L’atto d’accusa di Giuseppina :”La sopravvivenza delle cosche dipende dalle donne”
24 maggio – Sono le donne la vera linfa vitale, la colonna vertebrale che permette alle cosche di vivere e sopravvivere. Donne come lei, che adesso ha deciso di voltare pagina e dire no ad una vita già scritta. Ha parlato per altre otto ore la pentita di ndrangheta Giuseppina Pesce, oggi principale testimone d’accusa contro la sua famiglia e il suo clan, i potentissimi Pesce di Rosarno. Per il quarto giorno consecutivo, nell’aula bunker del carcere di Rebibbia, Giuseppina ha risposto alle domande della pm Alessandra Cerreti. La collaboratrice ha descritto nel dettaglio l’organigramma della cosca, sottolineando il ruolo fondamentale che in essa hanno le donne. Donne di ndrangheta – sorelle, madri, mogli, nipoti – chiamate a fare da staffette tra il carcere e gli uomini della famiglia ancora in libertà: era questa la vita di Giuseppina, della sorella Marina e della madre Angela Ferraro. Erano loro a mantenere viva anche dopo operazioni di polizia ed arresti, la catena del comando. A loro toccava andare in carcere, ricevere dai boss dietro le sbarre le direttive su estorsioni e appalti e quindi a portarle fuori, agli affiliati, liberi solo di eseguire. ”In tal modo – ha detto Giuseppina – io e le altre donne abbiamo garantito la sopravvivenza della cosca mantenendo la continuità dei proventi anche in assenza degli uomini. Oltre a questo, io e le altre donne avevano il compito di raccogliere i soldi delle estorsioni e di portarli in carcere a mio fratello Francesco”. Proprio quest’ultimo era, secondo la collaboratrice, l’anima imprenditoriale della cosca, chiamato a disegnare le strategie di riciclaggio degli infiniti proventi del clan grazie ad una tentacolare rete di attività commerciali lecite intestate a prestanome. Attività che andavano da terreni agricoli ed esercizi commerciali alle squadre di calcio, come la Rosarnese, fondamentale strumento di radicamento nel tessuto sociale del paese. Ma la cosca, gestiva anche la radio privata del paese, Radio Olimpia, che veniva di fatto utilizzata come un interfono dai componenti della cosca, che così si assicuravano la trasmissione dei messaggi all’intero gruppo criminale. ”Alla radio – ha detto la pentita – chiamavano, sotto falso nome, anche i latitanti, che mandavano messaggi cifrati agli altri affiliati ed ai detenuti che ascoltavano l’emittente in carcere”. E che dal carcere, continuano a comandare. Nonostante una condanna all’ergastolo e una lunga detenzione, vero e unico capo dell’intera organizzazione, infatti era e rimane- ha confermato Giuseppina – lo zio Antonino Pesce, regista occulto delle strategie presenti e passate del clan. Strategie che passano inevitabilmente per il traffico della droga, l’affare più importante gestito dalla ndrina di Rosarno. Tonnellate e tonnellate di cocaina ed eroina, che ”passano” dal porto di Gioia Tauro, un centro di smistamento fondamentale sul quale i Pesce – ha confermato la collaboratrice – hanno un inquestionabile diritto di prelazione.