudice, avrebbe raccolto voti: per diretto interessamento di Pasquale Condello – che tramite il nipote Domenico, detto Il Mastino, avrebbe mandato una chiara richiesta in tal senso ai Lo Giudice – il clan nel 2002 si sarebbe già attivato per convogliare consensi sull’attuale consigliere provinciale Manlio Flesca, che già deve rispondere di corruzione elettorale aggravata dal metodo mafioso in relazione alle elezioni del 2007. Allo stesso modo, Pasquale Condello si sarebbe interessato – ha raccontato il collaboratore ai pm – alle sorti elettorali di Alberto Sarra. Per lui, il “Supremo” avrebbe chiesto ai Lo Giudice di raccogliere voti nel 2002, ma all’epoca l’ex sottosegretario regionale, ad oggi condannato all’interdizione dai pubblici uffici dal Tribunale di Catanzaro, non risultava candidato alle comunali. Circostanze dunque che i magistrati dovranno verificare, ma che non esauriscono la lunga lista di politici di cui il clan si dimostrava “amico”. Lo Giudice – scrivono in quel verbale i magistrati – ha riferito anche “sull’incontro voluto dal politico Rappoccio, che aveva incaricato Lo Giudice Antonino di raccogliere voti per lui; Lo Giudice aveva accettato per via dell’amicizia con uno zio del Rappoccio, suo vicino di casa; Rappoccio era poi stato eletto”. Voti che la cosca in alcuni casi avrebbe ricevuto in cambio di prebende e favori, come l’assegnazione di case popolari ottenute dallo stesso Nino Lo Giudice, dalla sorella Elvira, dal figlio Giuseppe, dal cognato Giuseppe Reliquato e del nipote Fortunato Pennestrì. Gentili omaggi, secondo quanto raccontato dal collaboratore ai magistrati dell’Assessore Raso, cui erano stati “promessi e dati voti, alle elezioni comunali svoltesi sia nel 2002 che nel 2007. Attenzioni che non avrebbe ricevuto invece il leader dei Comunisti Italiani Michelangelo Tripodi, alle cui sorti elettorali secondo il pentito si sarebbe interessato Antonio Monorchio, che a sua volta avrebbe chiesto aiuto a Donatello Canzonieri. Secondo le dichiarazioni del pentito, al clan sarebbe stato chiesto di sostenere Tripodi alle comunali, eppure il leader del Pdci non risulta essere mai stato candidato. Tutte dichiarazioni dunque quelle di Lo giudice su cui i magistrati dovranno – se non lo hanno già fatto – trovare riscontri oggettivi. Un lavoro lungo e complicato ma che non esclude – in futuro – l’eventuale apertura di fascicoli a carico dei soggetti coinvolti.